Neanche l’ombra di un governo ombra

Questa ennesima trovata della mobilitazione di massa invocata da Berlusconi per uscire dalla palude politica nella quale ristagna mi evoca l’immagine di chi, finito in mare ma non sapendo nuotare, si dimena forsennatamente con le braccia e con le gambe tentando di rimanere a galla. Ma più intensifica i movimenti e si muove disordinatamente, più si sfianca e perde lucidità, più rapidamente va a fondo.

Sono tante le cause per cui Berlusconi sta andando a fondo. Ma forse l’errore più grave, imperdonabile, commesso nella sua furia egocentrica, è stato quello di ritenersi più forte di tutti, anche della Costituzione. Cioè delle fondamenta di cemento armato della nostra vita democratica.
E invece è lì che ha cominciato a barcollare, fino a cadere. Perché la forza della nostra Costituzione, prima ancora che nella straordinaria esperienza dell’Assemblea costituente, deriva dai luoghi, dai modi, dai fermenti culturali che ne hanno consentito l’elaborazione, felicemente riassunti nel titolo di una ricerca della Fondazione Olivetti recentemente pubblicata: “Costituenti ombra”. Ossia: «persone, giornali, città, editori, forze locali e poteri privati, università, riviste, che animarono la vita culturale italiana negli anni in cui la Costituente è stata pensata e istituita e che con essa si confrontarono».

Una delle cose più tristi di questi giorni di “fine impero” è assistere all’improvvisazione con cui la principale forza di opposizione si muove, denotando una carenza assoluta di novelli “costituenti ombra” (per non parlare dell’afasico “governo ombra”, sul quale viene facile la battuta: nemmeno l’ombra).
Una delle più divertenti, invece, è la proposta del web magazine “Fare futuro” di replicare con ironia alla richiesta di dimissioni di Fini da parte del PDL, rilanciando con la richiesta di dimissioni di Topo Gigio.

Venerdì scorso, nel raccontare del suo incontro con Bono, Roberto Saviano ha rivelato la “formula” che il leader degli U2 gli ha consigliato di adottare per superare anche le più irte difficoltà: «La prima anche se piccola vittoria contro le forze del male che ti circondano, è conservare il senso dell’umorismo. Quindi, devi combattere assolutamente, e lo fai essendo al di sopra di tutto con il sorriso. Perché ridere – e ridi molto – è veramente la prova conclamata della libertà».

Ha ragione Bono. Conservare il senso dell’umorismo ti fa sentire libero e ottimista. Ma non di un ottimismo scemo. Bensì di un “secondo ottimismo”, per dirla con Alessandro Galante Garrone, autore di una puntuale biografia di Piero Calamandrei, uno dei più grandi giuristi che l’Italia abbia mai avuto e tra i più attivi “costituenti ombra”. Scrive Galante Garrone, riprendendo a sua volta le parole di Pietro Pancrazi: «Il Calamandrei è un “secondo ottimista”. “Primo ottimista (di solito, uno sciocco) è colui che vede subito bello o buono, “secondo ottimista” è invece colui che, dopo aver visto bene il cattivo, continua a credere al buono, non soltanto in astratto, ma in concreto, per quel tanto che ce n’è, e più per quello che ce ne dovrebbe essere, tra gli uomini».

Francesco Maggio

Economista e giornalista, già ricercatore a Nomisma e a lungo collaboratore de Il Sole24Ore, da molti anni si occupa dei rapporti tra etica, economia e società civile. Tra i suoi libri: I soldi buoni, Nonprofit (con G.P. Barbetta), Economia inceppata, La bella economia, Bluff economy. Email: f.maggio.fm@gmail.com