Appunti per un proprio habitat creativo

Ci siamo quasi, è primavera. L’Istituto Europeo di Design di Roma invita una volta all’anno una ventina di persone da diverse parti del mondo a tenere dei workshop durante la settimana successiva agli esami degli studenti del primo e del secondo anno. Lo IED Factory è un momento dove i ragazzi normalmente divisi per corsi di studio sono liberi di scegliere e approfondire diverse tematiche in modo trasversale per conoscersi meglio e mettersi alla prova. Quando due mesi fa sono stato contattato mi sono chiesto solo una cosa: come lasciare loro una traccia che andasse oltre i cinque giorni di tempo.

Qualcosa che mi permettesse di vederli crescere e stringere un legame cuore a cuore con persone dalla straordinaria voglia di esprimersi in modo creativo. La prima intuizione che ho avuto è stata di scrivere un elenco ordinato di tutti gli errori che ho commesso durante gli ultimi dodici anni. In linea di principio, facendo anche solo quella lista di miei  personalissimi errori, ero più o meno sicuro che uno studente avrebbe tolto diversi anni di stupidaggini dal suo percorso di vita. Ho deciso invece di parlare di qualcosa di più approfondito della schiettezza riservata ai tavoli di un bar e di proporre allo IED e ai suoi studenti il corso che tengo in sessioni one-to-one, un corso intensivo che mira a sviluppare con chiarezza i primi passi della propria ricerca artistica per declinare la propria personalità su un media. Il corso si è trasformato in un incredibile banco di prova: il passaggio da lezioni one-to-one durante quest’ultimo anno ad un workshop di ben trentacinque studenti in buona parte entusiasti e dalle grandi qualità umane è stato un salto quantico. Ognuno un suo corso di studi, ognuno incattivito o impaurito o molto indeciso per via della sua percezione della realtà circostante (e come non comprendere questo genere di sensazioni, grazie Italia!), fino a trovarmi davanti ad un ragazzo che mi ha detto letteralmente ” A professo’ a me fa cagare tutto, non ho una passione, lasci perde”. Quel ragazzo alla fine dei cinque giorni ha sviluppato uno dei cinque progetti migliori o forse quello dei primi tre con una gittata più lunga nel tempo. Potevo parlare dei miei errori per cinque giorni di seguito, ma credo che dei propri errori bisogna provare una enorme gratitudine e ognuno ha il diritto di fare i propri. Abbiamo parlato di passioni perché alla fine dei conti una volta che capisci cosa davvero ti appassiona tutto si mette in moto e gli errori sono soltanto ottimo carburante. Sono molto grato di avere potuto condividere cinque giorni spettacolari con gli studenti che ricordo con grande affetto (il migliore è stato quello che la mattina del secondo giorno mi ha detto di aver scordato a casa il compito assegnato).

Diversi giorni prima del corso gli studenti hanno ricevuto questi appunti. Sono, mettiamola così, una introduzione al workshop. Molti appunti, tantissime considerazioni, varie frasi che mi hanno colpito prese da molti libri e via dicendo. Siamo in primavera, nel ciclo dell’anno è un momento di grande trasformazione. Sono molto contento se per caso questo materiale servisse ad altre persone. Credo che in definitiva non mi appartenga e che se può’ migliorare la vita creativa di qualcuno sto facendo la cosa giusta a pubblicarli anche se in forma di post su un blog nel mare magnum delle informazioni che si rinnovano continuamente nel web.

 

 

“When you are inspired by some great purpose, some extraordinary project, all your thoughts break their bonds: Your mind transcends limitations, your consciousness expands in every direction, and you find yourself in a new, great and wonderful world. Dormant forces, faculties and talents become alive, and you discover yourself to be a greater person by far than you ever dreamed yourself to be.” Patanjali
 
 Dedicato agli studenti dello IED di Roma 

 

Piccoli appunti prima di iniziare.

Tra pochi giorni avremo la possibilità di passare una settimana insieme.

Succedono troppe cose attorno a te ogni giorno. Questo enorme numero di stimoli ti porta ad essere particolarmente indifferente. Esistono davvero troppe cose, spesso molto simili. Oltre a questo non c’è più una grande contrapposizione tra l’essere alienati e l’essere parte della società. Basta uno schermo, una connessione wi-fi, e si ha come la sensazione di avere tutto ciò che serve.

Le migliori passerelle e i migliori illustratori, le migliori collezioni e i migliori video maker li puoi trovare immediatamente. Spesso però si cerca ispirazione in altre persone e luoghi senza avere iniziato a coltivare l’esperienza di attingere da se stessi qualcosa che serve a digerire quello che ci si trova intorno. Senza i propri enzimi esiste la copia, esiste la sicurezza del seguire un modello già testato, ma non esiste la propria partecipazione alla cultura del tempo. Non esiste la propria voce perché non esiste l’investimento iniziale, la forza iniziale, il potenziale, l’attitudine di chi sa che sta esponendo una propria idea e che non c’è nessuno che si batterà per farla conoscere ad altri se non se stesso. Chi segue, senza porsi le giuste domande con chiarezza, idee e concetti di altri, ritrova poco dopo il proprio lavoro nel rumore di fondo. Il rumore di fondo genera l’indifferenza di cui si parlava a riga uno.

La tua ricerca creativa, declinare te stesso in un media, la comunicazione del tuo sé agli altri, ha bisogno prima di tutto di fare chiarezza.

– Scrivi sempre le tue idee. Se le metti su carta, se le scrivi, sarai comprensibile. Se hanno una linearità di pensiero prosegui. Se non riesci ad organizzarle scrivendole è giusto che cerchi di capire se quello che stai cercando di esprimere non ti appartiene ancora oppure non é nelle tue corde, semplicemente. Se è una bella idea ma ancora non riesci a spiegarla in poche righe in modo sintetico devi ancora lavorarci sopra.

Devi arrivare al punto in cui quando una persona ti chiede su cosa si basa la tua ricerca tu possa spiegarlo senza che il dialogo si inceppi… Senza quel tipico gigantesco punto interrogativo che si crea sopra al sopracciglio di chi ti ascolta.

La tua ricerca creativa si deve spiegare in poco tempo e con chiarezza.

Nella creatività in generale, nell’arte, nei media, tutti coloro che ne fruiscono come spettatori possono esternare un giudizio, spesso dicendo che quello che hai realizzato è “facile”. Vedono un prodotto finito. Io vedo le cartelle di idee morte che sono state scritte e accatastate, guardo il “behind the scenes”. Molti vedono solo il prodotto finito, lo definiscono facile e dicono che possono farlo anche loro, questo crea un vero problema con persone che vogliono diventare famose ma che non vogliono lavorare duramente. Tra parentesi quello che hai appena letto non eè una mia considerazione, viene da uno scambio di idee con un gallerista di Tokyo che insegna ad Harvard con cui ho dialoghi aperti un po’ su tutto una volta ogni tanto, quando capita.

Quello che capirai molto presto è che raggiungere uno stile riconoscibile è solo un piccolo traguardo in un percorso molto più interessante. Se hai uno stile molto riconoscibile in cui nessun concetto può essere valutato stai eseguendo decorazioni. MI dispiace: ne più ne meno.

Ripeto, giusto per fare chiarezza: Il primo passo per fare qualcosa è spiegartelo. Lo spieghi a te stesso, si, esattamente. Ti metti li e scrivi cosa vuoi fare e perché. Fino a quando non è chiaro.

