Cinici e punk

Leggo su Repubblica che “la sola vera egemonia culturale degli ultimi anni è stata il cinismo”. Il titolo dell’articolo di Michele Serra mi sorprende, tanto da scentrare la mira del mio biscotto diretto verso la tazza di caffè bollente: era ora che qualcuno da sinistra facesse autocritica circa un modus vivendi et operandi intriso di quotidiano disprezzo e pessimismo per tutto ciò che ci circonda! Era ora che il cinismo e le sue iperboli, il catastrofismo e il disfattismo, venissero fatte a pezzi, aprendo uno squarcio all’utopia, non importa se sotto forma di progettualità per il futuro oppure semplice speranza e sogno! Era ora!

E invece no, mi ero illuso: avrei dovuto io essere più cinico.
L’editoriale di Serra parla d’altro: di come alcuni recenti accadimenti della cultura di massa – Benigni a Sanremo con l’esegesi dell’Inno nazionale, la vittoria della canzone di Vecchioni, il programma Vieni via con me – grazie al loro successo, avrebbero contraddetto l’egemonia del pensiero cinico; dell’idea che “l’enfasi e l’ingenuità sono rischi che vale la pena correre pur di uscire dal ricatto intellettuale di un ventennio castrante”, quello del cinismo.

Il bersaglio dell’articolo, scentrato come il mio biscotto, sono due gruppi simpaticamente punk e intelligentemente di nicchia a cui – per dirla con le parole di uno che ha militato in entrambe le band, Giovanni Lindo Ferretti – di essere popolari e vincenti “Importa ‘na sega”. Da una parte ci sono gli ultra cinici di sinistra, quelli che guarderebbero Sanremo solo se vincesse Stockhausen e fosse presentato da Carmelo Bene. Dall’altra, Giuliano Ferrara e la band del Foglio, che benché suonino i loro pezzi con una Stratocaster di diamanti sono per scelta (come ricorda l’ex chitarrista Christian Rocca nel suo libro “Sulle strade di Barney”) un Totally Unnecessary Newspaper, un giornale assolutamente non necessario. E non sono certo loro i cinici, tanto meno i tenutari della cosiddetta “egemonia del cinismo”.

I veri cinici sono stati quei cantautori che per anni non si sono mai abbassati ad andare a Sanremo, quelli che hanno tirato fuori la bandiera italiana in occasione del party di compleanno dell’Unità d’Italia, quando non l’avevano sventolata neanche dopo la vittoria dei Mondiali del 1982 perché era da “nazionalisti”. I cinici siamo stati noi di sinistra, in questi vent’anni, a pensare che l’imbarbarimento del paese fosse solo colpa delle tv di Berlusconi e non invece dell’incapacità nostra di vedere nuovi orizzonti. “Noi che come i panda abbiamo per anni sgranocchiato insipido bambù fino a rinchiuderci nella foresta del presente, dove la vegetazione è troppo fitta e la luce troppo scarsa per immaginare un futuro”. Il bambù è il cinismo e l’ho raccontato in una favoletta, “Il Barbecue Dei Panda” (che presto renderò disponibile sul Post). L’invito della favola è a diventare carnivori, anche se – si sa – la carne fa diventare più cattivi. E da cattivo dico che la canzone di Vecchioni è brutta, così come credo che Vieni Via Con Me sia un ottimo prodotto televisivo che ha saputo raccogliere milioni di telespettatori. Quanto al monologo di Benigni non me ne si voglia, ma quella sera ero in sala prove con il mio gruppo punk. Provavamo una cover riadattata dei Sex Pistols: “God save Berlusconi”.

Giovanni Robertini

Vive a Milano. Come autore televisivo ha fatto parte del gruppo di brand:new e di Avere Ventanni per Mtv; de L'Infedele e di Invasioni Barbariche (dove si trova ora) per La7. Ha pubblicato il libro "Il Barbecue dei panda - L'ultimo party del lavoro culturale"