Una storia da ricordare

Nel centro di Budapest, stretto al centro di un isolato di alti edifici, tra il viale József e via Üllői, c’è una sorta di piccolo Pantheon, da poco restaurato: il Cinema Corvin (due altezzosi corvi in pietra fanno la guardia sul tetto dell’ingresso). Sulla parete a sinistra della facciata c’è una targa che ricorda István Angyal (1928–1958), capo del gruppo di rivoltosi della vicina Via dei pompieri (Tüzoltó ut., dove fu, tra l’altro, ambientato uno dei più bei film ungheresi del dopoguerra: Via dei pompieri 25 (1973), di István Szabó).

Tra le tante storie che val la pena ricordare e raccontare nella “Giornata della Memoria”, c’è quella dell’ungherese István Angyal e della sua famiglia. Di lui ci è rimasta una malinconica foto giovanile con i capelli ispidi e un filo di barba. Angyal era nato a Magyarbánhegyes (nel distretto di Békés), terzo figlio di artigiano e commerciante ebreo. Potette studiare soltanto pochi anni a causa delle restrizioni antiebraiche. Nel 1944, con sua madre e la sorella più grande furono deportati ad Auschwitz. Sua sorella venne quasi subito impiccata davanti al campo per aver tentato di fuggire; sua madre finì nella camera a gas. István sopravvisse e tornò in Ungheria abbracciando la fede comunista (senza però iscriversi al Partito), convinto che che il nuovo regime avrebbe posto fine alle differenze razziali e di classe. Così potette completare gli studi e iscriversi a Storia dell’arte all’Università di Budapest. Ma, nel 1949, venne espulso per aver pronunciato un discorso in difesa del filosofo marxista, allora in disgrazia,
György Lukács. Fu mandato a lavorare come operaio alle Acciaierie Stalin di Sztálinváros (oggi: Dunaújváros), dove fece carriera e fu premiato per il suo impegno (ed era rimasto marxista). Ma nel 1953, con il tiepido inizio della destalinizzazione (con Imre Nagy che divenne primo ministro per la prima volta), l’Ungheria ridusseil ritmo di sviluppo dell’industria pesante, e Angel perse il lavoro: Ma, già nel 1955, lo ritroviamo direttore delle costruzioni di una ditta edile.

In quel periodo, István Angyal prese a partecipare attivamente alla vita dei giovani intellettuali a Budapest, in particolare alle serate letterarie al Circo Petőfi. Era convinto, come molti di loro, che il socialismo reale fosse riformabile. Così, il 23 ottobre del 1956, si unì naturalmente ai dimostranti che marciavano verso la sede del Parlamento. Due giorni dopo prese parte ai sanguinosi scontri con la polizia, ma salvò alcuni poliziotti dal linciaggio. Fece parte di un gruppo di giovani operai che distribuivano giornali e cibo ai ribelli armati. Il 26 lo nominarono capo del “gruppo di difesa” di via dei Pomperi. In questa veste, il 29 e il 30, prese parte ai negoziati con il ministro della Difesa Károly Janza e il nuovamente primo ministro Imre Nagy per il cessate il fuoco (le truppe sovietiche sembravano essersi allontanate dalla capitale) e poi si adoperò perché fosse mantenuto l’ordine e la calma, fino all’8 novembre quando i carri armati sovietici occuparono la città e si scatenò l’inferno. Dal Cinema Corvin, con un piccolo cannone, sparavano sui carri incolonnati sul viale. Da lì, Angyal e il suo gruppo andarono ad asserragliarsi nell’Ospedale di via Péterfy Sándor, cercando invano di riallacciare i contatti con il nuovo governo guidato János Kádár, che era passato dalla parte dei sovietici. Anguyal, a differenza di altri suoi compagni, non prese in considerazione l’ipotesi di fuggire dall’Ungheria. Il 16 novembre l’Ospedale venne assaltato dalla forze speciali, e Angyal venne arrestato e imprigionato.

Il 17 aprile 1958 Angyal fu processato e condannato a morte, in prima istanza, per cospirazione contro lo stato. La sentenza venne confermata il 27 novembre dello stesso anno. Venne impiccato l’ 1 dicembre. Come tutti gli altri condannati a morte in quegli anni, compreso Imre Nagy (che si era rifugiato nell’Ambasciata di Jugoslavia e fatto uscire con un inganno, processato sbrigativamente e impiccato il 16 giugno 1958), fino al 1989 István Angyal non ebbe nemmeno una tomba: come sua madre, come sua sorella…

Francesco Cataluccio

Ha studiato filosofia e letteratura a Firenze e Varsavia. Ha curato le opere di Witold Gombrowicz e Bruno Schulz. Dal 1989 ha lavorato nell’editoria e oggi si occupa della Fondazione GARIWO-Foresta dei Giusti. Tra le sue pubblicazioni: Immaturità. La malattia del nostro tempo (Einaudi 2004; nuova ed. ampliata: 2014); Vado a vedere se di là è meglio (Sellerio 2010); Che fine faranno i libri? (Nottetempo 2010); Chernobyl (Sellerio 2011); L’ambaradan delle quisquiglie (Sellerio 2012); La memoria degli Uffizi (Sellerio 2013); In occasione dell’epidemia (Edizioni Casagrande 2020); Non c’è nessuna Itaca. Viaggio in Lituania (Humboldt Books 2022).