Zeman e Mourinho

Negli ultimi giorni mi è capitato un paio di volte di parlare della storia di Zdenek Zeman e della Roma – per iscritto sul Post e a voce su Rete Sport – e in entrambi i casi, citando le grandi difficoltà di Zeman nell’avere rapporti proficui e positivi con alcuni calciatori, ho citato José Mourinho come esempio di allenatore che costruisce la sua forza proprio facendo perno sui calciatori più forti e carismatici, usando con ciascuno un approccio diverso. Mi è venuta in mente una cosa che raccontò Frank Lampard qualche anno fa, relativamente al periodo di Mourinho al Chelsea. Da qualche parte c’è anche il video ma io non l’ho trovato. La cosa che racconta Lampard succede dopo una partita di campionato che aveva giocato fantasticamente.

“La sua gestione dei giocatori è fantastica. Sapeva come entrare nelle nostre teste. Non ho mai avuto un allenatore che dopo una partita, mentre stavo facendo la doccia, entra nello spogliatoio e mi dice che sono il miglior calciatore al mondo. Lui lo fece. Non lo dimenticherò. Come se niente fosse. «Sei il miglior giocatore del mondo, ma devi cominciare a vincere dei titoli». Io non pensavo davvero di essere il miglior calciatore del mondo, ma l’allenatore che aveva appena vinto la Champions League sì. Uscii dallo spogliatoio che ero un altro calciatore»

Questa storia me ne ha fatta venire in mente un’altra, sempre a proposito di paragoni tra Zeman e Mourinho. È evidente che il sistema di gioco di Zeman, quando funziona, è molto più divertente e spettacolare di quello di Mourinho. Ma è un sistema che è anche sempre lo stesso, ormai da decenni, e pretende anzi di non cambiare mai qualsiasi cosa faccia l’avversario. Le conseguenze di un approccio del genere, piuttosto fondamentalista, si sono viste per esempio nella disastrosa partita di quest’anno contro la Juventus. Con Mourinho accade l’estremo opposto: aggiustamenti continui e sforzo sovrumano di leggere le partite prima che vengano giocate, che è una cosa che mi diverte molto. Lo racconta bene un passaggio del libro Coaching Mourinho, scritto da Juan Carlos Cubeiro e Leonor Gallardo, pubblicato in Italia da Vallardi, che è una specie di miscuglio tra una biografia di Mourinho e un manuale motivazionale.

Vítor Baía ha raccontato la storia di un Benfica-Porto (stagione 2002-2003) di quando Mourinho lo allenava: «Prima della partita arrivò a dire quale sarebbe stata la formazione del Benfica e che cosa sarebbe successo nel caso in cui avessimo segnato per primi. ‘Sapete già che Camacho (José Antonio Camacho, l’ex giocatore del Real Madrid ed ex selezionatore spagnolo, che all’epoca era il mister del Benfica) mette sempre Šokota quando si trova in svantaggio, perciò dobbiamo adattarci di conseguenza…’ E aggiunse: ‘Nel caso che un giocatore rivale venga espulso, ecco cosa faremo’. In quella partita successe quello che Mourinho aveva previsto». Il Porto segnò al 36’ (gol di Deco). Camacho fece entrare Tomo Šokota dieci minuti dopo. Ricardo Rocha, difensore del Benfica, venne espulso a venti minuti dalla fine… e la squadra di Mourinho vinse 0-1 in casa degli eterni rivali. Lo stesso José Mourinho spiegava così questo trionfo ai media:

Aneddoti come questo si sono verificati nel Chelsea, nell’Inter o nel Real Madrid quando Mourinho è stato loro allenatore. Didier Drogba, la stella del Chelsea, ha commentato riguardo al coach portoghese: «In panchina, lo sentivo spiegare quello che sarebbe successo in un modo quasi chirurgico. A volte questo risultava inquietante. Sembrava fosse capace di vedere il futuro».

È come se potesse leggere con una palla di cristallo ciò che stava per accadere. E non è solo una suggestione dei giocatori. Massimo Moratti, presidente e proprietario dell’Internazionale di Milano, ha raccontato il caso di un derby Inter-Milan (24 gennaio 2010): nell’intervallo, la sua squadra stava vincendo con il minimo scarto (1-0 al 10’), il difensore Lucio aveva ricevuto un’ammonizione molto severa e l’autore del gol Sneijder era stato espulso proprio per aver contestato il cartellino giallo mostrato al compagno (secondo Moratti, l’arbitraggio li stava sfavorendo); Moratti scese nello spogliatoio perché si immaginava che la squadra fosse particolarmente nervosa. Ma non era così. Quello che trovò fu silenzio, piena concentrazione e i giocatori che ascoltavano Mourinho che diceva loro «quello che sarebbe successo nel secondo tempo»: «Quelli del Milan si innervosiranno, perché non riusciranno a farci gol in 11 contro 10; allora noi approfitteremo dell’occasione, faremo un altro gol e vinceremo 2-0». E così fu. Il secondo gol dell’Inter lo segnò Goran Pandev su punizione. «Mi preparavo a sostituire Pandev. Ma in quel preciso momento ci fu un fallo a nostro favore, vicino all’area avversaria. Corsi verso il quarto uomo per chiedergli che ritardasse la sostituzione. Pandev rimase in campo un altro minuto, batté la punizione e fece gol. La punizione era dalla stessa posizione che avevamo provato tante volte durante la settimana.»

L’esultanza di Mourinho spiega bene di chi è il gol di Pandev.

Francesco Costa

Vicedirettore del Post, conduttore del podcast "Morning". Autore dal 2015 del progetto "Da Costa a Costa", una newsletter e un podcast sulla politica americana, ha pubblicato con Mondadori i libri "Questa è l’America" (2020), "Una storia americana" (2021) e "California" (2022).