Quando una cosa è chiara il miglioramento sostanziale nella dinamica del tuo lavoro sarà sostanzialmente migliorato una decina di volte. Spesso sarai molto contento di quello che avrai realizzato. Anche i tuoi amici o le persone con cui condividi un percorso creativo saranno meravigliati dal risultato. Se già hai talento o hai capito quali sono i tuoi punti forti, anche dal punto di vista organizzativo, avere chiarezza sulla tua ricerca ti porterà ad essere contento di quello che avrai realizzato. Non è un errore intendiamoci ma essere appagati deve durare poco, c’é molta strada da fare.

Alla fine di ogni cosa che avrai realizzato chiediti solo una cosa: “Ok, e ora?”.

Non ascoltare i complimenti di chi sai non può’ capire quello che stai portando avanti. Stai facendo delle cose interessanti ma non cadere nella trappola dell’ego. Non accontentarti dei complimenti. I commenti sono sempre mediocri rispetto al tuo lavoro. Per definizione i commenti sono spesso mediocri, si basano sul “mi piace” o “non mi piace”. Ci saranno sempre dei bravo, mi piace, fantastico o è brutto, orrendo, Dio mio che schifo. Ma non sono i parametri con cui valutare una ricerca. Le persone hanno necessità di essere apprezzate e in questo breve momento storico questo bisogno è stato decuplicato. Se ne hai bisogno, metti alla prova quello che fai con persone di fiducia con cui hai costruito un dialogo artistico e ricorda sempre la tua domanda: “Ok, e ora?” Hai una ricerca in mano, non stai costruendo monoliti in cemento. Ogni cosa che viene chiamato risultato per te è una nuova domanda, sempre la stessa: “E ora?”. Sei in movimento, stai producendo e investigando la percezione che hai della realtà circostante. Se produci e basta ti accorgerai molto presto di essere caduto nella fase decorativa, nello stile. È un momento di approfondimento di un ottimo risultato che va consolidato. Ma preparati a porti nuove domande, non puoi mollare accontentandoti. Se rimani li comincerai a provare indecisione. L’indecisione non accade nella scoperta, l’indecisione accade nella routine. Non ce ne si accorge perché è così forte che intorpidisce. Piuttosto che cadere nella routine, riposati. Stacca. Inizia una collaborazione, una ricerca diversa, impara a fare qualcosa di nuovo. Ti servirà molto presto. Lavora su altri fronti: contatti, visite di mostre, lettura.

Entra in contatto diretto con chi scrive di quello che ti interessa.

Esempio: ti interessa l’arte contemporanea? Leggi gli archivi di Jerry Saltz e cerca di leggere frequentemente Magazine come Frieze ad esempio. Vuoi fare video? Smonta come un orologio i piani sequenza che fanno parte dei tuoi film preferiti e analizza la luce, l’inquadratura, guarda con gli occhi del regista: quanti anni aveva? Jarmush e Spike Lee hanno fatto i loro primi film molto, molto giovani. Erano supportati da università importanti ma parliamo di venti anni fa. Tu hai tutto a tua disposizione: quello che sta in un iphone gestisce una massa dati migliaia di volte più sofisticata dei computer che sono serviti per lanciare persone nello spazio.

Devi permetterti di sbagliare. Soprattutto. Se sbagli, non sei a metà strada tra la Terra e la Luna. Sei sulla Terra, cadi in piedi, al massimo ti sbucci un ginocchio. E sei adulto, non è un bambino che si fa del male. Lo hai deciso.

Crea un insieme o diversi insieme di persone nei quali scambiare idee.

Prendi appunti sulle cose da fare durante la settimana e su ogni idea che ti passa in testa. Scrivila sempre. Devi abituarti a rendere fluido il tuo pensiero. Devi abituarti a esprimere quello che vuoi vivere. Ti accorgerai di andare troppo veloce non appena farai chiarezza anche solo sulla punta dell’iceberg dei tuoi dubbi ma davvero, non stai andando troppo veloce, hai solo fatto chiarezza. Invece di andare al mare passando dalla montagna stai semplicemente andando al mare. Hai sciolto dei nodi. Non è astrofisica. Ora invece si presenta il percorso più impegnativo. Solo che lo vuoi, lo stai creando tu. Ti costa impegno, fatica, dedizione, forza. Ma lo vuoi e hai la chiarezza per prendere quello che desideri.

Oppure vedila così: i tuoi vestiti li lavi? Certo che li lavi. Almeno spero. La tua camera la metti in ordine? No? Beh ti garantisco che metterla in ordine non è una mossa così sbagliata. Ad ogni modo anche la tua testa, scusa gli esempi cretini, ha bisogno di essere pulita e riordinata ogni tanto (io sono molto conosciuto per essere disordinato tra parentesi). Se accetti che venga fatto da altri si chiama lavaggio del cervello. Questo succede perché hai paura di farlo da solo. Ci sono molte persone che ci cascano. Prenditi il tempo allora adesso di darti una sistemata e iniziamo.

Iniziamo con un esercizio particolare. Questo primo esercizio è una cosa fondamentale e lo manderai avanti per te stesso per tutto il tempo che vuoi: leggere. La prima cosa che si nota guardando il portfolio di una persona è se la persona legge. Se ha evoluto nel tempo una sua narrativa. Per farlo non c’è nulla di meglio da fare che leggere. Leggi un libro di racconti brevi e cinque romanzi di ognuno di questi autori:

Tom Robbins, Haruki Murakami, Isabel Allende, Milan Kundera. Poi cambia binario e leggi Thomas Mann, Calvino, Borges, Marquez e così via. Se sei un lettore avrai letto già qualcosa, avido o no, di questi nomi. Se non lo sei comincia. Se i brevi messaggi di pochi caratteri di Twitter e Face Book e gli articoli on line sono tutto quello che leggi, concediti un respiro maggiore: la tua testa è in apnea. Scusami ma quella roba è merda. Prima di usare quegli strumenti crea una tua educazione.

L’arte, la tua ricerca, il tuo universo creativo, è come la magia, la scienza di manipolare simboli. Tutte le culture vengono dal culto. E tu devi imparare come si fa ad esprimere con chiarezza formule e nomi che attiveranno qualcosa in te e negli altri.

Quali sono i tre passaggi che accadono con chiarezza quando si cerca una propria identità creativa?

Quando questa necessità emerge e si afferma dentro di se i tre passaggi evidentissimi sono: i dubbi sulle proprie sicurezze, cioè sul modello familiare che si accettava in precedenza, la trasgressione dal codice imposto con il proprio allontanamento volontario e l’arrivo in una terra inesplorata in cui ogni cosa costa il doppio della fatica inizialmente per essere raggiunta. In quel luogo, che per intenderci non è un luogo esclusivamente fisico, si assiste alla nascita del proprio “Sè” creativo, ad una propria indipendenza. Si cominciano ad acquisire intuizioni nuove e subito dopo una visione d’insieme, una forza creatrice e una disciplina diverse, “fuori dal comune” direbbero in molti, che spesso determinano la cultura del tempo.

Questo corso ha un solo obiettivo: portarti a scoprire la forza della tua identità creativa e capire quali sono i tuoi punti chiave per evolvere il tuo stile personale e declinare te stesso su qualsiasi media.

