Elogio dello stare zitto

È difficile scrivere l’elogio dello stare zitto. Un controsenso. Come gridare “silenzio!” due volte di fila in una sala affollata di persone vocianti.
Eppure sono mesi che ho in testa questa cosa. Oggi mi gira la testa, mi girava anche durante la notte.
Addirittura due o tre volte i giramenti di testa mi hanno svegliato. Quindi, questa debolezza trasformerò seduta stante in autorizzazione ad infrangere un metodo e fregarmene di una contraddizione grande come l’America.

Strage al cinema dove proiettano Batman. Al momento in cui scrivo non sappiamo niente. Non chi è stato, non le motivazioni (se possono esistere). Niente.
Ma abbiamo opinioni così prepotenti da dover essere battute sui tasti, divenire commenti subito, prima di altri, prima, vorrei dire, di noi stessi.
Vorrei stare zitto. Vorrei stare zitto anche adesso. Tornando alla contraddizione di cui sopra.
Non dire niente. Non cedere all’irruenza della prima idea. Aspettare di sapere. Capire intanto se la mia voce è importante per qualcuno. La mia opinione aggiunge qualcosa all’esperienza comune?

Una volta ho litigato con mia madre, lei era impazzita e blaterava di continuo la stessa frase, in quella frase ricorrevano i termini “due e mezzo”. Le ho detto che se non si chetava le davo un cazzotto sul naso (io faccio così con le vecchie). Lei mi ha risposto che nessuno poteva dirle di stare zitta, che pure sotto il fascismo lei diceva quello che voleva.

Sotto il fascismo. Ma adesso non siamo sotto il fascismo, nessuno ci vieta un opinione, anzi, abbiamo velodromi dove farle correre in libertà. Sono recinti, certo, ma fatti in modo che neppure li percepiamo più come tali. Siamo liberi di correre. Gareggiamo. Le nostre opinioni scorrono in sottopancia alle trasmissioni tv, vengono riportate in calce ad articoli, si rimandano di amico in amico, viaggiano più di noi.

Eppure.

C’era un cantautore cileno, chiuso nello stadio delle stragi, dopo il golpe. Volle scrivere il testo di un ultima canzone, sapeva che lo avrebbero ammazzato, lo sapeva, era intelligente. Lo fece. scrisse su un foglietto di carta. Lo passò a qualcuno che riuscì a portarlo fuori. Quel testo, divenne una canzone. Il cantautore venne torturato e ucciso.

Quanto dovevano essere pesanti, o leggerissime, quelle ultime strofe?

E quanto sono invece né leggere, né pesanti le nostre, quando ci esprimiamo immediatamente e a costo zero su fatti remoti, lontanissimi, che ci raggiungono, magari, solo perché portati volando, dalla parola BATMAN.

Non riuscirò a stare zitto. Neppure io che sono tanto fissato da stare mesi a pensare a questa cosa.
Non so stare zitto, neanche adesso.
Allora, magari, provare darsi un compito. Quando il furore dell’opinione si affaccia ai polpastrelli, quando la visione irrinunciabile ci fa fremere la glottide come un brividino, alzarsi dalla scrivania. Fare un giro a piedi. Riflettere e guardare intorno, mettendo a fuoco il mondo a distanza superiore ai 40 centimetri che ci separano dal monitor.

Fare una prova.

p.s.
Il primo che scrive un commento come “potevi stare zitto” lo mando a fanculo.

Gipi Pacinotti

Disegnatore e regista, collabora con la Repubblica e Internazionale. Con il suo graphic novel Appunti per una storia di guerra ha vinto il premio Goscinny al festival del fumetto di Angoulême. Il suo primo film si chiama L'Ultimo terrestre.