Zelda, 2017

A Milano, in un cortile interno di via Dante c’è un negozio di fotografia che, negli anni, grazie al lavoro appassionato di Ryuichi Watanabe, è diventato il punto di riferimento per chi affronta con amore e rispetto la fotografia.

Ryuichi è arrivato dal Giappone negli anni ottanta, io l’ho conosciuto molti anni fa, quando lo avevo aiutato con il database di Filemaker con cui gestiva il negozio; ma non parleremo di fotografia, almeno per oggi.

Eravamo alla fine degli anni novanta, sulla sua scrivania ho visto un gameboy con uno dei primi giochi della serie dei Pokemon, così ho iniziato a parlare di videogiochi con lui e a raccontargli di Ocarina of Time a cui stavo giocando in quei giorni. Mi ricordo, come fosse oggi, che Watanabe si è illuminato e sospirando mi ha detto che “eh Zelda. Zelda non è un gioco, è un’esperienza.”
Lo ha detto con tutto il significato che riesce a trasmettere un’emozione.

Giovedì notte, mentre collegavo il nuovo Nintendo alla tv e infilavo la minuscola scheda con il nuovo, gigantesco, mondo di Hyrule, ho pensato a quelle parole e al coinvolgimento emotivo che certi giochi sono capaci di trasmettere, vuoi per come sono in grado di farci immergere nel loro universo, sia per come quell’universo sia pregno delle nostre memorie.

“Eh, è solo un gioco” direbbe un mio amico, cinico e superficiale, ma io non sto già più ascoltandolo, mentre cerco la mia strada sul Grand Plateu, lasciandomi guidare da un vecchio saggio che somiglia a Babbo Natale.

Link è tornato e io sono tornato a molti anni fa, questa è la magia che mi aspettavo da Nintendo. È tornata anche Zelda e, come tutte le principesse, deve essere salvata, per salvare il mondo.

“Sì, ma è così bello?” incalza l’amico interessato ai frame per secondo.

Io alzo un attimo la testa e l’unica parola che mi viene in quel momento è “Pazzesco”, poi aggiungo che a tratti è emozionante.

Mi ricorda la solitudine che ho provato giocando a Myst e la sensazione di libertà che suonava con le note dell’Ocarina del tempo; è divertente e imprevedibile, pur nel macro-plot che bisogna seguire; è pieno di enigmi che necessitano attenzione e intelligenza, ma anche di variabili che rendono ogni partita unica.

La prima notte ho giocato fino alle quattro, prima con lo Switch attaccato alla tv, poi staccandolo e continuando a letto, avvolto nel piumone, sentendomi come quando passavo le notti con il GameBoy e pensavo che quella piccola console in bianco e nero fosse un prodigio.

Sì, Nintendo mi ha regalato di nuovo un po’ di magia e riempiendo di bellezza e poesia un universo in cui sentirmi a casa.

Lo ha fatto con una console che ha un potenziale straordinario e lo ha fatto con un gioco che, come avrete intuito, non solo è più di un gioco, per la mia personalissima parte emotiva, ma è il nuovo standard di riferimento, al di là della mia emotività.

Fabrizio Re Garbagnati

Fabrizio, in un’altra vita, vendeva computer con la mela morsicata, aveva la barba bionda e una faccia molto seria. Adesso la barba è un po’ più bianca ma sorride molto di più, ascolta e racconta storie, qualche volta lo fa con le parole, altre volte con le sue fotografie.