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Appunti per un proprio habitat creativo

Introduzione

Pensaci un attimo. Hai passato la tua vita ad osservare come spettatore accondiscendente le manifestazioni più varie della creatività umana sotto forma di immagini contenute in ogni formato di media. Se ci pensi all’inizio hai resistito. All’inizio riconoscevi le immagini per qualcosa di diverso da te. Capivi il loro desiderio di pervadere i tuoi pensieri e capivi anche che il giardino fuori era decisamente più interessante. Ma ogni immagine tramite i migliori metodi di persuasione pubblicitaria moltiplicava la sua forza presentandosi davanti ai tuoi occhi sotto nuove forme di piacere ogni volta, in modo costante. L’ involucro di una barra di cioccolato con un simpatico animale sorridente stampato sopra quando eri molto giovane, le spettacolari acrobazie di personaggi animati sul televisore prima e l’interazione con gli stessi in un videogioco poi, il fatto che i tuoi genitori, chi naturalmente consideravi una guida, accettassero ogni immagine a scopo promozionale come un buon consiglio di un amico sincero ti hanno fatto cedere. Ed è stato estremamente semplice lasciare che un giudizio diverso dal tuo ti rendesse un essere etero-diretto incapace di sapere scegliere e di avere consapevolezza dei propri desideri più intimi e veri. Se questo è vero, e lo è, hai passato la tua vita riempiendoti di immagini inutili. Come nel principio di un dolore acuto concentrato nel breve tempo, che diluito lungo un arco temporale maggiore diventa prima sopportabile e poi stranamente piacevole, ogni emittente semplice o complesso di messaggi visivi ha sfondato qualsiasi tuo muro percettivo. I tuoi filtri sensoriali, i tuoi filtri operativi, i tuoi filtri culturali sono stati abbattuti per inquinarti. E ti dico anche questo: più tu che leggi sei giovane più questa operazione è stata eseguita con più perizia ed in una età più vicina allo zero. Se  quello che ti è stato fatto non è coercizione di incapace non so davvero come chiamarlo.

Partiamo da questo. La tua visione non è semplicemente “omologata”. Non è tua. Questo è il punto. Tutto ciò che è il tuo universo è un mondo liquido, che non ti appartiene e che ti scivola dalle mani senza che tu ne capisca esattamente il motivo. Tu sei purtroppo diventato una versione sempre aggiornabile e continuamente aggiornata di pensieri che restringono il tuo campo visivo a ciò che è già stato creato da altri per emulare desideri che nella maggior parte dei casi non ti appartengono. La tua intimità, tutte quelle immagini, film, idee accatastate nella tua mente sono pattume. Ti hanno inquinato. Anzi, non diamo la responsabilità a qualcun altro: ti sei inquinato. Non sei un delfino spiaggiato a causa di qualche detersivo, sei solo pieno di cose strane che si, ti fanno automaticamente comunicare con migliaia di persone ma che non ti portano a coniugare le tue parole, il tuo linguaggio, il tuo codice personale.

Se hai deciso di intraprendere questo corso a causa di una tua mancanza di autostima non credo di poterti aiutare, nemmeno se in un qualche modo ti senti semplicemente incapace di fare una cosa o un’altra o perchè la tua capacità di sostenere una costanza nel tempo si è indebolita. Credo piuttosto che se trovi un tuo percorso questo genere e altri problemi che ora non mi vengono in mente cambiano. Cambiano perchè prendi una direzione diversa.

Partiamo da questa premessa: c’è da fare una grandissima pulizia in quel luogo insalubre che è il tuo generatore di pensieri (risata malefica e assordante: ha ha ha). Un’altra cosa: se hai deciso di frequentare questo corso perchè conosci il mio lavoro sappi che non ti insegnerò a disegnare come me. Questo corso non è certamente il corso che ti insegnerà cose che già sai o che hai già visto e prendimi alla lettera in questo. Devi preparare il tuo percorso. Quello che tu desideri è trovare la tua strada. Io ne faccio parte, se vuoi, per pochissimo tempo. Ora. Poi fai tu, decidi tu, crei tu le tue occasioni. Ti metti in gioco. Spero piuttosto di avere tue notizie e sapere cosa stai facendo tra sei mesi, un anno e così via.

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TU

Ciò significava che non sapeva più a che punto si era. In quanto a me, non facevo molto, anzi non facevo nessuno sforzo per restare al passo con gli altri, poco preoccupandomi di ciò che accadeva in questo regno della finzione. Mi sentivo chiamato soltanto a rimanere serio e a fingere che tutto fosse perfettamente in regola. Ridevo quando ne avevo voglia, o criticavo o rettificavo, ma in nessun caso, nè con parole nè con gesti nè con insinuazioni, lasciavo capire che era soltanto un gioco. Henry Miller, Plexus

1.1_Credere nella tua unicità

Ci sono molti libri che per cercare di migliorare la tua consapevolezza ed autostima cercano di farti capire una verità sostanziale, cioè che sei un essere unico ed irripetibile (io per fortuna non tengo un corso di autostima). Questa affermazione è vera quanto è vero che sto scrivendo queste righe in questo preciso momento lunedì mattina, ma davanti a questa affermazione di unicità ed irripetibilità metti un veto e neghi il tuo valore. Quello che potrebbe stupire è che te ne stai privando volontariamente! Ma quante volte nella tua vita ti sono stati fatti dei complimenti per ottenere qualcosa in cambio? Pensaci. Se non fosse per l’amore incondizionato di alcuni membri della tua famiglia o di amici sinceri la risposta è quasi sempre. Se manchi di questi la risposta è ancora più semplice: sempre. E’ chiaro nel caso che credere di essere unico ed irripetibile ti riesca abbastanza difficile quindi e ti capisco. Eppure pur non conoscendoti ancora chiunque tu sia mi viene difficile pensare il contrario.

Sappi comunque che per seguire questo corso darò per scontata la tua unicità e la tua irripetibilità. Quello a cui ti stai sforzando di non credere per me è una corsa contro il tempo per poter fare emergere il tuo linguaggio artistico unico ed irripetibile. Non è mai esistita un’altra persona come te e piantala di pensare il contrario. Pensa bene a questa cosa: La tua esistenza è l’affermazione di questa verità. Non so se mi stupisce di più il fatto che tu lo abbia voluto negare o l’esistenza di libri, corsi, seminari, workshop e quant’altro creati appositamente, con guru e santoni di ogni sorta, per rinfacciarti una cosa così semplice. E guarda che ne sono stati scritti di corsi su un argomento così banale!

Perchè dico che è un argomento banale? Perchè se tu solo potessi vedere oltre. Oltre il te stesso che già conosci. Oltre ciò che ti sforzi con un  buona parte delle tue energie di contenere invece di concederti ad ogni respiro di essere. Oltre la tua irrequietudine, il tuo qualsiasi malessere che ti trattiene dal realizzarti, la tua negatività che conosci alla perfezione fino alla noia ecco, le tue qualità intrinseche spazzerebbero via ogni dubbio. Non riusciresti nemmeno a valutare la questione se sei o non sei un essere degno di lode sincera, una persona dotata in ogni sua caratteristica di unicità e di talento.

Per questo ti dico che dobbiamo dare per scontata la tua unicità e la tua irripetibilità. Senza di te non esisterebbe un universo. Il tuo, che nella sua sostanza ha addirittura leggi della fisica proprie.

E pensa a questa cosa: pur essendo infinito, anche conoscendo molte tecniche e filosofie di grande qualità sei capace in minima parte di goderne e in modo ancora minore di estrarle da te stesso e di donarle agli altri. Oltre a farne un cattivo uso anche nel migliore dei casi usi le tue innate capacità solo parzialmente. La ragione di questo forse, dopo queste righe, ti è chiara: il messaggio è sempre stato corretto ma per ottenere il risultato sbagliato.

