Nella caverna di Zeus, sul Monte Ida

Tre uomini, forse fantasmi, si misero in cammino verso la grotta, nel Monte Ida (Monte Psiloritis), dove sarebbe stato nascosto dalla madre il piccolo Zeus. Erano Clinia di Creta, Megillo di Sparta e un “ospite Ateniese” (che altro non è che Platone, che racconterà la storia nel suo ultimo dialogo: Leggi). Cosa andavano cercando? Carlo Sini, nel suo seminario In cammino verso il Monte Ida, per la scuola Mecrì, tenutosi quest’anno ai Frigoriferi Milanesi, ha spiegato che essi sono in viaggio verso il sogno della città perfetta: discutono infatti tra loro quale possa essere la costituzione migliore. Le leggi vengono da Zeus e quindi nella sua caverna si può ritrovare l’origine e il senso di esse. Grazie alle buone leggi infatti gli uomini possono trovare la pace tra loro e dentro se stesi. Occorre, secondo Platone, immaginare una “città musicale” dove si educhino i cittadini alle leggi: “Essa deve incentrarsi sulle arti dinamiche: la musica e la danza, e la ginnastica. (…) Su tutte domina il ritmo: il ritmo della musica per la salute dell’anima e il ritmo della ginnastica per la salute del corpo. Tutte le azioni e le opere prive di ritmo e armonia ‘sono invece pericolose, lasciate a noi da alcuni dei molti uomini pericolosi’. (…) Il ritmo è ciò che distingue l’uomo dall’animale” (C. Sini, Le arti dinamiche. Filosofia e pedagogia, Jaca Book, 2005, pp. 22-23).

Nessuno dei tre pellegrini probabilmente credeva del tutto al mito, raccontato da Esiodo (Teogonia, 477 e sgg.), che si rifaceva ad Apollodoro e Callimaco (Cfr. Shawn O’Bryhim, Hesiod and the Cretan Cave, in Rheinisches Museum fuer Philologie 140, pp. 95-96, 1997), secondo il quale Rea (Cibele), avrebbe partorito Zeus di nascosto a Licto (nella parte centro-orientale di Creta), consegnando al padre Crono una pietra che questi divorò pensando fosse il proprio ultimo figlio.
Nella grotta dove il piccolo Zeus fu portato crebbe insieme alle ninfe Adrasti e Ida, nutrendosi di miele e del latte della capra Amaltea. Venne allevato dai Coribanti (o Cureti), sacerdoti che facevano un baccano infernale: saltando e danzando, percuotendo scudi e tamburi, coprivano i pianti e le grida del piccolo per non farlo scoprire dal padre Crono, desideroso di divorarlo.
Nella versione cretese del mito Zeus non soltanto nacque nella grotta del Monte Ida, ma anche vi morì e vi fu poi cremato. La grotta poi, per i Cretesi come per i Greci, divenne un importante santuario. Nella mitologia romana, la madre di Zeus, Rea (identificata con Opi), è detta Magna Mater deorum Idaea.

Zeus fu l’ultimo anello di una catena di feroci, e identici, drammi famigliari. Lo schema del mito antico è sempre lo stesso. Come ha notato Mircea Eliade (ne Il mito dell’eterno ritorno), dopo la Creazione la fertilità viene soltanto da una nuova unione tra Cielo e Terra. Ne nascono uno o più figli del dio padre. La madre è la terra, o una mortale che diventerà poi la Grande Madre. Il padre tenterà sempre di divorare i figli e loro lo uccideranno (cfr. Jan Kot, Divorare gli dei. Un’interpretazione della tragedia greca, Bruno Mondadori 2005).
Il primo dio fu Urano (Cielo) che ebbe da Gaia (Terra) dodici figli (sei maschi e cinque femmine). Diodoro Siculo (Bibliotheca historica V, 64 e sgg.) riferisce che, secondo i Cretesi, i Titani, figli di Urano e di Gaia, nacquero al tempo dei Cureti (oppure, secondo un’altra versione, erano figli proprio di uno dei Cureti andato in sposo a una certa Titaia da cui presero il nome). Essi vivevano nei pressi di Cnosso. Ognuno di questi Titani ebbe modo di lasciare un dono prezioso in eredità agli uomini conquistandosi in questo modo un onore eterno.
Urano divorò undici figli. L’ultimo, Crono, d’accordo con la madre Gaia, attese nascosto nella sua vagina-caverna (locheòs) che il padre si accoppiasse con lei e quindi lo evirò.
Anche Crono divorò i figli avuti da Rea, e fu poi evirato e ucciso da suo ultimo figlio, Zeus, che gli farà vomitare gli altri fratelli che aveva mangiato e persino la pietra che aveva inghiottito scambiandola per lui. Poi Zeus sciolse dalle catene i tre Ciclopi incatenati da Crono, che lo ricambiarono consegnandogli la Folgore (i fulmini). Una volta insediatosi al potere nel cielo, anche Zeus istituì una tirannide crudele e violenta contro le altre divinità e anche gli uomini, come sperimentò sulla propria pelle l’eroico Prometeo. Il coro, della tragedia Prometeo di Eschilo, rammenta:

“Nuovi signori regnano l’Olimpo,
Zeus domina con nuovi costumi,
oltre ogni legge,
e i prodigi di un tempo rende nulla (…). È questo il non invidiabile regno
di Zeus, signore nella sua legge,
che contro i vecchi dèi
mostra la lancia del suo trionfo”
(Eschilo, Prometeo, 148-151 e 402-405).

