Due sentimenti di partito

Ci sono molti modi, tra militanti, simpatizzanti, dirigenti, di concepire la partecipazione a un partito. Probabilmente per deformazione professionale (di non politologo) a me colpiscono due atteggiamenti psicologici e direi morali, o forse due sentimenti, che alludono a due modelli culturali distinti, ma trasversali (quindi non riconducibili alla distinzione tra destra e sinistra).

Forzo (molto) alcune visioni repubblicane classiche dicendo che il primo modello (psicologico, cognitivo e in certa misura organizzativo) assomiglia a quello greco classico (o aristotelico): si è umani perché si fa parte di una comunità, perché si assumono determinati valori, che solo nella comunità e nella partecipazione trovano alimento e terreno in cui radicarsi, si è umani perché si è esseri politici, in questo senso ampio. La città del modello greco è qui sostituita dalla comunità-partito, dalla quale ci si aspetta anche una pedagogia, un progetto di educazione civile e personale, un sistema di riconoscimento forte di inclusione (e di esclusione). Ho il sospetto che molti militanti parlando di “questione morale” intendano in primo luogo un sistema di moralità partitica in questo senso “greco”, manifestando l’insoddisfazione per forme di partito che hanno di fatto sempre meno possibilità di adempiere a questi compiti “pedagogici” e formativi. Il rischio è però il comunitarismo e un riflesso condizionato di conservazione.

L’altro modello è più simile a quello romano classico (o ciceroniano): si fa politica per difendere le istituzioni, perché le istituzioni garantiscono la libertà individuale e collettiva. Il partito è un strumento per garantire se stessi e tutta la comunità, ad esso non si chiede in primo luogo di contribuire a una crescita personale, non si chiede una specifica “virtù” della parte, ma la si considera un passaggio di riconoscimento reciproco per un impegno civile, questo sì virtuoso, che conduca al rafforzamento continuo delle istituzioni che proteggono la vita comune e l’espressione della libertà umana, secondo le specificità di gruppi e interessi diversi e non necessariamente sempre in conflitto. Un problema organizzativo, e culturale, può essere però quello di come ancorarsi a un’identità “di parte”, che è pure necessaria nel sistema democratico.

Sono due “forme” spesso compresenti nella stessa formazione politica e che anzi spessissimo animano il dibattito e il conflitto interno in modo implicito (e quindi non sempre utile) e di cui va tenuto conto – nei prossimi mesi molti partiti rinnoveranno le loro leadership interne -, magari rendendole più chiare e visibili e quindi più produttive.

Gianluca Briguglia

Gianluca Briguglia è professore di Storia delle dottrine politiche all'Università di Venezia Ca' Foscari. È stato direttore della Facoltà di Filosofia dell'Università di Strasburgo, dove ha insegnato Filosofia medievale e ha fatto ricerca e ha insegnato all'Università e all'Accademia delle Scienze di Vienna, all'EHESS di Parigi, alla LMU di Monaco. Il suo ultimo libro: Il pensiero politico medievale.