Durante il corso di tutta la tua esistenza migliaia di pubblicità hanno accalappiato la tua attenzione dichiarando che sei unico con il solo scopo di venderti qualcosa. Sei stato unico perchè compravi un certo tipo di dentifricio, perchè compravi un certo genere di apparecchio elettronico, perchè compravi un certo tipo di cibo surgelato, perché appartenevi ad un gruppo di consumatori particolare. Questa invisibile educazione ti ha certamente disturbato. “Perchè mi dite che sono unico”, cioè che soddisfo la mia voglia di scoprire, capire e di concepire autonomamente migliaia di cose “con un prodotto che altri milioni di persone utilizzano?” ti sarai chiesto. Ti è stata data la più grande delle verità in tasca in cambio di un dentifricio. E’ chiaro che come minimo ti disprezzi o non riesci a capire il tuo giusto valore. Eppure è lì. Ora lo sai, ti hanno dato una grande verità per venderti dei fondi di bottiglia. Ora casomai ragionaci ancora due minuti e leggi di nuovo: ti è stata data la più grande delle verità. Asceti, guru, santi e chi più ne ha più ne metta se la sono cantata e suonata  guadagnandosela sperimentando ogni tipo di sofferenza in anni di rinunce, barbe, noie e flagellamenti di ogni tipo. E a te, essere umano del ventunesimo secolo ti è stata data signore e signori rullo di tamburi… per un dentifricio ai microgranuli! Ora fatti una grandissima risata, ma davvero grandissima, ringrazia e iniziamo a lavorare sul tuo Universo, sui tuoi pianeti, sul tuo mondo ed il tuo sole. Ecco perchè insisto sul fatto che la tua unicità è da dare per scontata e che oltre ti aspetta un mondo di sperimentazioni praticamente infinito.

Signore, signori, illustrissimi colleghi, siete pronti?

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1.2_TU

Volevo dirti che sei finito nel film sbagliato, grassone. Non sei nel film western in cui credevi di stare. Questo film è un po’ diverso. E questa è la scena in cui il cafonetto cazzone attacca briga con lo straniero appena arrivato in città, che si rivela poi essere Schwarzy o una gang di vampiri. Scommetto che l’hai visto un milione di volte cowboy. Allora ti propongo un patto: hai appena commesso l’errore della tua vita, ma puoi comunque rimediare ai tuoi peccati se ti scusi con la signora. In caso contrario ti strizzo le palle finchè non andrai a finire nel coro delle voci bianche in chiesa la domenica. Chiaro? Grant Morrison, The Invisibles

Nel precedente capitolo hai capito di essere unico (lo hai capito davvero? Voglio che apri la finestra e urli “io sono unico! L’ho capito! E voi lo avete capito?” ok, sto scherzando). Capirlo e la percezione della tua unicità sono stati simultanei. Non è che arriva prima l’uno poi l’altro con un altro treno. Anzi, se di treni si parla, se hai avuto quell’intuizione e non ti sei messo a ridere (ridere è una difesa, ricordalo), un treno in un micro secondo ti ha investito. È proprio quella la sensazione di cui parlo. Va e viene a volte, ma quando la senti, how, puoi rovesciare il mondo, o quasi.

Facciamo una prova: non hai sentito una strana sensazione come che un gorgoglio intenso domiciliato nel tuo cuore stesse crescendo o roba simile? Quello è il tuo potenziale, il tuo io. Capire quella semplice cosa ti ha fatto percepire il meglio di te. Ti ha reso partecipe della tua scarsa capacità di giudizio iniziale e intuire le tue infinite energie che ti serviranno per declinare te stesso in qualsiasi media per la creazione di valore nella tua opera artistica come nella tua società. Ma andiamo per gradi. Lasciamo la società dov’è per un momento.

Perchè non stiamo parlando già di tecniche e di materiali e ho iniziato con te? Perchè credimi, esiste una straordinaria coerenza dall’inizio alla fine in ogni cosa e se desideri percepire quell’unicità, se desideri consegnare il tuo lavoro alla storia, è meglio partire da te, dal primo atomo del tuo universo e investire con la tua essenza ogni cosa intorno.

Che tu stia disegnando armeggiando una matita o un pennello, che tu stia scolpendo o filmando ed editando del materiale audio e video se manca la luce in scena sul palco, se manchi Tu, allora fermati. Il prodotto che stai realizzando è un lussureggiante agglomerato di cose prese qui e là da chi ti ha bombardato di informazioni. A chi ti ha ridotto in miseria una mente capace di sognare autonomamente ad occhi aperti non va dedicato più un solo pensiero e non gli è dovuta alcuna riconoscenza.

Non usare artifizi come fotografie o computer grafica per esprimerti forse sarà scoraggiante all’inizio ma fare guidare una Ferrari ad un cieco non è comunemente considerato una cosa intelligente. Dopo potrai usare tutto quello che vuoi. Sarà la tua volontà a decidere e non il mezzo che avrai selezionato che cosa ne sarà del tuo foglio bianco, del tuo video o di qualsiasi altra cosa.

1.3_Il tuo ambiente e la percezione di morte

 Voltati. Vedrai una compagna che ti segue costantemente. In mancanza di un nome migliore, chiamala Morte. Wayne W. Dyer

Non è male la frase qua sopra eh? Mi ha sempre messo molta voglia di mettermi all’opera… chissà come mai.

L’uomo è insicuro e confuso. E’ nudo con e senza vestiti. Lo è ora nella megalopoli e lo è stato nella foresta. Il suo principio creativo è sempre stato la sua salvezza e l’estetica ciò che lo ha distinto dalle specie animali. Ridere, creare manufatti, suicidarsi, ritualizzare la putrefazione della carne sono il corollario di una intuizione sul suo punto di partenza: essere nudo, effimero, mortale.

Gli antagonismi che ha trovato alla sua sopravvivenza in natura lo hanno portato a cercare soluzioni ingegnose per ogni sua necessità e ad ultimare il suo ruolo naturale andando oltre se stesso per ricongiungersi a Dio sconfiggendo la morte. L’insicurezza, il dubbio e la sua fragilità sono stati l’espediente più potente per catalizzare il concetto di io e creare risorse che lo mettessero in condizione di superare le sue paure. Come nella foresta ora nella megalopoli l’uomo artificialmente per allenarsi a sconfiggerle le ha ricreate. Chi desidera perdersi o allenarsi a ritrovare il giusto percorso puo’ testare le proprie abilità in spazi ricreazionali come il labirinto. Chi vuole testare la propria resistenza o la propria forza puo’ nuotare o scalare. Chi desidera testare la propria scaltrezza, la propria astuzia o ogni genere di qualità ha a disposizione un emulatore che gli permetta di provare senza alcun rischio le sue capacità.

Come puoi osservare l’uomo sempre più specializzato e suddiviso in qualità e talenti si è separato dal suo primo ambiente creando un mondo artificiale, controllabile e ordinato, riscattando se stesso da Dio ma non dalla morte, ricreata nella sospensione della vita in un tempo mai presente ne passato ne futuro che è quello del consumo progettuale dal concreto all’immateriale più assoluto.

