Culone che non lo erano

Ai tempi della «macchina del fango» (il Giornale versus Dino Boffo, direttore di Avvenire) fioccarono esposti e provvedimenti dell’Ordine dei Giornalisti. Me lo ricordo bene, anche perché intervenni ad Annozero e diedi torto marcio a Vittorio Feltri.

Ora io mi chiedo che cosa dovrebbe accadere a margine del più vergognoso falso giornalistico degli ultimi anni, quello del Berlusconi che al telefono definisce «culona inchiavabile» Angela Merkel. In generale, dal 2010 in poi si è associato alla «macchina del fango» il raccogliere materiale d’accatto e il pubblicare intercettazioni irrilevanti: ma qui siamo di fronte a intercettazioni inesistenti che hanno portato un danno incalcolabile – incalcolabile davvero, non è un’espressione messa così – a un intero Paese.

La premessa è che, a Bari, sono stati resi pubblici tutti i faldoni con le intercettazioni tra le quali avrebbe dovuto esserci quella sulla Merkel: ma l’intercettazione non c’è. I giornalisti li hanno letti tutti: non c’è. È pieno di intercettazioni penalmente irrilevanti (che non sono state stralciate, evidentemente) ma quella non c’è. E se non c’è, non fosse chiaro, significa che non esiste. Formalmente e informalmente. Eppure non c’è italiano anche analfabeta che non attribuisca a Berlusconi quella battuta.

Riassunto. Siamo nel settembre 2011 e a Montecitorio circolano come sempre dicerie e pettegolezzi d’ogni genere. In mancanza d’altro, comincia a darne forma Riccardo Barenghi in un corsivetto satirico sulla Stampa: «Al punto in cui siamo ci mancherebbe solo che uscisse un’intercettazione in cui Berlusconi dice volgarità sulla Merkel». Ma sin qui ci sta, è il nulla, e nel nulla ritorna. Anzi no. In Transatlantico il vociferare continua, fisiologico, poi ovviamente si trasfonde ai giornalisti. Ma siamo sempre a livello di chiacchiera: chi la pubblicherebbe una cosa del genere, fondata sul nulla? «Forse Dagospia», insinua qualcuno: ma a Dagospia non sono mica scemi, e non pubblicano niente. Anche su Facebook qualche collega ci gira attorno, allude: ma siamo alle battute, mica è giornalismo.

Ci pensa il Fatto Quotidiano a risolvere subdolamente tutto: raccontando la storia del pettegolezzo e mettendo nero su bianco l’espressione «culona inchiavabile». Anzi, la mette anche nel titolo di prima pagina («Berlusconi ha detto culona alla Merkel») e poi in quello di pagina 3 («Cucù, la Merkel è inchiavabile»). E hanno anche la faccia di cominciare l’articolo – di Sara Nicoli – così: «La calunnia, si sa, è un venticello». E siccome ogni refolo va trasformato in tornado, accorre subito Marco Travaglio, che nell’editoriale annota: «La posizione dell’Italia non migliorerebbe se, per rimediare, Berlusconi dicesse che Merkel è un culetto inchiavabile… certo, se fosse tutto vero, non vorremmo essere tra i titolisti del Corriere».

Vero non è, ma al Fatto, nei giorni successivi, fanno come se lo fosse. Il giorno dopo comincia l’ex magistrato Bruno Tinti a pagina 18: «Se la storia di Berlusconi che dice della signora Merkel “è una culona inchiavabile” fosse vera…». Due giorni dopo il Riformista scrive che la calunnia-notizia sta facendo il giro del mondo. Il 13 settembre Luca Telese, sul Fatto Quotidiano, la considera cosa assodata in un’articolessa sulle «gaffe planetarie di Silvio», e spiega che «ci dev’essere una nemesi, se l’ingiuria goliardica che fino a ieri sarebbe stata archiviata con un’alzata di spalle, sul piano internazionale, oggi è stata punita dal flagello vendicativo del tasso impazzito». C’è una nemesi.

