Cose che catipano quando fai un giornale

Per uno di quei guai di fretta, caso, distrazione e coincidenze che chiunque abbia lavorato in un giornale conosce bene, ieri è capitato disgraziatamente che il Post avesse per circa cinque ore un refuso nel titolo di apertura della sua homepage.

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Sono cose molto antipatiche, di quelle che fanno dire un sacco di parolacce quando te ne accorgi, per quanto siano tutto sommato minuscole rispetto agli errori che può fare un giornale. Sono anche errori che sfuggono facilmente nella frenesia con cui si lavora a un giornale, specie online (“espluso”, tra l’altro, è un refuso comunissimo). Internazionale è sicuramente la rivista italiana più attenta alla scrittura e ai refusi, eppure anche lì ogni tanto qualche refuso scappa; al Post abbiamo un formidabile correttore di refusi ma ogni tanto anche lui mangia, dorme o fa cose diverse da leggere e scandagliare il Post. In questo caso particolare per una serie di circostanze e coincidenze il refuso è rimasto lì, mentre la redazione continuava a lavorare. Quando ce ne siamo accorti – un amico del Post ha mandato un SMS notturno allarmato, “occhio al titolo di apertura!” – il giornalista che è andato a metterci una pezza non lo ha trovato subito. A volte coi refusi succede questa cosa: sono invisibili. Ha a che fare col modo in cui leggiamo. Io ne so qualcosa.

Quando lavoravo all’Unità, per quanto mi occupassi soprattutto del sito, a un certo punto toccò anche a me “fare la notte”: che vuol dire fare quel turno per cui si segue il giornale di carta finché non va in stampa. Si rilegge tutto in cerca di imprecisioni e refusi, si mettono toppe dove servono, si chiudono le pagine, si stampano le pagine, si rileggono di nuovo e si mandano in tipografia. Se poi arriva una notizia, si fa la cosiddetta ribattuta: si smonta un pezzo di giornale e lo si rimonta, durante la stampa. Per le notizie grosse si fa con la prima pagina, che è una cosa piuttosto acrobatica per la delicatezza e allo stesso tempo la rapidità richiesta. Questo è il motivo per cui a volte due città diverse hanno due prime pagine leggermente diverse dello stesso giornale, per esempio: perché a un certo punto in redazione hanno cambiato la prima pagina ma alcune copie erano già partite – quelle che vanno più lontane dai centri stampa e dalle grandi città, di solito.

Insomma a un certo punto toccò a me fare la notte, per la prima volta, e in redazione c’era un po’ un clima affettuoso da rito iniziatorio: i colleghi più esperti mi spiegarono cosa avrei dovuto fare e mi diedero una mano. Non arrivarono grosse notizie dopo la chiusura del giornale, non fu necessario fare nessuna ribattuta, insomma andò tutto liscio, così almeno pensavo: intorno alle 2 del mattino uscii dalla redazione e tornai a casa. La mattina dopo arrivai in redazione tutto allegro ma la faccia del primo collega che incrociai mi fece capire che qualcosa era andato storto. C’era un refuso. C’era un refuso nelle pagine che avevo letto e riletto. Peggio: c’era un refuso in prima pagina. Io mi ricoprii di insulti, immagino che qualcuno si arrabbiò molto ma furono tutti così ammirevolmente bravi e buoni da non farlo notare e alleggerire simpaticamente. Non ve lo dico dov’è, il refuso: trovatevelo da soli, io ancora mi maledico.

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Francesco Costa

Vicedirettore del Post, conduttore del podcast "Morning". Autore dal 2015 del progetto "Da Costa a Costa", una newsletter e un podcast sulla politica americana, ha pubblicato con Mondadori i libri "Questa è l’America" (2020), "Una storia americana" (2021) e "California" (2022).