L’uomo col fucile e l’uomo con la pistola

“Quando l’uomo col fucile incontra l’uomo con la pistola, l’uomo con la pistola è un uomo morto”. Almeno così sembrava in quel film di Sergio Leone, in cui Gian Maria Volonté con i suoi peones e soprattutto con il suo fucile (che notoriamente spara più lontano della pistola) paiono destinati a imporre la propria volontà e il proprio sistema, senza alternative.

A me il dibattito pubblico italiano degli ultimi quindici anni è sembrato così. Pieno di racconti su noi stessi che ci hanno inchiodati come l’uomo col fucile inchioda l’uomo con la pistola. Troppo più lontano ha sparato quel ronzio sull’Italia che non c’è, sulla piccolezza degli italiani, o quelle polarizzazioni destra-sinistra, nord-sud, laici-cattolici, giovani-vecchi, che come risultato danno solo la conferma di idee standard e il rafforzamento dell’autorità degli uomini col fucile, partiti pigri, dirigenze che non dirigono, gruppi di interesse che non mollano.

Ma uomini col fucile, forse inconsapevoli, siamo stati tutti, quando assumendo acriticamente gli argomenti facili siamo diventati portatori di discorsi altrui e siamo stati assorbiti in dispositivi linguistici e politici in senso lato che ci impediscono di comunicare con noi stessi e con gli altri.

Ma nessuna storia finisce mai e la sfida è sempre sul senso della realtà, sul realismo, cioé sull’idea che noi ci facciamo di ciò che è possibile, di ciò che è fattibile. La realtà cambia anche per le idee che ce ne facciamo. È proprio lì che si gioca la sfida tra uomini col fucile e uomini con la pistola, sul senso del fattibile, del possibile, cioé del reale. Del resto il film non finiva semplicemente con la morte di Volonté, ma con la sfida che Clint Eastwood gli rivolgeva sul suo stesso senso di realtà: “Quando l’uomo col fucile incontra l’uomo con la pistola, l’uomo con la pistola è un uomo morto. Vediamo se è vero…”.

Vediamo se è vero allora, vediamo se proprio non è possibile raccontare (cioè fare) le cose in modo diverso, se non è possibile aver voglia di fare e pensare l’Italia differentemente, se lo spiraglio che sembrava essersi aperto negli ultimi mesi – e che è ancora aperto – deve per forza richiudersi inghiottito da ideologismi, trappole cognitive, sensi della realtà senza più realtà. Vediamo se è vero. E il momento di vederlo è adesso.

(Del modo di raccontare l’Italia degli ultimi anni, delle trappole del linguaggio e degli uomini col fucile che siamo, del realismo – e di altro – parleremo a Milano mercoledi 6 giugno con Luca Sofri, Armando Massarenti, Pippo Civati e Federica Pezzali).

Gianluca Briguglia

Gianluca Briguglia è professore di Storia delle dottrine politiche all'Università di Venezia Ca' Foscari. È stato direttore della Facoltà di Filosofia dell'Università di Strasburgo, dove ha insegnato Filosofia medievale e ha fatto ricerca e ha insegnato all'Università e all'Accademia delle Scienze di Vienna, all'EHESS di Parigi, alla LMU di Monaco. Il suo ultimo libro: Il pensiero politico medievale.