Se desideri quindi dare forma e integrità alla tua ricerca devi capire all’interno di quale dinamica ti trovi e quale è il tuo ambiente di gioco perchè, se davvero desideri fare arte (che sia foto o illustrazione o video o moda o quello che hai in testa), sappi che l’arte appartiene ad un racconto che si chiama Storia Dell’Arte e che tutto quello che è conosciuto e catalogato all’interno di questa si è consegnato alla storia immancabilmente con la più totale coscienza di appartenere a quel preciso momento -presente- che lo ha generato, stabilendo un suo rapporto con il mondo con l’aiuto di forme, segni, suoni, gesti o oggetti.

Ti stai chiedendo se ciò che hai fatto fino ad ora potrà essere validato o meno dalla storia. Questa non è la giusta domanda. Non è importante ciò che penseranno del tuo lavoro dopo di te se ti poni come scopo di sentirti realizzato facendo ciò che più ti appaga. La tua ricerca, il tuo stile, il tuo segno, possono essere inconfondibili e pervadere il tuo tempo solo ed esclusivamente se tu prendi coscienza di te stesso e declini quell’essenza su un media. Molte persone chiamate artisti richiamano la morte riproducendola nel loro media con teschi, ossa e altra memorabili raffazzonata ad esempio. Quella non è arte, al massimo è un segnale stradale. Hanno cercato di bypassare il lungo lavoro interno e spirituale della ricerca, facendo lo stesso gioco con cui la pubblicità ti ha venduto il dentifricio ai microgranuli raccontandoti che sei unico. Quella non è ricerca, è accettazione. Non è un moto a luogo, è l’isola di Calypso. La moda ad esempio vissuta senza ricerca concettuale è un continuo statement della morte all’interno di una dinamica di gioco finita come il corpo umano. Allontanati da tutto questo e proverai un piacere incredibile approcciandoti al disegno di un abito. E’ troppo facile rapportarsi con la consapevolezza della morte rappresentandola. La morte è in ogni cosa e all’artista, al creativo, allo spin-doctor della ricerca creativa che sono i demiurghi della società non possono apparire come una minaccia o rappresentarla come una minaccia. La morte non puo’ essere limitante e deve contenere l’invito a vivere ogni preciso istante presente.

1.4_Ti propongo un gioco

Ti propongo un gioco, così, per iniziare. Ci sono moltissimi modi e tecniche per trovare il Tuo Percorso Attitudinale Alla Creazione Del Tuo Habitat Creativo (mi piacciono le maiuscole in questo caso, dai, fammele usare). Te ne darò due. In mezzo ce ne sono milioni. Forse, al netto degli abitanti su questa terra, sei o sette miliardi. Fidati, individuerai il tuo modo molto presto, ma come primo approccio ho deciso di farti provare due estremi.

Un gioco puo’ essere finito o infinito. Un gioco finito ha un inizio ed una fine, una serie di regole condivise e l’attore principale di questo gioco è teatrale, cioè gode di un pubblico ma la sua esperienza segue una traccia e per questo è prevedibile. Abbatteremo questa previdibilità, non ti preoccupare. Un gioco infinito invece non ha inizio e non ha una fine. E’ un flusso del quale tu fai parte cavalcadolo e dal quale se vuoi ti lasci sospingere. Il tuo ruolo sarà drammatico: non avrai alcuna scelta se non diventare il picco più intenso di te stesso.

Nei prossimi due capitoli acquisterai consapevolezza di cosa significhi nell’uno e cosa nell’altro. Dopo di che non appena ti sarai ripreso dall’averne preso coscienza… proverai a descrivermi il tuo.

1.5_Il luogo delle bestie feroci

Dimenticati di te stesso e il mondo ti ricorderà. Jack London

Bene! Ci sei? Perfetto, puoi partire. Io aspetto qui, subito dopo il punto di questa frase sarai solo.

Ora non hai più niente. Non eri in possesso di niente nemmeno prima ma ora è piuttosto chiaro: hai solo te stesso. La città è lontana, infinitamente lontana. Non vedi zone rurali ne alcuna traccia umana. Qui anzi è il regno del non-umano e la sua distopia non esiste. Hai passato quello che è la frontiera. Questo è il luogo delle bestie feroci. Le bestie feroci per averti mangiato non si sentiranno più uniche, speciali o realizzate e non useranno il dentifricio ai microgranuli subito dopo.

Non hai un cellulare. Non hai internet. Non hai sigarette. Non hai cibo da poter conservare ne hai soldi come mezzo di scambio. Il fuoco ti ripara dal freddo della notte, la luna piena non è assolutamente romantica: è un faro nella notte su di te per ogni animale affamato. Qui non esiste un trofeo di caccia a meno che tu voglia alzare la tua cena per le orecchie ringraziando una giuria invisibile e minacciosa. Ogni risultato ottenuto, che sia una magra consolazione o un grande ed inaspettato beneficio, va accettato con gratitudine. Questo, riflettici, non è il posto giusto per non averne di gratitudine. Qui ciò che pensavi di essere prima è insignificante e ogni cosa che ti viene concessa è un dono prezioso. La vita selvaggia va acquisita, non è un diritto di cittadinanza naturale. Per accedervi bisogna rinunciare ai diritti della vita artificiale e conquistare il proprio territorio facendo conto che non esistano più.

Eppure guardati ora dopo che ti ho lasciato la mano ed averti guardato scomparire nel fitto della foresta spaventato da ogni nuovo rumore, dopo esserti trovato solo in modo così assoluto in un luogo inospitale, alieno, misterioso e minaccioso. Dimmi, non ti senti pervaso da un potere, una capacità di attenzione, una percezione intensa di ciò che sei, del tuo corpo, addirittura del sangue che ti pulsa nelle vene come di ogni singola cosa che calpesti, della tua vista, del tuo udito e di tutti gli altri tuoi sensi? Quello che senti dentro di te quanto quello che vedi al tuo cospetto è magnifico, è capace di elevare il tuo piacere oltre ogni cosa che ti sia mai stata raccontata nella civilizzazione. Sei un santuario di percezioni concentrate in un uomo. La natura prima controllata e ordinata in spazi limitati come i parchi frequentati al massimo da scoiattoli, anatre e qualche cane al guinzaglio ora è presente in ogni sua possibilità manifesta. E tu ne sei partecipe intimo. Lasciando ogni arma di controllo alle tue spalle, riconoscendoti nudo e finito Tu ora sei un essere integrale. Mi sembra che sia stato uno scambio proficuo, non è vero? Il tuo cuore che mi parla, è sereno. Tu puoi anche interpretare ancora per abitudine il disadattato e bisognoso essere pieno di tic che si aggirava con un caffè bollente in mano nella metropoli tra un semaforo ed un altro. Ma il tuo cuore è calmo e sa già di trovarsi a casa.  Anche tu sei una manifestazione del tuo nuovo ambiente. Le oscure minacce contenute nelle storie di folclore, i demoni, gli spiriti, i simboli della mente prescientifica ti appaiono ora davanti come un velo di ambigue bugie davanti alla consapevolezza che hai acquisito, l’essere selvaggio che sei diventato è tutt’altra cosa. La morte che ora chiami con tanti nomi guardandone il ciclo nelle sue risurrezioni non ti è più estranea.

