Fracking e consumo d’acqua

La recente trasformazione dell’industria del gas naturale degli Stati Uniti ha portato all’attenzione la relazione tra acqua e energia. La rivoluzione del fracking – fratturazione idraulica, in italiano – ha contemporaneamente abbattuto i prezzi del gas naturale in America e restituito vigore ai sogni di indipendenza energetica, generando però un robusto movimento di opposizione ambientalista. Il fracking, schematizzando brutalmente, è la tecnica usata per l’estrazione di gas naturale da sorgenti non convenzionali come gli shale o i depositi profondi di carbone. In pratica, si iniettano sottoterra acqua e sostanze chimiche ad alta pressione per spaccare le rocce ed estrarre il gas che contengono. Parte dell’acqua usata ritorna inquinata e viene iniettata in pozzi cementati per sigillare i liquidi tossici. Le stime più recenti [1] indicano che la quantità media d’acqua utilizzata per pozzo è 20 milioni di litri l’anno. Siccome i pozzi di shale gas sono oltre 30.000 solo in USA, l’allarme ambientalista per l’eccessivo consumo d’acqua non sembra ingiustificato.

A queste affermazioni manca però un termine di riferimento. Parlare di miliardi di litri d’acqua consumati ogni anno per il fracking senza un paragone è solo disinformazione. È ovvio che rispetto all’inazione ogni litro d’acqua consumata sia troppo. Per mettere in prospettiva il consumo d’acqua per l’estrazione dello shale gas è utile rifarsi all’esperienza americana, il Paese che ha maggiormente sfruttato il fracking. Secondo la Energy Information Administration, nel 2011 sono stati completati 27.000 pozzi di shale gas. Usando le stime medie del consumo d’acqua per pozzo, il consumo d’acqua totale per le operazione di fracking in USA nel 2011 si quantifica dunque in circa 500 miliardi di litri (ML) d’acqua.

Ora, il totale dei prelievi d’acqua in USA è pari a 500.000 ML d’acqua l’anno, principalmente per agricoltura, raffreddamento delle centrali termoelettriche, applicazioni industriali e domestiche [2]. Non tutta l’acqua prelevata viene consumata. Gran parte dell’acqua usata per il raffreddamento delle centrali termoelettriche, ad esempio, viene restituita all’ambiente scaricandola nei corsi d’acqua. Il consumo totale annuale effettivo d’acqua negli USA è circa 170.000 ML, un terzo dei 500.000 ML di cui sopra. Nel caso del fracking, l’acqua prelevata è consumata quasi per intero. Circa l’80 per cento resta bloccata nelle rocce porose, mentre il restante 20 per cento ritorna contaminata e viene sigillata in pozzi profondi. Tuttavia, i 500 ML consumati ogni anno per il fracking rappresentano solamente lo 0.3 per centro del consumo totale nazionale d’acqua americano. Per restare in Europa, l’Italia consuma circa 70.000 ML d’acqua all’anno, principalmente per l’agricoltura, oltre 100 volte il quantitativo totale utilizzato dalle operazione di fracking in America.

Calandoci maggiormente nella specificità delle operazioni energetiche, il consumo d’acqua del fracking assume una dimensione precisa. Le stime più recenti sul consumo d’acqua per unità d’energia collocano il fracking in posizione migliore degli altri combustibili fossili (carbone e petrolio) [3]. Il consumo d’acqua per la produzione di gas tramite fracking è infatti compreso tra i 7.5 e i 23 litri d’acqua per MegaWattora termico. Per contro, per estrazione e pulizia del carbone si consumano 2-4 volte più acqua, e con la produzione di petrolio onshore va ancora peggio (4-10 volte maggiore). Per quel che riguarda le centrali, la quantità d’acqua per unità di energia elettrica consumata dalle centrali a gas naturale a ciclo combinato è inferiore alle centrali a carbone e olio combustibile, anche in virtù della migliore efficienza. Insomma, se shale e centrali a gas venissero usati nella produzione di elettricità in sostituzione di carbone o petrolio consumeremmo meno acqua. Questo dicono i numeri.

Va però sottolineato come, al contrario delle altre fonti fossili, l’utilizzo d’acqua nelle operazioni di fracking è locale e deve pertanto essere gestito con attenzione. A partire dal 2011, ad esempio, il consumo idrico totale annuo per tutti i pozzi di gas shale in Texas ammontava all’1 per cento del totale. In uno Stato arido come il Texas, tuttavia, la domanda d’acqua supera tipicamente l’offerta e anche un aumento dell’1 per cento accentua la competizione in un mercato già sotto stress e pertanto non va trascurato. Non sorprende dunque che l’aumento previsto della produzione di shale gas in Texas stia concentrando l’interesse della ricerca sulla riduzione del quantitativo d’acqua utilizzata per pozzo. Già oggi una percentuale crescente proviene da acqua riciclata o salmastra [4], mentre sono allo studio soluzioni basate su propano o altri materiali.

In conclusione, è indubbio che, vuoi per le ricadute economiche vuoi per le implicazioni ambientali – ambedue probabilmente positive – lo shale gas rimarrà uno degli snodi fondamentali della politica energetica di questi e dei prossimi anni. Una questione da monitorare costantemente per la capacità di condizionare la geo-politica e l’economia mondiale.

[Questo articolo è apparso su Agienergia Tecnologia e Industria, ieri].

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Bibliografia
[1] dal database FracForum.org (2012).
[2] DOE / Lawrence Livermone National Labs (2011).
[3] Water Consumption of Energy Resource Extraction, Processing and Conversion – Energy Technology Innovation Policy Research Group (2011).
[4] Bureau of Economic Geology (2011).

Filippo Zuliani

Fisico, ingegnere, analista e acciaista. Vive e lavora in Olanda, tra produzione industriale e ricerca universitaria. Sul suo blog parla di energia, materie prime, materiali, trasporto più qualcosa di economia e storia. Sperabilmente con senno.