In qualunque modo si parli di immigrazione, si beve

Io non lo so se è vera la frase che un articolo pubblicato ieri sul Corriere della Sera ha attribuito a Matteo Renzi – probabilmente non lo è, considerata l’affidabilità media del retroscenismo politico italiano – ma è una frase eloquente, e chiunque l’abbia pensata e raccontata al Corriere ha centrato il punto, anche nella sua sgradevole metafora: «Sull’immigrazione devi capire che in qualunque modo se ne parli, si beve».

A meno di non volerlo fare usando solo frasi fatte e proponendo soluzioni che non lo sono, parlare davvero di immigrazione in Italia è impossibile. Un’enorme e ventennale migrazione di massa, una cosa da libri di storia, viene trattata come una questione da stadio. Qualsiasi risposta più lunga di dieci parole e più complessa di uno slogan da Baci Perugina viene sommersa – sia online che offline – da una quantità di obiezioni che vanno dal retorico (“perché non te ne prendi un paio a casa?”, come se chi rivolge questa domanda ne avesse “un paio a casa”) al disinformato (chiunque parli di “invasione“), dall’illogico (quelli che chiedono il rispetto di “diritti e doveri”, quando le persone di cui si parla sono in gran maggioranza rifugiati politici e agli immigrati regolari che lavorano in Italia rubiamo i contributi INPS, per dirne una tra tante) fino all’odioso e razzista. È impossibile anche spostare la discussione dal piano umanitario a quello concreto e logistico, cioè decidere di limitarsi a discutere delle soluzioni per risolvere il problema qui e ora: perché queste soluzioni non esistono.

Per questo quelli come Matteo Salvini quando si parla di immigrazione vincono sempre: consapevoli del fatto che non tocca a loro occuparsi davvero della faccenda, e consci che qualora dovessero avere voce in capitolo si limiterebbero a fallire e incassare i dividendi del loro fallimento, possono permettersi di dare solo risposte da dieci parole, imbrogliare sul presente e sul passato e uscire vincitori da qualsiasi discussione, perché chi è interessato a parlare davvero di immigrazione in Italia non può dare risposte da dieci parole. Siccome una “soluzione al problema dell’immigrazione in Italia” non esiste – almeno nel senso in cui la desidererebbero molti italiani, cioè farla sparire da un momento all’altro – il dibattito si divide tra quelli che spacciano per soluzioni cose che non lo sono e quelli che si barcamenano, che cercano di dire che le cose non sono così semplici e nel frattempo vengono presi a martellate. In qualunque modo se ne parli, si beve.

Chi non è obbligato a esprimere una posizione definitiva su tutto, e magari neanche ad averla, può decidere di rinunciare a discutere di immigrazione: è una scelta un po’ egoista ma spesso necessaria per evitare di rovinarsi le giornate al lavoro, i pranzi con gli amici e le cene con i parenti. I politici però non possono permettersi di evitare di discutere sull’immigrazione: e come si fa a parlarne se non si vogliono usare risposte da dieci parole ma non si vuole neanche “bere”? Matteo Renzi si è scelto un nemico: gli scafisti. Brutta gente, cattiva e senza una faccia, perfetta per essere odiata sia da destra che da sinistra e soprattutto per evitare di discutere davvero della questione. Gli scafisti lucrano su persone che sono nate per puro caso dalla parte sbagliata del mare – come noi siamo nati per puro caso dalla parte giusta: non ci siamo meritati o guadagnati niente – e desiderano lasciarla con tutte se stesse: sanno che forse moriranno e quel forse è la ragione per cui ci provano. Senza farsi scrupoli, e non certo per filantropia e umanitarismo, gli scafisti le aiutano a fare quello che vogliono. Senza gli scafisti arriverebbero in un altro modo, e d’altra parte solo poco più del 10 per cento dei migranti arriva in Italia via mare. Di tutti i modi per non parlare di immigrazione in Italia, prendersela con gli scafisti è forse il meno dannoso: ma rimane una palla buttata affannosamente in tribuna.

Ricapitoliamo. I politici malintenzionati dicono cose da fare accapponare la pelle. Quelli benintenzionati vengono sbriciolati prima della pubblicità. Il governo non vuole spendere il suo capitale politico su una faccenda così complicata e impopolare e si appiattisce sul muro, mentre cerca di ottenere dall’Europa qualche spicciolo e nel migliore dei casi una revisione degli accordi. I giornalisti sono in grado di fare cose come questa ma anche come questa. In generale dire sconcezze sull’immigrazione paga così tanto e così bene – in termini di voti, di applausi, di lettori, di ascolti, di carriera, eccetera – che difficilmente la cosa passerà di moda presto. E quindi cosa rimane? Perdonate la gramellinata, ma da qualche tempo mi sono convinto che rimangono solo la scuola e i bambini. Almeno nelle grandi città, sta crescendo la prima generazione di bambini col compagno di banco figlio di egiziani, la migliore amica eritrea e il vicino di casa pakistano. Speriamo che sia migliore della nostra.

Francesco Costa

Vicedirettore del Post, conduttore del podcast "Morning". Autore dal 2015 del progetto "Da Costa a Costa", una newsletter e un podcast sulla politica americana, ha pubblicato con Mondadori i libri "Questa è l’America" (2020), "Una storia americana" (2021) e "California" (2022).