A tempo indeterminato

Sono contrario al matrimonio e basta: che sia etero o gay. Sono contrario, cioè, all’assurdità per cui in Italia debba esistere un solo tipo di contratto matrimoniale – perché un matrimonio è anzitutto un contratto – quando al mondo non esiste solo l’unione di due persone con l’obiettivo della progenitura: esiste un mercato di affetti e relazioni che avrebbe bisogno di un ombrello giuridico per uomini e donne, conviventi, non conviventi, giovani o vecchi che vogliano tenersi compagnia o anche solo dividere le spese, eccetera. Assistere un partner malato, lasciargli un’eredità o la pensione, persino visitarlo in carcere od organizzargli i funerali: tutti diritti negati (in Italia) che non c’entrano niente col matrimonio gay o con l’adozione dei figli.

C’è una società complessa con diritti e doveri che andrebbero comunque regolati: eppure l’unico modo di farlo, nel 2012, è infilarsi in un tunnel grottesco di riti formali, pubblicazioni ufficiali, anelli e fiori, deficienti che ti tirano il riso, lunghe procedure di eventuale divorzio. Non è vero che basti una scrittura privata dal notaio: il diritto matrimoniale ha sempre l’ultima parola. Ergo, in Italia non esiste nessun altro genere di riconoscimento legale, istituto giuridico, partenariato registrato, politica della cittadinanza. E perché? Per colpa – in raffinata sintesi – dei preti.

Filippo Facci

Giornalista e scrittore, lavora a Libero, ha collaborato con il Foglio, il Riformista e Grazia. È autore di Di Pietro, La storia vera