L’azzurro passato

Si apprende nuovamente che «gli elettori del PdL rivogliono Forza Italia» e quindi «lo spirito degli inizi», ma confesso – umilmente, giuro – che non capisco che cosa voglia dire.

Com’era Forza Italia? Com’era lo spirito degli inizi?

Era che Forza Italia vinceva, e grazie tante: 21 per cento nel marzo 1994 e 30 per cento in giugno. Poi? Poi c’era la celebre videocassetta di Berlusconi, i primi sondaggi, i kit del candidato (opuscolo di Giuliano Urbani, programma in altre 11 videocassette, vademecum di comunicazione, audiocassetta con inno, bandiere e gagliardetti all’americana, penne, orologi, adesivi, spille, coccarde, cravatte) e poi c’erano i «club di Foza Italia» annunciati in 12 mila e già ridotti a 1500 nel tardo 1994, un fallimento non risollevato da «200-300 mila promoter azzurri» che non si videro mai.

La verità è che già nel 1994, dopo il trionfo delle Europee, Berlusconi ritenne che il partito leggero non fosse un limite bensì un requisito. Cosicché vari delegati, nominati dall’alto, procedettero alla nomina dei gruppi dirigenti locali: mancava cioè un gruppo dirigente eletto, allora come oggi. C’era Berlusconi, certo. E certo, c’era anche il sogno della «rivoluzione liberale»: ma sarebbe già buono ammettere che semplicemente non fu fatta (solo per colpa dei comunisti?) e sarebbe ottimo ricordare che i liberali autentici e pensanti, quelli arruolati nel 1994, sono stati fatti fuori tutti. Giudicate voi chi li abbia mediamente sostituiti.

Ora dicono: Marina Berlusconi. Ma sono i re o i dittatori che incoronano i figli, è avvilente anche doverlo ricordare. E sono i cortigiani e la servitù che plaudono all’investitura del rampollo: non la plebe che purtroppo si ostina ad affollare questo arretrato stato democratico. Se poi un tizio ha nostalgie monarchiche, beh, s’arrangi, s’iscriva a qualche loggia o a una pagina Facebook su Ferdinando di Borbone: insomma, l’argomento è così puerile che si fatica anche ad argomentarlo. Un leader non si decide, non si nomina, non si progetta, leader neppure si nasce. Lo si diventa. Silvio Berlusconi lo divenne perché aveva un carisma che in un momento irripetibile si è saldato con la storia che aveva alle spalle: gli italiani, nel 1994, ben sapevano chi era e lo associavano a una dimensione vincente, positiva, al famigerato «fare». Mentre Marina Berlusconi – non ce ne voglia – è la figlia di Silvio Berlusconi, punto. Potrebbe anche essere un genio, avere risorse sconvolgenti e assai ben custodite nel suo percorso professionale ereditario: ma è conosciuta come la figlia di Silvio Berlusconi, e i più non conoscono una sua specificità e probabilmente neppure la sua voce.

Non si citino precedenti improponibili tipo i Kennedy o i Bush: i figli d’arte esistono, come no, talvolta superano anche il maestro. Ma siccome, ripetiamo, siamo in un paese democratico, e non alla Mondadori, non c’è figlio o parente che possa saltare una serie di passaggi democratici noiosissimi e che anche i Kennedy e i Bush hanno dovuto affrontare: roba che nel centrodestra neppure esiste, tipo le primarie, i congressi, la conta, queste cose qua, e se avanza tempo un po’ di gavetta, di conoscenza o frequentazione del celebre Paese reale, insomma qualcosa che ci dia la prova che Marina Berlusconi non sia un ologramma mediatico ma che sia viva, e lotti insieme a noi.

Altrimenti si tratterebbe solo dell’ennesima e suprema «nomina» da parte di un Berlusconi che di «democrazia da basso», negli ultimi anni, non vuole più proprio saperne: gli piace il Porcellum, gli piacciono le nomine, detesta le primarie e il voto di preferenza. Ma questa nomina finale non potrebbe riuscirgli neppure se la volesse davvero: l’entusiasmo di qualche amazzone non fa testo, è il loro lavoro. Così pure le fantasie che si leggono su qualche giornale – solo perché le ha rilanciate Luigi Bisignani – speriamo siano fantasie per davvero.

Marina Berlusconi non è il Renzi di destra (il Renzi di destra è Renzi) e in ogni caso Marina diventerebbe, nella stra-peggiore delle ipotesi, solo il ventriloquo di un Berlusconi che non si rassegni al tempo che passa. Un Berlusconi che ha creato il PdL e che ora vorrebbe proporne anche il superamento. Un Berlusconi che fondò Forza Italia, nel 1994, e ora propone di fondare Forza Italia. Non è così che funziona. In un nuovo centrodestra Berlusconi probabilmente non ci sarà: perché, se ci sarà, non sarà nuovo.

Filippo Facci

Giornalista e scrittore, lavora a Libero, ha collaborato con il Foglio, il Riformista e Grazia. È autore di Di Pietro, La storia vera