Ho offeso un sistema culturale

La notiziola è che il Consiglio di disciplina dell’Ordine lombardo dei Giornalisti ha deciso di sospendermi per due mesi dalla professione e dallo stipendio, questo a causa di un articolo che pubblicai su Libero il 28 luglio 2016 e che fu titolato «Perché l’Islam mi sta sul gozzo». Una giovane collega, che non conosco, lesse l’articolo – che ebbe un certo seguito – e ritenne di fare un esposto contro di me: c’è gente che in agosto fa queste cose. Il risultato, dopo un pacato processino, è questa condanna incredibilmente severa rispetto alle abitudini dell’Ordine: è una sentenza comunque appellabile e, da principio, avevo pensato di riservare ogni reazione alle sedi competenti, come si dice: poi ho letto le motivazioni del giudice estensore (un avvocato che si chiama Claudia Balzarini) e sinceramente non ce l’ho fatta. Questo per due ragioni: la prima è temperamentale mia, la seconda riguarda puramente la libertà di espressione garantita dalla Costituzione, che non è solo affar mio. Anticipo solo questo: trovo riprovevole che il regolamento del Consiglio di disciplina permetta che una non-professionista, che ho diritto di giudicare di dubbio livello culturale e di forte condizionamento ideologico, possa privare un giornalista e relativa famiglia dei mezzi di sostentamento per mesi due: e questo, a mio dire, non per una palese violazione di alcuna legge (in particolare viene citata la Legge Mancino, quella che vieta la diffusione di idee fondate sull’odio razziale) bensì, sempre a mio dire, per le sue personali visioni del mondo.

Ci sarebbe il problema, ora, di illustrare l’oggetto del contendere (l’articolo) senza che suoni come un pretesto per riproporlo tale e quale: suonerebbe provocatorio e non mi va. Quindi dovrete fidarvi di una sintesi dei concetti esprimeva: e lo faceva con grande chiarezza, vi assicuro. Unica premessa: il linguaggio era durissimo, volutamente durissimo: e questo come reazione all’impossibilità, oggigiorno, di esprimersi liberamente sull’Islam con lo stesso comune linguaggio che si riserverebbe ad altri temi, senza dover porre tremila distinguo ogni volta: «Ho esagerato consapevolmente e lucidamente», ho detto durante l’audizione all’Ordine.

Dopodichè, passando all’articolo, in esso ho espresso il personale diritto di poter odiare l’Islam, tutti gli Islam, dunque gli islamici e la loro religione che giudico addirittura peggiore di tutte le altre: perché – anche su questo sono stato chiarissimo, durante il processino – io le religioni le detesto tutte, alla maniera dei razionalisti inglesi: non sono mai stato un teo-con, non m’interessa contrapporre una religione a un’altra: tanto che, su questo giornale, ho espresso critiche durissime anche contro il Papa e il Vaticano (forse l’estensore della sentenza non avrebbe gradito neppure quelle, scrivendo lei su Famiglia Cristiana) e questo senza che nessuno mi denunciasse all’Ordine. Certo, alla teosofia islamica ho riservato un’intolleranza particolare perché trattasi di un credo totalizzante e imperniato sulla sottomissione altrui, o – per fare un solo esempio – sulla considerazione della donna come essere inferiore. Dal mio articolo: «Io non odio il diverso: odio l’Islam, perché la mia (la nostra) storia è giudaica, cattolica, laica, greco-latina, rousseiana, quello che volete: ma è la storia di un’opposizione lenta e progressiva e instancabile a tutto ciò che gli islamici dicono e fanno». Da qui un’intolleranza (mia) anche per dettagli che sono liberissimo, credo, di poter detestare apertamente: dalle moschee ai tappeti che puzzano di piedi, dai veli femminili al cibo involuto, dall’ipocrisia sull’alcol a cose più serie come «le teocrazie, il loro odio che è proibito odiare», soprattutto «quel manualetto militare che è il Corano», che a sua volta devo poter criticare esattamente, ritengo, come posso fare col Vangelo o chessò, col Mein kampf: che trattano idee o ideologie – tali sono anche le religioni – e non singole persone. Sempre dal mio articolo: «Odio l’Islam perché l’odio è democratico esattamente come l’amare, odio dover precisare che l’anti-islamismo è legittimo mentre l’islamofobia no, perché è solo paura: e io non ne ho, di paura… Odio l’Islam, ma gli islamici non sono un mio problema: qui, in Italia, in Occidente, sono io a essere il loro».

Bene. Ora qualche estratto dalla sentenza, del cui livello possiamo avere un’idea sin dall’incipit: «Facci ha respinto con fermezza l’accusa di razzismo. Questa è la premessa che solitamente accompagna tutte le affermazioni di carattere razzista». Chiaro: è come dire che dirsi innocenti, in tribunale, sia un primo indizio di colpevolezza: il livello è questo, e per non essere scorretti tralasceremo gli errori materiali di scrittura (sbagliano a scrivere «jihad», ma a ciascuno il mestiere suo). A ogni modo, «Le affermazioni contenute nell’articolo hanno un evidente carattere razzista e xenofobo»: e qui, francamente, c’è da averne abbastanza dell’espressione «razzista» adottata ormai come termine passpartout quando ha invece un significato etimologicamente e storicamente preciso, vedasi vocabolario: è l’idea che la specie umana sia divisibile in razze biologicamente distinte – con diverse capacità intellettive, valoriali o morali – con la convinzione che un raggruppamento razziale possa essere superiore a un altro. Questo è il razzismo, imparentato con la xenofobia che è, invece, una generica paura dello straniero. Ma se è vero che il mio articolo parla di idee, attenzione, «la parte peggiore è proprio quella che riguarda le idee e che consiste in un attacco e in un’offesa ad un intero sistema culturale». E se anche fosse? Siamo al reato di vilipendio islamico? «Facci offende una religione e un intero sistema di valori. Non può non rilevarsi che, per l’Islam, il Corano ha un valore diverso di quello (sic) che per le altre religioni rivelate hanno i libri sacri». Ergo, se abbiamo letto bene: il Corano non si può offendere, gli altri libri già di più. Mistero: resta che trattasi, l’articolo, di «attacco diretto, indiscriminato e generalizzato verso un gruppo di persona (sic) che costituisce un quarto del genere umano». Verrebbe da rispondere che gli idioti forse sono anche di più, tuttavia la Costituzione non ci impedisce di criticarli. Nell’insieme, è semplicemente pazzesco. Mi avessero detto «hai ecceduto nel linguaggio e allora ti sanzioniamo», forse avrei capito. Ma questa è un’altra cosa. E rischia, sissignori, di essere lo specchio di un’epoca.

(Libero, 17 giugno 2017)

Filippo Facci

Giornalista e scrittore, lavora a Libero, ha collaborato con il Foglio, il Riformista e Grazia. È autore di Di Pietro, La storia vera