1.6_Il Sole del tuo universo

 L’antica alleanza è infranta; l’uomo finalmente sa di essere solo nell’immensità indifferente dell’Universo  da cui è emerso per caso. Il suo dovere, come il suo destino, non è scritto in nessun luogo. Il caso e la necessità, Jacques Monod

Ti chiedo questo prima di iniziare questo secondo gioco di visualizzazione. Ne parleremo nel prossimo capitolo ma hai mai dato il potere ad un altro di decidere della tua felicità? L’amore che hai provato per una persona ad esempio non è stato ricambiato e questo, continuando per la sua strada, ti ha lasciato. Sei cosciente che il potere che gli hai conferito in realtà è sempre presente in te, il potere di essere a tuo agio e felice praticamente in ogni istante se lo volessi, ma lasci che qualcuno decida al posto tuo e che il vuoto ti pervada lasciandoti diventare sterile, polarizzandoti nel disfacimento di un atteggiamento scaramantico e sperando che l’altro torni mentre tu sei preso dalla più totale negatività. Io, per inciso, da una persona così non ci tornerei. Ecco. La fiducia in te stesso non puo’ basarsi sul parere di un altro.

Questo è stato solo un esempio. Qui parliamo di quello che tu fai molto di più che in relazione ad una sola persona. Il tuo potenziale creativo se illuminato puo’ farti raggiungere il cuore di milioni di persone se solo lo desideri. Nutrire amore per una persona non puo’ essere limitante, puo’ essere solo un allenamento costante a donare sempre di più di te stesso e a trovare quella sorgente inesauribile che declinata nel campo creativo puo’ fare la differenza. Nutrire amore per una persona non puo’ essere debilitante, soprattutto per il percorso che hai deciso di intraprendere. Te lo dico sinceramente: se anche per caso la qualità del tuo amore non è di alta qualità, nel campo creativo più che in ogni altro campo, rischi di innescare un processo di autodistruzione che ti spazzerà via da solo mettendoti fuori gioco.

Perchè questa parentesi sull’amore? Per esperienza personale ho come il sospetto che questo è un tema importante. So che delle basi che nutrono le colonne della tua vita questa puo’ essere la più volubile e devi avere le spalle sufficientemente larghe per continuare nella tua strada già sufficientemente difficile.

In realtà la domanda che avrei voluto farti è: quante volte in passato hai mostrato i risultati di una tua recente ricerca e hai accettato che il parere di una persona amputasse davanti ai tuoi occhi le tue idee, i tuoi concetti e i tuoi sforzi costati settimane di creazione con alle spalle anni di allenamento scrupoloso? Vorrei che pensassi per un attimo, dopo quanto ho scritto qui sopra, ai motivi per cui hai dato a questa persona il potere di decidere se una cosa è interessante o meno e in questo caso se il tuo lavoro è o non è degno di lode ed ammirazione.

Ora concentrati. Torniamo a noi. Sei diventato un cacciatore prima, ricordi? Ti ho lasciato solo un minuto e ti sei perso nel fitto della foresta concentrandoti in un essere integrale. Hai seguito delle orme, hai tracciato dei nuovi sentieri, hai saputo conquistare la tua prima preda risvegliando i tuoi riflessi e i tuoi sensi. Sei stato l’intimo testimone della magnificenza della Natura provando immensa gratitudine dopo una pigra iniziale paura.

Ora invece ti chiedo di innamorarti. Torniamo in città e no, non per incontrare la tua lei o il tuo lui. Per questo ci sarà tempo, dopo. La senti? Ferro, vetro, mattoni, cemento. Corsie di strade, cunicoli sotterranei, scie di aerei, elettricità. Indiani, asiatici, africani, europei,sudamericani. Gente di ogni età, credo, estrazione sociale. La senti pulsare La Città? Non mi dire che te ne senti disgiunto. Ti svegli con milioni di persone e ti addormenti con milioni di persone mentre altri milioni di persone si svegliano quando chiudi gli occhi. I muri sono carta di zucchero, il tuo stomaco ha assaporato ogni genere di cibo, dalle lasagne italiane alla zuppa di tendini di vitello e broccoli del cinese a tre isolati da qui, i vestiti sono intercambiabili codici istituzionali, i sorrisi delle nuove persone che incontri ti ricordano vagamente le bestie feroci che hai domato poco fa. Il libro che le persone hanno letto più spesso nella loro vita in ogni pagina ha stampato “qui ed ora”. E tu non esisti. Tu in questo esercizio sei la città. Puoi divertirti come meglio credi. Guarda laggiù c’è una ragazza a cui è caduta la sciarpa e non se ne è accorta. Falla raccogliere da quel ragazzo con gli occhiali e consegnagliela. Quell’uomo ha nascosto la fede nuziale e ora si rende conto di averla persa ecco, falla prendere al volo da una gazza ladra e consegnala alla moglie. Questa sera vedremo chi porta i pantaloni. Questo brulicante insieme eterogeneo di persone in pausa pranzo tutti indaffarati con i loro gingilli tecnologici non ti sembra che abbia bisogno di conoscersi meglio? Arriccia quel parco e falli rotolare tutti uno verso l’altro. E quelle macchine sul ponte non pensi abbiano bisogno di una bella lavata? Piega una delle tue falangi e il ponte avrà una deviazione imprevista sott’acqua. La tua mente è il sole che illumina ogni cosa attorno, i tuoi nervi si estendono oltre al corpo carichi di energia, lungo le tue vene corrono automobili e treni della metropolitana e ogni grattacielo tende verso dove il piccolo uomo della foresta ha sognato di stabilire la sua dimora. Tu pulsi e muori e ritorni in vita così tante volte ogni giorno che costruzione e disfacimento sono ormai la stessa cosa. Come ti senti? Che sensazione ti da la neve che semplifica ogni forma ipergeometrica del tuo corpo esteso per chilometri? Quanti idranti hai fatto scoppiare sul cemento per fare giocare bambini sotto il sole cocente? Come va la schiena, e la testa coperta di foglie rosse d’acero in autunno con i passanti vestiti di tutte le texture possibili ed immaginabili di cappotti di ogni foggia? E com’è sentirsi sbocciare migliaia di fiori di ciliegio intorno e sentirne i petali ricoprirti un sopracciglio? Che significato ha la morte in questo gioco, qui ed ora? Qual’è la tua percezione di spazio? E il tempo? Guarda le tue sorelle in linea d’aria poco distanti, o le porte polverizzate di Micene che era anch’essa città eterna (ciao città eterna polverizzata).

Ti ho descritto come da copione due estremi. Riesci ad immaginare invece cosa sei tu? Dove ti trovi? Cosa ti succede attorno? Dammi una intuizione di quello che vedi. Descrivimela. Per qualche giorno prendi nota di come ti senti, di quello che ti succede. Prendi nota di tutto. Si tratta del tuo universo, prendine coscienza.

1.7_Il Picco di Se

Siamo ad un momento molto importante e ho bisogno della tua concentrazione per visualizzare quello che ti sto per descrivere. Immagina una doppia spirale che si espande orizzontalmente fino a svanire in un verso e nell’altro partendo da un solido centro. Il centro a sua volta è attraversato da un asse dritto come un fuso che lo passa vibrando da parte a parte verticalmente. Il centro è la tua verità, il punto da cui puoi osservare i tuoi slanci creativi così come le tue paure o la tua atarassia (non conosci questa parola? bene! vai a cercare il suo significato). Il punto a cui puoi tornare e a cui ti rivolgi quando perdi l’equilibrio o quando hai bisogno di estrema chiarezza. Basta richiamarsi per poco a quel luogo per essere lucidi, determinati, attenti, puntuali.