La patacca scivola lentamente sinché il 15 settembre arriva l’economista. «L’intercettazione sulla culona Merkel pesa sull’euro», annota Stefano Feltri ovviamente sul Fatto: «Poco importa ormai che sia vera o falsa, perché sta diventando uno degli elementi che alimentano la ritrosia tedesca nei confronti dell’Italia». Poco importa. In effetti il tabloid tedesco Bild, scambiando il giornalismo italiano per una cosa seria, si era appena chiesto: «Berlusconi ha insultato la Merkel?». Da qui la conclusione di Feltri: «Se l’intercettazione dovesse materializzarsi, giustificare il salvataggio dell’italia per la Merkel sarebbe ancora più difficile». Ma non c’è bisogno che si materializzi: basta la macchina azionata dal Fatto. Gli schizzi finiscono anche su Die Welt e vengono ripresi da Repubblica, poi tutto di conseguenza. Si legge che l’ambasciatore tedesco medita di lasciare l’Italia e che solo un intervento del Quirinale scongiura la crisi.

Il Fatto (articolo di Mario Portanova) il 19 settembre 2011 diventa certosino: «L’intercettazione che rischia di pregiudicare i rapporti tra Italia e Germania nel mezzo della peggiore crisi economica che abbia mai colpito l’Unione europea resta custodita gelosamente negli uffici degli inquirenti di Bari… il brano incriminato non è mai uscito, ma le indiscrezioni lo collocano in un punto preciso dei verbali redatti dalla Guardia di Finanza». Dopo il luogo, il Fatto indica anche la data e l’ora dell’intercettazione che non esiste: le 11:53 del 5 ottobre 2008.

Il 30 settembre l’autrice del primo articolo sul Fatto, Sara Nicoli, ha addirittura la faccia di scrivere che Berlusconi sta approntando apposta una legge-bavaglio per impedire che esca l’intercettazione sulla culona. Prima pagina.

Ora: la storia e la leggenda è proseguita per anni, inutile tirarla lunga: non sapremo mai con precisione quanti miliardi di euro e quanti punti di spread ci sia costata, sappiamo che quell’intercettazione, ora, non esiste, non esisteva. Era una gigantesca palla che rotolava a valle e via via si ingigantiva: ma non era di neve.

Lunedì scorso, il direttore del Fatto Maarco Travaglio ha azzardato una risposta seminascosta e puerile. Forse distratto da altro – il collaboratore Aldo Busi l’aveva appena mollato, indignato dalla doppia morale di Travaglio circa il privato sessuale di Lucio Dalla e quello di Berlusconi – il direttore ha scritto così: «Il Fatto non ha mai scritto che quella intercettazione esistesse, ma che nell’entourage di Berlusconi se ne parlava». Falso, come avete visto: ma se anche fosse vero, è come dire che basti attribuire a un qualsiasi «entourage» qualsiasi cosa per poterla sparare in prima pagina. Poi: «Che poi l’intercettazione non esista», ha aggiunto, «nessuno può dirlo con certezza neppure oggi: potrebbe benissimo esistere, ma essere stata stralciata dai pm baresi dagli atti depositati nel processo Tarantini perchè non penalmente rilevante». E qui ha mentito sapendo di mentire: se il criterio fosse stato quello della rilevanza penale, come detto, quasi tutti i 15 fascicoli depositati a Bari sarebbero da dare alle fiamme, visto che è quasi tutta roba voyeristica che il Fatto non a caso ha pubblicato immediatamente.

Notarella a margine: la storia è imparentata identica a quella che riguardò le tre ministre Brambilla e Carfagna e Gelmini quando si vociferò di un’intercettazione fantasma secondo la quale la Carfagna avrebbe detto di aver fatto una fellatio (pompino) a Berlusconi, e che la pratica era tra le predilette dell’allora premier. Anche quella sciocchezza fece il giro del mondo e si guadagnò pagine soprattutto in Sudamerica: a scriverla fu uno specialista, Fabrizio D’Esposito; scrisse che il contenuto hard delle intercettazioni poteva aver spinto Berlusconi a forzare la mano sull’ennesima legge-bavaglio. Guzzanti la riprese in un intervento e fu querelata: perse, perché l’intercettazione non esisteva.

Il post è finito, perché di qui in poi seguirebbero alcune noiose domande circa il ruolo dell’Ordine dei Giornalisti nella società italiana.

Filippo Facci

Giornalista e scrittore, lavora a Libero, ha collaborato con il Foglio, il Riformista e Grazia. È autore di Di Pietro, La storia vera