L’altalena di Creta

Ho rimesso piede, dopo alcuni anni, nel Museo archeologico di Heraklion, a Creta: uno dei più belli e sorprendenti che abbia mai visitato. Come sempre, da quando lo visitai la prima volta, (allora era ancora in fase di ricostruzione e si potevano vedere soltanto alcune salette con i suoi tesori principali), sono andato a fermarmi rapito davanti a una figurina femminile in terracotta, senza testa, che si dondola su un’altalena, le cui corde stanno appese a due colonne sormontate da due uccelli.

Sono molto affezionato a quella singolare statuetta: ne tengo una riproduzione sulla mia scrivania; l’ho usata come pretesto per raccontare strampalate storie ai miei figli e la utilizzai per una copertina quando, nel 1990, alla Feltrinelli, pubblicammo, nella prestigiosa e rapidamente soppressa collana “Impronte”, il bel libro di Nadia Fusini La luminosa. Genealogia di Fedra.

La statuetta è datata nel periodo tra il 1500 e il 1450 aC. ed è stata rinvenuta, assieme al famoso sarcofago, splendidamente affrescato con scene di cerimonie funebri, e molti altri oggetti di culto, ad Agía Triáda (“Santa Trinità”), che si trova a 63 km a sud-ovest di Heraklion e a circa 3 dall’importante sito archeologico di Festo, in una sporgenza rocciosa sulla pianura di Messara.
Agía Triáda fu edificata intorno al 1600 a.C. e fu distrutta, come gli altri palazzi della Civiltà Minoica, nel 1450 a.C.. Sulle sue rovine fu costruito nel XIV secolo a.C. un grande palazzo postminoico di tipo miceneo e un intero abitato a nord-est con un’agorà munita di portici. Nell’VIII secolo a C. (il cosiddetto “Periodo geometrico”) divenne luogo di culto e, in epoca ellenistica, vi fu costruito un piccolo tempio dedicato a Zeus. La villa di Agía Triáda aveva al centro un grande cortile destinato a funzioni religiose. Gli scavi ad Agía Triáda furono intrapresi per la prima volta (dal 1902 al 1914) dalla Scuola Archeologica Italiana di Atene, sotto la guida di Federico Halbherr e Luigi Pernier, ai quali si deve il ritrovamento di molti degli oggetti esposti nel Museo di Heraklion.

Mentro ero intento a guardare, e fotografare, la statuetta dondolante, una giovane custode, assai alta e completamente vestita di nero, mi si è avvicinata e mi ha sussurrato: “Quella è la Grande Dea che discende nell’Ade. Proviene da un luogo sacro”.
L’altalena non è quindi un gioco, ma porta nell’aldilà. Una scena epifanica. I due uccelli che sovrastano le colonne potrebbero essere coloro che, tirando il filo, si portano su la fanciulla nell’altro mondo. Allora, più che di un’altalena, si tratterebbe di una sorta, di “carrello elevatore”. Mi viene in mente, per associazione d’idee, che sul lato sinistro (guardando la facciata) della chiesa di San Marco a Venezia, c’è incastonato un bassorilievo rappresentante Alessandro Magno assunto in cielo da due grifoni che lo tirano su come se fosse seduto su un’altalena (anche qui due uccelli alle estremità superiori del filo). È quella una ben strana icona per una chiesa cristiana! Potrebbe spiegarsi con alcune dicerie che sostengono che in San Marco ci sarebbero, invece delle reliquie del santo (trafugate da due mercanti veneziani da Alessandria d’Egitto, come mostra il celebre dipinto di Tintoretto conservato nella Galleria dell’Accademia), le spoglie del condottiero macedone, che si trovava sepolto là vicino.

Ma c’è invece chi, come Raffaele K. Salinari (L’altalena. Il gioco e il sacro dalla Grande Dea a Dioniso, Edizioni Punto Rosso, Milano 2014) riconosce all’altalena antica la simbologia della morte, ma in un contesto che ne riafferma, contemporaneamente e sacralmente, la vita: “Nessun gioco come l’altalena può simboleggiare meglio la visione di un corpo e di un’anima uniti nel generare la combinazione di quiete e movimento che riflette, nel microcosmo umano, l’Intelligenza stessa che ordina e abbraccia il Cosmo (…) La sensualità, l’erotismo del dondolio, arriva a noi dalla trasformazione di un gioco (l’altalena) che antichi miti descrivono come simbolizzazione della morte (…) Sinossi dell’esistenza, metafora dell’origine che sempre torna alla sua meta, l’altalena è un prisma, un gioco d’aria, un volo magico concesso agli umani”(pag. 41).

