Obiettivo 2006

La differenza tra «larghe intese» e «inciucio» è uno dei rebus della Seconda Repubblica, ma in attesa di risolverlo limitiamoci a dire che alle prossime elezioni il Pd è l’unico partito che corre davvero per vincere: ed è l’unico, perciò, che le elezioni può anche perderle. Gli altri puntano a un piazzamento – sono i numeri a dirlo – e quindi a vanificare una vittoria di Bersani, a sabotarla, rendergli impossibile un governo, costringerlo a scendere a patti. Nei soliti termini calcistici, sono tutti in campo a far catenaccio contro il Pd: il quale deve infilare almeno tre gol perché altrimenti la vera partita sarà negli spogliatoi del dopo elezioni. C’è chi mira a questo sin dal principio, per esempio un pettinato giocatore – coi calzettoni in loden – che oltretutto si atteggia anche ad arbitro. Nel dettaglio:

1) Berlusconi e la Lega non hanno nessuna speranza di raddoppiare i consensi (neanche se Berlusconi si mettesse a camminare sulle acque, neanche se trovasse una Gruber al giorno a spianargli la strada) e anche in caso di stupefacente successo resta impensabile l’idea di un governo Pd-Pdl: figurarsi se dopo tutto questo casino Bersani si mette a fare un governo con Berlusconi. Il chiaro obiettivo del Pdl, perciò, è battere il Pd in alcune regioni-chiave, giacché, in virtù del nostro disgraziato sistema elettorale, è sufficiente perdere in un paio di importanti regioni italiane per non avere una maggioranza significativa al Senato. Perdere in Lombardia e in Sicilia, cioè, per Bersani sarebbe fatale.

2) Ovvio che neanche uno come Ingroia abbia la minima possibilità di «vincere», ma in regioni come la Campania e la Sicilia potrebbe erodere l’asse Bersani-Vendola (lo dicono i sondaggi) e quindi potrebbe negare a Bersani la maggioranza al Senato: ragione per cui un Berlusconi ma anche un Monti, al Sud, possono tifare per Rivoluzione Civile, che a pensarci è una roba da pazzi.

3) Ed eccoci alla galassia centrista (nana, secondo alcuni, buco nero, secondo altri) ed eccoci cioè alla premiata Monti & Casini & Fini che al compromesso mirano dichiaratamente sin dall’inizio, iniettando il parassitismo Ccd-Cdr-Cdu-Udr-Udeur-Udc (più Fli) direttamente nella Terza Repubblica. Poi, siccome una vittoria netta del Pd non è comunque da escludere, c’è chi, come Italo Bocchino, già mette le mani avanti: «Una maggioranza Bersani-Vendola durerebbe sei mesi e riproporrebbe l’accordo Prodi-Bertinotti». L’ennesimo suggerimento a Bersani affinché tagli l’ala vendoliana, dunque: ma forse anche uno straccio di apertura – attenzione – al Pdl, visto che Bocchino, ieri su Twitter, non ha opposto dinieghi a chi gli prospettava «una coalizione con riformisti Pd e del Pdl». Tatticismi buoni per i feticisti del retroscena, dirà qualcuno. Anche perché Monti, come al solito, all’esito delle elezioni è interessato sino a un certo punto: «Le alleanze ci saranno dopo la campagna elettorale», ha detto ieri a Radio Montecarlo. Ma che il suo obiettivo sia l’ingovernabilità, nel frattempo, lo dimostra l’alleanza con Gabriele Albertini annunciata per la Lombardia, regione che da sola vale 49 senatori: «Il partito di Monti è la nostra lista, e molto probabilmente», ha detto Albertini, «il nostro logo sarà uguale a quello del Senato per Monti».

4) Intanto le aperture a Monti dello stesso Pd, forse non troppo convinto dei propri mezzi, non sono un’invenzione dietrologica. Ieri Bersani, anticipato da Enrico Letta, ha liquidato Berlusconi e ha detto questo: «Intendo lavorare per un governo dei progressisti aperto a un dialogo con forze democratiche progressiste e moderate che siano ostative a un revival berlusconiano, leghista e populista». Amen. E poco importano le risposte insipide e interlocutorie di Monti: il quadro pare chiaro, anche se a guastarlo potrebbero contribuire – se autentiche – le richieste esorbitanti già predisposte da Pierferdinando Casini, il nuovo Mastella: se il Pd non vincesse anche al Senato, come detto, Bersani dovrebbe a cedere il premierato direttamente a Monti. Questa la pretesa. A incoronamento di un tecnocrate – e questo lo percepiscono davvero tutti – che si ritiene dotato di un valore aggiunto eccezionale rispetto a quello che le urne potrebbero banalmente certificare.

(Pubblicato su Libero)

Filippo Facci

Giornalista e scrittore, lavora a Libero, ha collaborato con il Foglio, il Riformista e Grazia. È autore di Di Pietro, La storia vera