Angela Davis e la violenza di Baltimora

Quello che sta succedendo a Baltimora in questi ultimi giorni è una sommossa che non ha altro obiettivo che quello di creare disordine o è una ribellione, seppur violenta, che è anche l’inizio di una rivoluzione? Se lo è chiesto la giornalista Marcie Bianco, propendendo per la seconda opzione, e consigliando di riascoltare l’intervista che Angela Davis fece dal carcere nel 1972.

Angela Davis è un’attivista e femminista del movimento afroamericano statunitense. Negli anni Settanta venne detenuta in carcere per il suo presunto collegamento con la rivolta del 7 agosto 1970, quando alcuni esponenti delle Pantere Nere sequestrarono il giudice Harold Haley e vennero uccisi mentre tentavano di scappare. Qualche giorno dopo, risultò che alcune delle armi usate nella rivolta erano intestate a Angela Davis che venne accusata di rapimento, cospirazione e omicidio. Davis risultò poi innocente e assolta con formula piena e scrisse dal carcere alcuni dei documenti più famosi della contestazione statunitense.

In questa intervista (inclusa nel documentario The Black Power Mixtape) Davis parla della violenza e del perché la violenza faccia parte della protesta “nera”: perché è un elemento intrinseco nella loro vita quotidiana. Quando si parla di rivolta o di rivoluzione va innanzitutto tenuto presente chi sono le persone che stanno conducendo quella rivolta o quella rivoluzione e la domanda giusta a cui rispondere (e solo così si arriva alla soluzione del problema) ha proprio a che fare con questo:

«Quando si parla di rivoluzione, la maggior parte della gente pensa alla violenza, senza rendersi conto che il contenuto reale di qualsiasi spinta rivoluzionaria risiede nei principi e negli obiettivi per cui si sta lottando e non nel modo in cui li si raggiunge. Bisogna aspettarsi cose del genere, come reazione. Se sei nero e vivi in una comunità nera per tutta la vita e cammini tutti i giorni per la strada con poliziotti bianchi che ti circondano…

Ecco perché, quando qualcuno mi chiede conto della violenza, lo trovo semplicemente incredibile. Perché questo vuol dire che la persona che mi sta facendo questa domanda non ha assolutamente idea di cosa il popolo nero abbia passato, di quello che il popolo nero abbia sperimentato in questo paese dal momento in cui il primo di loro è stato rapito dalle coste dell’Africa».

Davis sostiene che l’idea di una “protesta pacifica” sia sostanzialmente un ossimoro. Gli atti di protesta (e anche questi atti di protesta) sono una questione che ha a che fare in qualche modo con la fisica: ogni azione ha una reazione uguale e contraria. Significa dunque giustificare incendi o atti di vandalismo? No, ma significa non fingere che la violenza sia cominciata solo dopo, e non nel momento dell’arresto di Freddie Gray, morto mentre era in custodia della polizia a seguito delle lesioni riportate.

Ta-Nehisi Coates sull’Atlantic racconta di essere cresciuto nello stesso quartiere di Baltimora dove ci sono gli scontri di questi giorni e dove è stato arrestato Coates scrive che negli ultimi quattro anni più di 100 persone si sono rivolte ai tribunali per violazione dei diritti civili e che in quasi tutti, quelle accuse sono state respinte. Facendo riferimento ai politici che in queste ultime ore lanciano appelli per la non-violenza ai giovani di Baltimora si chiede perché non abbiano fatto quegli stessi appelli dopo l’arresto di Grey.

Coates dice che in questo specifico caso (come in molti altri), il richiamo alla non-violenza è solo uno stratagemma che ignora le conseguenze di una violenza che viene invece politicamente giustificata e che le buone intenzioni sono solo «la risposta giusta alla domanda sbagliata»:

«Se la non-violenza è predicata dai rappresentanti dello Stato, mentre lo Stato distribuisce un mucchio di violenza, quei richiami sono solo una truffa. Tutto questo non può significare che i disordini o la violenza siano “corretti” o “saggi”, non più di quanto, almeno, lo sia un incendio in un bosco. La saggezza non è il punto. La mancanza di rispetto lo è. In questo caso, la mancanza di rispetto per una legge vuota e l’incapacità di mantenere l’ordine, cose che a loro volta mancano di rispetto alla comunità, di continuo».

Giulia Siviero

Per ogni donna che lavora ci vorrebbe una moglie. Sono femminista e lavoro al Post. Su Twitter sono @glsiviero.