Le altalene hanno un movimento oscillatorio che scandisce il tempo come un pendolo. Ma, in realtà, sembrano proprio un tentativo escogitato dagli umani per fermare il tempo. Un paradosso non indagato a fondo dalla Teoria della relatività. Infatti quel moto oscillatorio sembra arrestare in due punti simmetrici il movimento. C’è ogni volta un attimo di sospensione, quando si esaurisce la spinta verso l’alto, nel quale ci si sente fermi e sembra che non si tornerà più giù. Lo sperimentai, da bambino, al mare con la più bella altalena di tutto il litorale versiliano: quella del Bagno Buonamici di Lido di Camaiore. Sfuggito agli asfissianti controlli della nonna, provai a darmi la spinta massima, oscillando in piedi sulla tavoletta, piegando le ginocchia e flettendo le corde con bruschi scatti delle braccia. Arrivai così ad essere con il corpo quasi parallelo al suolo. Una volta avanti e una indietro mi trovavo a sfiorare il campo del non-movimento e tutto ciò che avevo attorno sembrava arrestarsi. Pagai caro quella sfida alle leggi di gravità: caddi a terra pesantemente battendo la schiena e, mentre tentavo di rialsarmi, mi beccai sulla nuca un violento colpo della tavoletta che continuava a oscillare sgravata dal mio ingombrante peso. Al Pronto soccorso mi dettero due punti e per anni mi tenni lontano da quell’infernale marchingegno che illude l’uomo, come molti altri macchinari, fornendogli delle possibilità che la Natura non gli ha dato.

Con il termine “altalena”, in italiano, si intendono due tipi di giochi da giardino: altalena con movimento oscillante (avanti e indietro) e mono posto; altalena con movimento basculante (su e giù) a due posti.
Ma alla categoria delle altalene appartiene anche il Dondolo. Così si intitola un atto unico di Samuel Beckett: Rockaby (1980). Come tutti gli ultimi suoi lavori è un dramma dell’inazione, sottolineata dal movimento meccanico della vecchia protagonista sul dondolo, determinato meccanicamente e non da lei, in un continuo ripetersi di frasi che sottolineano l’incessante fluire del tempo e delle cose.
L’altalena è forse la succedanea del dondolo. È la continuazione del rassicurante, e rilassante, su e giù che ci ha cullato nell’infanzia.
Forse è anche per questo che può esser usata come rappresentazione degli schemi oscillatori delle polarità. Lo storico dell’arte Aby Warburg, nel 1890, quando andava definendo la sua idea ritmica della temporalità, disegnò un’“altalena perpetua” (die ewige Wippe) nel cui punto di equilibrio danza – o si dibatte, come sospetta Georges Didi-Huberman – un piccolo personaggio contrassegnato dalla lettera K. È questa la rappresentazione dell’artista (Künstler) sballottato tra forze opposte e oscillanti.

Francesco Cataluccio

Ha studiato filosofia e letteratura a Firenze e Varsavia. Ha curato le opere di Witold Gombrowicz e Bruno Schulz. Dal 1989 ha lavorato nell’editoria e oggi si occupa della Fondazione GARIWO-Foresta dei Giusti. Tra le sue pubblicazioni: Immaturità. La malattia del nostro tempo (Einaudi 2004; nuova ed. ampliata: 2014); Vado a vedere se di là è meglio (Sellerio 2010); Che fine faranno i libri? (Nottetempo 2010); Chernobyl (Sellerio 2011); L’ambaradan delle quisquiglie (Sellerio 2012); La memoria degli Uffizi (Sellerio 2013); In occasione dell’epidemia (Edizioni Casagrande 2020); Non c’è nessuna Itaca. Viaggio in Lituania (Humboldt Books 2022).