Elogio della lentezza veloce

Si apre oggi a Riva del Garda il Congresso di Slow Food. Ho incontrato questa organizzazione alcuni anni fa grazie un suo simpatico dirigente sardo, dolce e intelligente, che incarna bene una filosofia della vita fatta di rispetto, amore per le cose buone e belle, senso della giustizia e della dignità. Grazie a Slow Food ho riscoperto il senso di due cose importanti del mio passato:
a) l’educazione ricevuta, agli inizi degli anni Sessanta, alle elementari, nella scuola sperimentale di Firenze: chiamata “Scuola Città Pestalozzi”, dove si coltivavano gli orti nel giardino e si cucinava a turno il cibo della mensa;
b) lo studio della Filosofia all’Università: in particolare il seminario sul pensiero del filosofo tedesco Ludwig Feurbach, quello noto per l’affermazione, entrata in modo superficiale nel senso comune: “Ogni uomo è ciò che mangia”. In realtà, quella frase la si capisce bene se si impara che in tedesco i verbi “sein” (essere) ed “essen” (mangiare) derivano dalla stessa radice. Il mangiare è quindi il nostro essere.

L’attenzione al cibo è rispetto per noi stessi e per il mondo. Slow Food ha, con un’intuizione eccellente, legato questa attenzione alla lentezza. Non si tratta però, come molti credono, soltanto di una contrapposizione al dilagare del cibo veloce, quello somministrato nei Fast Food, ma la convinzione che quella lentezza porti tre cose: Salute, Piacere, Futuro.
Il cibo sano (che è vicino e rispettoso della terra e delle culture, attento a non sprecare e ricco di memoria) si è legato con gli anni al piacere di gustare e bere cose buone e ben fatte. La Salute e il Piacere del cibo sono acquisizioni sociali e culturali che, grazie al lavoro dei dirigenti e militanti di Slow Food, hanno ormai una considerevole solida base, anche in un paese traballante come l’Italia.

Rimane il problema del Futuro. Per realizzarlo, la questione della lentezza, credo vada pensata in modo diverso da come, comprensibilmente, lo si è fatto fino ad oggi. Mi ha colpito che tutti e due i documenti congressuali facciano riferimento alla favola di Luis Sepùlveda, Storia di una lumaca che scoprì l’importanza della lentezza. Sepùlveda va forte con Slow Food. È stato appena pubblicato, da Guanda, un interesante libro, scritto proprio da Sepùlveda con Carlo Petrini: Un’idea di felicità. Ma, secondo me, troppo semplicistico associare la lumaca alla lentezza! Non ci aiuta a capire che cosa si possa intendere per lentezza. Questa parola è stata abusata negli ultimi decenni, proprio come è stato fatto con il termine leggerezza (reso popolare dalle Lezioni americane di Italo Calvino, e da Milan Kundera).

Oggi c’è invece bisogno di affrettarsi, perché le questioni del cibo, della biodiversità, dell’acqua, della scarsità di risorse e mezzi, sono diventate urgenti e impongono un cambio di passo nella nostra azione. Se vogliamo avere un Futuro. Il motto e la filosofia della mia “Scuola-città “Pestalozzi”, quella dove si coltivavano gli orti e si imparava a far da mangiare, era: Festina lente (“affrettati lentamente”). Un motto che Svetonio attribuì al saggio Imperatore Augusto; un motto che era stato usato, accostandolo alla figura di una tartaruga con la vela, da un mangione saggio e astuto come Cosimo I dei Medici e scelto da quel pioniere dell’editoria che fu il tipografo veneziano Aldo Manuzio, grazie al quale, dal Cinquecento, abbiamo potuto nutrirci di buoni libri.

Slow Food deve inizare ad avere una lentezza veloce. Per far questo deve anzitutto valorizzare ancora di più le esperienze straordinarie di Terra Madre, di Slow Fish, del lavoro per gli orti nelle scuole e della creazione degli orti in Africa. Andar veloci significa oggi assumere ancor di più una dimensione internazionale che, attraverso il consolidamento di una fittà rete di rapporti, metta in comune esperienze e culture. Bisogna costruire una fratellanza attorno a una filosofia della vita e del nutrimento, e quindi impegnarsi con tutti i mezzi per un Piano educativo di Slow Food che, a tutti i livelli, aiuti a creare nuove professionalità nel campo della nutrizione e aiuti i giovani a riscoprire il lavoro della terra. Solo così ci si potrà preparare ad affrontare le crisi che i prossimi anni ci riserveranno. Anche per questo Slow Food deve cominciare ad andar veloce con la politica: essere con sempre più autorevolezza un punto di riferimento, proponendo progetti e criticando chiaramente e pubblicamente le scelte dettate solo dalle speculazioni. L’atteggiamento verso l’Expo 2015 mi sembra non sia stata sufficientemente chiaro e se, da una parte, ci permetterà (speriamo!) di far conoscere le nostre idee e pratiche in un contesto di risonanza mondiale, dall’altro rischia (se non terremo gli occhi e le orecchie ben aperti) di farci trovare in situazioni imbarazzanti.
Di un altro tipo di protagonismo politico ha bisogno Slow Food. L’Italia e l’Europa, come tante altre parti del mondo, hanno rapidamente bisogno di grandi idee che migliorino la vita della gente. Come diceva un vecchio detto ebraico: “Se non ora, quando?”.

Francesco Cataluccio

Ha studiato filosofia e letteratura a Firenze e Varsavia. Ha curato le opere di Witold Gombrowicz e Bruno Schulz. Dal 1989 ha lavorato nell’editoria e oggi si occupa della Fondazione GARIWO-Foresta dei Giusti. Tra le sue pubblicazioni: Immaturità. La malattia del nostro tempo (Einaudi 2004; nuova ed. ampliata: 2014); Vado a vedere se di là è meglio (Sellerio 2010); Che fine faranno i libri? (Nottetempo 2010); Chernobyl (Sellerio 2011); L’ambaradan delle quisquiglie (Sellerio 2012); La memoria degli Uffizi (Sellerio 2013); In occasione dell’epidemia (Edizioni Casagrande 2020); Non c’è nessuna Itaca. Viaggio in Lituania (Humboldt Books 2022).