Colpi di coda del cinismo

Nel novembre del 1948, in occasione di un incontro internazionale di scrittori che si teneva alla sala Pleyel di Parigi, il futuro Nobel per la letteratura Albert Camus a un certo punto del suo intervento affermò: «Si dice all’artista: “Guarda alla miseria del mondo. E tu cosa fai?” A un ricatto così cinico, l’artista potrebbe rispondere: “La miseria del mondo? Io non la accresco. Si può dire altrettanto di voi?”».
Ho ripensato a quel sempre attuale “ricatto cinico” leggendo ieri su Repubblica il bel pezzo di Michele Serra dedicato all’”egemonia del cinismo”, al suo tramonto grazie (anche) ad artisti e scrittori come Benigni, Vecchioni, Saviano. Mi ha colpito, in particolare, l’affermazione: «L’egemonia cinica ha finito il suo tempo perché è sterile anche quando è intelligente, perché volendo essere brillante è solo castrante, perché non produce più pensiero comune, non crea parole nuove (l’ultima di qualche rilievo è stata “buonismo”, oramai decrepita), non emoziona gli esseri umani: al massimo ne vellica la vanitosa tendenza a sentirsi superiori ai sentimenti e alle passioni civili, che invece spesso, e inevitabilmente, ci sovrastano».

Già qualche mese addietro, era arrivata una bordata forte contro il cinismo ad opera del direttore Ezio Mauro, quando era scoppiato il “caso Saviano” a causa dell’allarme lanciato dallo scrittore nella trasmissione di Rai Tre “Vieni via con me”, circa le infiltrazioni mafiose nell’economia del Nord Italia. Aveva allora scritto Ezio Mauro:
«Attaccarlo (Saviano, ndr) dalle sedi del potere, e dai suoi sottoscala, è un’operazione sproporzionata, una dismisura tipica del potere oggi dominante. Tutto ciò trova un’interfaccia nel cinismo di certa sinistra sballottata e sfibrata, diventata incapace di reggere un semplice discorso di buone intenzioni democratiche, perché è “troppo”: troppo giusto, troppo vero, troppo ingenuo, troppo inutile, troppo testardo su quei temi scomodi, troppo stonato con il politicamente scorretto oggi dominante. Ecco, il cinismo è un modo falsamente indolore e artificialmente innocente di accomodarsi stanchi, con in mano un bicchiere e la citazione giusta, sulle poltrone bianche dell’egemonia culturale altrui, entrando da sinistra».
Se poi vogliamo fare ancora qualche passo indietro e andare stavolta oltreoceano, anche Barack Obama, due anni fa, durante il suo discorso di insediamento del 20 gennaio 2009 si era soffermato sul cinismo, preconizzandone il tramonto: «Quello che i cinici non riescono a capire» aveva detto, «è che il terreno gli è scivolato sotto i piedi».

Ma davvero l’”egemonia del cinismo”, almeno in Italia, può considerarsi al tramonto?
Mettiamola così: forse proprio al tramonto no. Ma che la strada sia inevitabilmente segnata in tal senso, questo penso di si. Sono da aspettarsi ancora potenti colpi di coda. Ma, ripeto, indietro non si torna. Questa, almeno, è la mia convinzione.
Chi è cinico, recita un vecchio adagio, conosce il prezzo di tutte le cose e il valore di nessuna. Quindi evita di parlar chiaro, ha bisogno di espedienti per affermarsi, del divide et impera per far proseliti, del perenne baratto per restare a galla. E quando le “condizioni ambientali” cambiano e il vento gli soffia contro si scompone, si smarrisce, cerca a tutti i costi qualche approdo “politico” che però continuamente gli sfugge, non si capacita insomma, come affermava Obama, che «il terreno gli scivoli sotto i piedi».
E allora l’unica cosa che gli rimane, prima dell’inevitabile tramonto, è alzare la posta, puntare al bluff, mostrarsi ancora più scaltro quando invece ormai è inesorabilmente destinato a soccombere.

Un esempio? Sempre ieri, sul Sole 24 Ore, Stefano Folli, dopo aver riportato le seguenti parole di Bossi «il rischio immigrazione aiuta Berlusconi e aiuta noi», aggiungeva: «Spregiudicato e un po’ cinico, Bossi non ha perso tempo per sfruttare questa carta».
Non c’è da sorprendersi tanto che Bossi giochi anche la carta della crisi libica per trarne un qualche vantaggio politico. D’altronde cosa c’è di più efficace per tentare di continuare a detenere il potere se non la regola maestra di suscitare timori, provocare un’atmosfera di urgenza, proclamare uno stato emergenza?
Ma stavolta sta franando il partito, ci sono divisioni interne forse insanabili, negli ultimi mesi di mosse politiche non ne ha centrata una e anche la sua cosiddetta “base” se ne è accorta e lo mette, per la prima volta, apertamente in discussione.
Per chi di spregiudicatezza e di dosi, più o meno massicce, di cinismo non ne può più questa è una buona notizia.

Francesco Maggio

Economista e giornalista, già ricercatore a Nomisma e a lungo collaboratore de Il Sole24Ore, da molti anni si occupa dei rapporti tra etica, economia e società civile. Tra i suoi libri: I soldi buoni, Nonprofit (con G.P. Barbetta), Economia inceppata, La bella economia, Bluff economy. Email: f.maggio.fm@gmail.com