La strada che oggi sale fino alla Grotta sul Monte Ida taglia rocce schiantate da movimenti tellurici millenari. La terra rossa fa sembrare i bordi dell’asfalto pezzi di carne sanguinante. Sulla parete opposta del monte, dopo alcuni tornanti, appare un bacino artificiale blu e verde, come l’ occhio gigantesco di un rapace. L’ultimo piccolo centro abitato che si incontra è Anogeia, ancora molto sotto rispetto alla grotta (750 metri d’altezza). Poi si continua a salire circondati da un paesaggio sempre più brullo, arroventato dal sole e cartavetrato dal vento. Un po’ oltre gli archeologi hanno trovato un vecchio insediamento, Zominthos, che era probabilmente l’ultima stazione per i pellegrini, prima di arrivare alla grotta. La strada si ferma in uno spiazzo al centro di una sorta di grande altopiano circondato dai monti, come una sorta di palmo aperto di una mano. Da lì si sale a piedi lundo un viottolo sassoso. La grotta si trova a 1491 metri nel Monte Ida (che è il più alto di Creta: 2456 metri).

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Si deve scavalcare la cancellata di una bassa costruzione, che comprende la biglietteria, all’apparenza abbandonata. L’ingresso della grotta appare, dopo una curva tra gli alberi, come una grande ferita scura, quasi una nuvola nera. Nello spiazzo di fronte ci sono due stretti binari e un carrello da minatori. Quei binari che si perdono nel buio della caverna fanno venire sorprendentemente in mente quelli che escono da sotto l’arco della palazzina con la torretta d’ingresso di Auschwitz-Birkenau e attraversano l’enorme spiazzo perdendosi nel nulla.

Sulla soglia della grotta si scorge il semibuio fondo sottostante. Si scendono lentamente gli scalini: 43 in pietra e poi 33 in legno. Alla fine c’è uno spazio abbastanza ampio e sabbioso dal quale si dipartono piccole gallerie. Guardando da là verso l’alto, l’apertura della grotta appare come un ellisse sfrangiata di cielo, attraversata ogni tanto dal volo di neri uccelli. Lì sotto sono stati trovati dagli archeologi vari oggetti: scudi, armi, utensili, oggetti in osso di elefante.

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Che culti si praticavano dentro quella grotta sacra? In un frammento della perduta tragedia Le cretesi, Euripide scrive: “Noi viviamo una vita pura da quando siamo stati iniziati ai misteri di Zeus e del Monte Ida; noi mesciamo libagioni in onore di Zagreo (Dioniso), che ama i riti notturni; noi partecipiamo ai banchetti di cannibalismo accendendo le fiaccole sulle montagne in omaggio alla Grande Madre” (August Nauck, Tragicorum graecorum fragmenta, fr. 472).
Era forse il terribile e folle Dioniso, figlio di Zeus e di Semele, figlia del disgraziato Penteo re di Tebe, a essersi impossessato della caverna e delle donne cretesi? Dioniso era stato rapito dai Titani che lo avevano fatto a pezzi e divorato. Zeus li aveva uccisi con il fulmine e dalle loro ceneri erano stati creati gli uomini.

Platone e gli altri due pellegrini trovarono invece in questa grotta il senso di quel ritmo armonioso che è la giusta misura della vita personale e sociale. Forse la musica dei Coreuti, che doveva coprire le grida del piccolo Zeus, non era soltanto chiasso che nasconde un altro rumore. Nel silenzio della grotta, increspato dal vento, oggi sembra di sentire qualcosa che viene da molto lontano e pare ormai inafferrabile.

Francesco Cataluccio

Ha studiato filosofia e letteratura a Firenze e Varsavia. Ha curato le opere di Witold Gombrowicz e Bruno Schulz. Dal 1989 ha lavorato nell’editoria e oggi si occupa della Fondazione GARIWO-Foresta dei Giusti. Tra le sue pubblicazioni: Immaturità. La malattia del nostro tempo (Einaudi 2004; nuova ed. ampliata: 2014); Vado a vedere se di là è meglio (Sellerio 2010); Che fine faranno i libri? (Nottetempo 2010); Chernobyl (Sellerio 2011); L’ambaradan delle quisquiglie (Sellerio 2012); La memoria degli Uffizi (Sellerio 2013); In occasione dell’epidemia (Edizioni Casagrande 2020); Non c’è nessuna Itaca. Viaggio in Lituania (Humboldt Books 2022).