Caro Menichini

Però non esageriamo, per favore. Lo dico all’amico Stefano Menichini e a quanti, ora, parlano di «assenza di memoria» e poi dimostrano dolosamente di non averne. I fatti sono fatti, le date sono le date e soprattutto la maledetta democrazia dovrebbe funzionare in un certo modo: poi se volete richiamare eccezioni, perché c’è di mezzo Berlusconi, fate pure. Ma abbiatene il coraggio, dite così: io della democrazia me ne frego, perché questo è un caso speciale.

Nel giugno 2011, quando Napolitano contatta una prima volta Mario Monti per sondarne la disponibilità, non c’è nessuna emergenza economica pazzesca e dirompente, o meglio, non ce n’è più di quanto non ce ne fosse stata da molti anni. Il famoso spread era a 173. Ripeto, 173. Quindi è inutile, come fa Menichini, sparare genericamente che «nel giugno 2011 l’Italia politica parla solo e soltanto della irrimediabile crisi di credibilità del governo Berlusconi». Io c’ero e facevo lo stesso mestiere di Menichini, e sinceramente si parlava anche d’altro, e comunque non sono le «crisi di credibilità» che fanno o disfano i governi: sono gli elettori, e mi sento quasi retorico nel doverlo ricordare. Così pure è inutile raccontare cose tipo che «alla camera il premier si addormentava ripetutamente: era un uomo in caduta libera» e che «si scriveva apertamente di ipotesi di governi tecnici»: capirai, si scrive ogni giorno delle ipotesi più cervellotiche, e poi, insomma, non me ne frega niente di che cosa si scriveva. Figurarsi poi se il fatto che il centrosinistra avesse vinto delle elezioni comunali dovesse essere invalidante rispetto alle elezioni politiche, un segno, cioè, che «il consenso popolare era evaporato». Si perdoni la lezioncina, ma un governo avrebbe il diritto/dovere di governare sino alla fine del suo mandato e non sulla base di un monitoraggio in tempo reale dei suoi consensi. Questo in linea di principio: ma è un principio importante, altrimenti nessun governo potrebbe mai prendere misure impopolari e tuttavia necessarie. Non era il caso di Berlusconi? Chi se ne frega, il principio resta valido. L’altra scorrettezza di Menichini è attribuire quell’orrore che è il Porcellum soltanto al centrodestra, anzi, a «Berlusconi e Bossi»: a parte che tantissimo centrosinistra quel sistema se lo terrebbe volentieri – Pdl e Pd avevano un accordo tacito per tenerselo – gradirei ricordare che il primo risultato del Porcellum fu la vittoria di Romano Prodi del 2006.

In compenso c’è una frase di Menichini che mi è piaciuta molto, ed è questa: «l’esplosione dello spread sarà nient’altro che l’inevitabile voto di sfiducia da parte della comunità internazionale». Perché conferma l’ovvio, cioè che il governo Berlusconi – mai sfiduciato in Parlamento – fu sfiduciato dalla comunità internazionale. Basta ammetterlo. E scusate se qualcuno lo trova rilevante, tipo il Financial Times che l’ha messo in prima pagina ed è stato così provinciale da trovare rimarchevole il seguente schema: un capo dello Stato contatta segretamente un non-parlamentare affinché possa sostituire il premier che ha vinto le elezioni e sostituirlo con un governo tecnico gradito a Bruxelles: il tutto senza passare dalle urne. È quello che è successo. L’ha ammesso persino Zapatero, che nelle sue memorie (pagina 293) racconta che lui rispose «un no secco» alle richieste della Merkel e il risultato fu che «in due settimane la Spagna andò al voto», diversamente dall’Italia che non andò neanche al voto. Zapatero ha raccontato che l’evento chiave, nell’avvicendamento di Berlusconi, fu il G20 di inizio novembre 2011: ed è così, lo sappiamo tutti, anche senza un nuovo scoop di Alan Friedman.

Divertente poi che il Corriere Della Sera abbia lanciato lo scoop e poi nascosto la mano. Ha scritto Massimo Franco nell’editoriale di martedì: «Non deve scandalizzare che di fronte a una situazione in bilico un capo dello Stato sondi la possibilità di governi alternativi». Va bene, non deve scandalizzare e non ci scandalizziamo, resta però da capire perché l’abbiano messo in prima pagina e perché la notizia sia stata ripresa in tutto il mondo.
Io un’idea me la sono fatta. Forse qualcuno, residualmente, trova ancora interessante che:

– Alcuni organismi internazionali e alcuni capi di stato (compreso quello italiano) ci proibirono di andare a votare, diversamente dalla Spagna.

– Il governo Monti fu un commissariamento della politica e della democrazia italiana, un governo da accettare senza neppure sapere, noi, che cosa avesse intenzione di fare. Poi l’abbiamo visto.

– La fiducia data dal Parlamento fu sostituita dalla fiducia data dalla Banca centrale e dal Fondo monetario e dai famosi mercati.

– Per un paio d’anni il Parlamento divenne una sorta di ostacolo, di intoppo, una pastoia burocratica come parimenti sembrava considerarlo, a tratti, anche Silvio Berlusconi: Mario Monti tuttavia risolse definitivamente il problema, e senza beccare neppure un voto. Poi s’è visto quanti ne ha presi.

A me Menichini è tanto simpatico, ma in certe cose è un democristiano novantenne della Prima repubblica. Lui sa benissimo che lo scoop su Napolitano e Monti è importante e non è un «polverone», come ha scritto lui, e tantomeno lo sono tutte le reazioni che ha suscitato. Ma il timore dell’uso che venga fatto di una notizia, per Menichini, può essere più importante della notizia in sé. Un classico. Invece a me non me ne frega niente, non in questo caso. L’uso che Forza Italia e i grillini vogliano fare di questa notizia me la lasciano intatta così com’è. E, così com’è, per me basta e avanza.

Filippo Facci

Giornalista e scrittore, lavora a Libero, ha collaborato con il Foglio, il Riformista e Grazia. È autore di Di Pietro, La storia vera