I meno meno meno peggio

Il governo israeliano ha deciso di pubblicare le foto di alcuni coloni uccisi a coltellate qualche notte fa. Lì dentro c’è quella che è oramai l’unica dinamica di quel conflitto: l’essere i meno peggio.

Israele sopravvive e basa la propria credibilità sull’essere il meno peggio. Ogni volta che viene indicata un’ingiustizia ai danni della gente in Palestina, la risposta è: «ma loro fanno quest’altro». Un israeliano – con delle ragioni – potrebbe sfidarvi a trovare una violazione della libertà d’opinione, dei diritti delle donne, dell’intangibilità delle persone, del buon senso, praticata dagli israeliani ma non dai palestinesi, se non per mancanza di forza o potere.
Chi equipara, ad esempio, la guerra a Gaza agli attentati suicidi usa una tattica drammaticamente perdente: Israele avrebbe il potere militare per sterminare tutti i palestinesi, ma non lo fa. Hamas, non ha quel potere, ma prova a farlo – al massimo delle proprie forze. Si può essere contrari a quella guerra, e a tutte le ingiustizie commesse da Israele, senza tirare in ballo questo confronto perdente. Anche perché quel confronto è il flagello di Israele e Palestina.

Specchiarsi solamente nei proprî nemici è, assieme, l’anticorpo alle critiche e il morbo della società israeliana. Una società che, da quarant’anni, ha deciso di farsi forza d’occupazione, di non puntare più a essere i buoni – come nei sogni dei loro fondatori – ma a essere i meno peggio. Un circolo vizioso che gli permette di fare un passo verso il baratro quando lo fa anche il nemico. Dei nemici alleati in questa coazione a ripetere, anzi a peggiorare.

Quando Haaretz ha chiesto al ministro Edelstein perché avessero preso questa decisione, questi non ha cercato in nessun modo di spiegare perché fosse una decisione giusta, ha detto – testuale – «perché lo fanno anche loro». Hamas e Fatah hanno sempre pubblicato le foto dei civili morti per causa diretta o indiretta delle azioni israeliane. Perciò ha deciso di farlo anche Israele. Il concetto è sempre lo stesso: dobbiamo mostrare quelle foto, dobbiamo far vedere che loro sono peggio di noi – che noi siamo i meno peggio.

L’intervistatore ha individuato la contraddizione: «ma, allora, siamo come loro?», ha chiesto. Indovinate qual è stata la risposta? Ancora una volta non è stata: “ci siamo comportati bene”, ma «c’è ancora una grande differenza». Fatah e Hamas pubblicano foto più crude, talvolta fasulle, talvolta ritoccate. Qualche volta quelle foto sono state prese prima di prestare soccorso alla persona, molte altre senza chiedere il permesso a nessun familiare, etc. Tutte cose vere, figuriamoci.

Ma è come rispondere: non siamo come quelli che critichiamo, ma cerchiamo di assomigliargli sempre di più.

Giovanni Fontana

Dopo aver fatto 100 cose diverse, ha creato e gestisce Second Tree, ONG che opera nei campi profughi in Grecia. La centounesima è sempre quella buona. Il suo blog è Distanti saluti. Twitta, anche.