I movimenti delle due braccia della spirale sono opposti. L’una segue un moto di distruzione. L’altra segue un moto di, chiamiamola così, evoluzione. La prima è negativa e dal centro -il tuo vero se integrale- alla periferia , genera in successive metastasi percettive invidia, frustrazione, insicurezza, autocritica, dolore, cinismo, pessimismo, vergogna, colpevolezza, paura, bassa autostima e depressione. La seconda è positiva e genera la tua percezione di positività, estasi, beatitudine, felicità e amore incondizionato.

Più il tuo stato è lontano dal centro più l’asse vibra radicandosi verso il basso o elevandosi verso l’alto. La spirale delle tue percezioni negative nel suo punto più espanso genera depressione che si concretizza nel tuo asse centrale in autodistruzione. Il punto più espanso della spirale positiva invece si manifesta nella capacità di dare incondizionata, nella creazione artistica e infine nell’ autenticità del tuo se creativo.

Questo è latente e più la tua educazione ti ha sospinto nel nutrire il braccio della spirale negativa più l’autenticità del tuo se creativo si manifesta in modo esclusivo, in stati incontrollabili e disarmonici, osserva: quasi che non appartenessero alla tua persona. In un periodo storico in cui esiste una gratificazione emozionale istantanea, educarsi all’onestà dialettica e cercare la verità per declinarsi produttivamente nel proprio campo artistico è un cammino difficile che merita ancora più sforzi. Lo scotto da pagare è enorme e somiglia molto alla metamorfosi di Eco dopo il suo incontro con Narciso. Il rischio è diventare un rituale stilizzato inutile e orfano, figlio di troppi padri e madri rigettato da tutti come surplus produttivo.

1.8_Giudizio e volontà

I due poli del cervello, il sinistro sequenziale, logico ed analitico, il destro empatico, intuitivo ed olistico, sono la manifestazione dell’antagonismo complementare nel nostro corpo dell’antagonismo complementare che è la base fondante di tutto ciò che è materializzato nel nostro ambiente. Quello che fino a cento anni fa potevano essere chiamati pensiero occidentale e pensiero orientale ad esempio sono la polarizzazione interdipendente del pensiero umano. La mente alfabetica occidentale legge da sinistra a destra e rafforza l’emisfero sinistro logico. La mente orientale da sinistra a destra e accompagna un pensiero metaforico.

Un cucchiaio, una forchetta ed un coltello raccolgono, arpionano e tagliano diverse singole portate, mentre un paio di bacchette si servono disinvoltamente di diverse porzioni in un unico piatto. Osservando la posizione dell’uomo nel suo ambiente in un dipinto orientale ed uno occidentale ti accorgerai di quanto la sua grandezza è vista in modi incredibilmente diversi. E questo solo per fare due esempi.

Un quadrilione di connessioni neuronali comunque ci guidano nel fare azioni quotidiane ordinarie, straordinarie o anche stupide. Comunicare, leggere, passeggiare. Ricordare intere poesie a memoria, meditare, uscire da una sauna e correre come il vento su un pontile e tuffarsi in un lago ghiacciato.

Parlando del picco di se ti ho descritto un centro. Quel centro, che si riverbera in diverse percezioni, si sviluppa attraverso coordinate molto precise. La qualità del giudizio che alleni maggiormente determina il tipo di persona che manifesti nel mondo fisico attraverso la volontà. La volontà è il giudizio in potenza, la sua forma progressiva. E’ quello che determina un lavoro superlativo da una ripetizione dottrinale ed inutile.

Georges Ohsawa ha descritto in modo chiaro le diverse tappe del giudizio. Vorrei potertele descrivere brevemente. Quello che qui voglio farti capire è che puoi allenare ed alimentare la tensione verso quello che crei. La puoi focalizzare e soprattutto la puoi spingere più in alto.

Il giudizio si evolve in un modo totalmente libero in sette stadi: meccanico, sensoriale, sentimentale. Intellettuale, sociale ideologico e supremo. Puoi vederli come un ciclo infinito, ad esempio con il seme, la gemma, il tronco, i rami le foglie i fiori e i frutti, oppure li puoi vedere come polarizzati in due gruppi ed interdipendenti come i lobi del cervello: da una parte un gruppo che analizza il piccolo e vede l’uomo come metro di misura, dall’altra il gruppo che si interessa di quello che si chiama “the big picture”, quello che si vive nella sua totalità. Se riesci a vederne il movimento, nel primo caso l’egoismo, l’ipersensibilità e la dipendenza sono costantemente scandite dall’esterno. Nel secondo è la persona che trova uno spin diverso e si dedica agli altri e a ciò che fa partendo da un io integrale.

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I prossimi tre capitoli, anzi: i tuoi prossimi appunti trovati per caso di cui ti eri scordato -come dicevamo prima-, appartengono ad un insieme di considerazioni che richiamano l’attenzione al tuo rapporto con l’immagine. Non li ho voluti mettere tutti, credo che se sei arrivato fino a qui devi avere la testa che frigge. Ho tagliato molto, anche nei capitoli precedenti. Da una parte con il desiderio di poterti fare iniziare il corso prima di vederci. Dall’altra perchè il corso non tratterà queste cose in questo modo. Sarà molto pratico. Non ci sarà tempo per leggere tutti questi pipponi di roba ma per fare lavorare dei team creativi insieme. Cinque giorni vanno via in un lampo.

 

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2

PERCEZIONE

2.1_Immagine

“Ma poichè nella nostra immaginazione c’è una tendenza al progresso infinito e nella nostra ragione una pretesa alla totalità assoluta come ad  un’idea reale, la dismisura (Unangenessenheit) della nostra possibilità di valutazione fenomenica delle grandezze, la sua inadeguatezza all’idea infinita, risveglia in noi la sensazione di una facoltà sovrasensibile. Questo risvegliarsi è propriamente sublime e ci fa dire: sublime è ciò al cui confronto ogni altra cosa è piccolo.” Derrida

L’immagine di per se è fatta di linee orizzontali, verticali e sinusoidali. In potenza attraverso la tua volontà queste diventano ogni cosa. Che cosa si puo’ dire di più?

Nella cultura contemporanea il fabbricato, l’inautentico e il teatrale hanno deposto il naturale, il genuino e lo spontaneo svelando simultaneamente la fine della realtà e il plagio del mondo esperienziale in una vivida persuasività. La realtà nella cultura contemporanea è una intumescenza scenotecnica di atti fotografati e filmati più che vissuti, raccontati più che osservati di prima mano, di momenti idealizzati in un mondo dove la fantasia è più reale della realtà e Il sogno del sogno stesso.

Viviamo nelle nostre illusioni e nelle nostre immagini ma, come nella Repubblica di Platone, non vogliamo essere disillusi e giudicando tutto tramite l’immagine questa, la vera colpevole in combutta con il nostro scarso giudizio come fosse il suo sgherro tonto, la fa sempre franca. Conosciamo le ombre degli oggetti proiettate nel gioco finito e scenotecnico della grotta e siamo accecati dalla luce esterna, dal reale fenomenico ed esperienziale, ma di quello ne abbiamo paura più che vivere tra le ombre in una grotta nella menzogna. La nostra relazione con le immagini non è creativa, è parassitaria e questo in arte è un reato grave. Siamo in grado di ripeterle, di concentrarle e di espanderle muovendo avanti e indietro la luce esterna usando a menadito i suoi giochi e le sue rifrazioni ma non di creare immagini vergini. Aspettiamo con ansia che queste accadano quando non siamo noi ad assemblarle, che vengano prefabbricate per saziarcene senza capirne il valore. Come in cucina un piatto gradevole ai sensi e nutriente è fatto con il tempo, il sale, il fuoco, la pressione e il calore anche un’immagine è un’insieme di diverse energie che la tracciano, la argomentano, la legittimano e la consegnano alla memoria comune. Senza queste fasi siamo davanti ad un hacking di biometria di un corpo morto, una scannerizzazione superficiale di una copia della copia o una grottesca imitazione parziale del reale illegittimo non conquistato con le proprie forze, non guadagnato, rubato, quindi in arte senza significato.

L’immagine è qualcosa che possiamo rivendicare solo se è il risultato della nostra volontà.

L’immagine è un mezzo nel processo di mostrare e in questo processo prende il valore di risultante di un atto coerente dall’inizio alla fine. Per questo davanti alla sintesi della volontà di un essere umano in un suo manufatto esiste un dialogo in cui ci si chiede se si puo’ esistere e come si puo’ esistere nello spazio che questo risultato definisce. L’immagine quindi scardinata dal suo destino di copia nell’instabile mondo relativo, come risultante di un processo di ricerca nella tecnica, nel suo stile, nel suo colore, nella sua forma, diventa un invito partecipativo essoterico in cui il pubblico la serve e ne è testimone e, se non la capisce, il problema è nel pubblico e non nel creatore/demiurgo ne nell’immagine stessa.

2.2_Tecnica

“Quando non si è ancora versati in un particolare compito, ci si dovrebbe applicare con zelo. Si tenga bene in mente questo principio per svolgere il proprio ruolo con sollecitudine” Tsunetomo

Quello che generalmente si vuole che venga imparato somiglia molto ad una cabina di assemblaggio. Questa non porta a nessuna indipendenza stilistica e neutralizza addirittura la percezione della persona e la sua capacità interpretativa. In molti casi ad esempio si rincorre una concezione sentimentale del risultato fotografico, quella di sintesi computerizzata o altri balocchi che trasformano la persona in un’appendice dipendente dal verbo meccanico in voga, in un assemblatore  al massimo, destinato ad essere surclassato da ogni nuova appendice tecnica presente sul mercato. Oppure oggi stesso e non come si suol dire “in un prossimo futuro”, da un generatore di immagini completamente artificiale ed indipendente, perchè no? La ripetizione automatica della tecnica puo’ essere programmata in una macchina; in quello che è dominato dalla logica, dal calcolo e dal pensiero sequenziale, un computer di oggi è già  semplicemente migliore, più veloce e più forte. Guardando la ricerca stilistica di molti artisti la mia domanda a volte è: perchè cercare allora di imitarlo o addirittura superarlo? Il mito di John Henry o il ben più conosciuto ai contemporanei Garri Kasparov sono un monito piuttosto eloquente fatto di pesanti sconfitte nella sfida tra la via meccanica e il sentiero umano.

La maestranza della tecnica e la conoscenza di se portano allo slancio verso il sublime. Mentre nella ricerca libera, quindi in un sistema aperto di possibilità, la ripetizione degli esercizi porta ad affinare la propria percezione e il talento non come fine esclusivo, Il mestierante o l’artigiano invece esegue un manufatto all’interno di una concezione sottomessa alla tecnica intesa come esecuzione di regole ben precise e nel metodo non sovvertibili. Come per ogni disciplina la ripetizione degli esercizi e la ricerca della propria perfezione sono al primo posto, ma il percorso di apprendimento puo’ essere tutt’altro che meccanico e completamente intuitivo e ludico. In questo modo, spostandolo di poco, l’obiettivo non è più materialista, dualista, atomista e tecnico quindi “la perfezione”, ma spirituale e inarrestabilmente teso verso il sublime.

Fare arte non è tecnica e la tecnica nell’arte non è una parafrasi del nostro lobo sinistro del cervello sequenziale, logico e analitico.

La tecnica nell’arte vedila così se ti piace, è la padronanza del tuo registro linguistico. Ogni esercizio ti porta a sperimentare un nuovo timbro di voce, ogni nuovo passo è l’articolazione di un fraseggio distinto. La padronanza di un mezzo espressivo ti porta a vedere ogni strumento come una possibilità. Niente è ingombrante e nessun nuovo strumento un freno.

Prova! Hai una biro? Usala. Dei vecchi pennarelli? Usali! Cosa succede usando dell’acqua? E la matita puoi mischiarla con il carboncino? E la biro precedente la puoi ancora usare su uno strato grasso? Perchè no? Sperimentare è il modo migliore per capire. Per ogni tecnica non basterebbe un libro. Solo della pittura ad olio si potrebbe parlare per giorni ad esempio. Però osserva. Più sperimenterai all’inizio più sarai libero di usare anche un solo segno di grafite quando ti sembrerà opportuno, dopo. Se invece di contarle le ore che usi adesso nella sperimentazione le pesassi dopo, diciamo anche solo tra un semestre, ti accorgeresti di quanto ora hai bisogno di lasciarti andare e respirare.

Ricorda: gli strumenti che usi sono un mezzo per declinarti nello spazio di un media; un foglio di carta, un’installazione tridimensionale o un’inquadratura di un frame che sia fotografia o video sono uguali. Tu ne sei la sorgente. Lo strumento è un mezzo sostituibile. Se tu sei integrale non sei sostituibile. Sei tu e basta e poche chiacchiere e via andare come si direbbe nel ciclismo. Qualsiasi altro tipo di argomentazione non vale perchè questo libercolo lo sto scrivendo io e non tu pappappero. Ora chiudi questa pagina e applicati.

2.3_Stile 

“Quanto possa il premio nella virtù colui che opera virtuosamente et è in qualche parte premiato lo sa, perciò che non sente né disagio né incommodo né fatica, quando n’aspetta onore e premio; e, che è più, ne diviene ogni giorno più chiara e più illustre essa virtù; bene è vero che non sempre si truova chi la conosca e la pregi e la rimuneri come fu quella riconosciuta d’Andrea Mantegna il quale nacque d’umilissima stirpe nel contado di Mantoa; et ancora che da fanciullo pascesse gl’armenti fu tanto inalzato dalla sorte e dalla virtù, ch emeritò d’esser cavalier onorato come al suo luogo si dirà” Vasari sul Mantegna ne Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti

-Tu non hai niente che io non abbia già- . E’ questo che definisce lo stile in questa epoca.

Una delle caratteristiche immediatamente evidenti della vita è che questa è caos. Accettando anche in modo vago e parziale, concettualmente, la vastità e la complessità di questa sintetica affermazione, se la propria esperienza di vita coincide con la fascinazione per il falso, con la replica perfetta del vero, il disagio che si puo’ provare è più simile alla percezione di un fastidioso pericolo che ad un punto interrogativo. Per scappare a questo insostenibile faccia a faccia si sovrappone alla percezione del reale caotico un velo in cui tutto appare semplificato.

Questo è lo stile: una risposta preventiva sull’azione dell’ambiente esterno che viene piegato alle proprie necessità. In altre parole dominandolo, trasformandolo, adattandolo e semplificandolo per renderlo unico e sintatticamente lontano dalla struttura della sorgente esterna di partenza, la natura, in un dialogo incessante ed interdipendente o nel caso, in una strenua guerra di posizione e riprogettazione contro di questa.

Ora ti ripeterò nuovamente la prima frase di questo capitolo, ascolta attentamente:

-Tu non hai niente che io non abbia già, ma non posso fare a meno di te-.

C’è qualcosa che è cambiato, vero? Una virgola. Solo una virgola. Però ci sei inciampato! E dopo aver perso l’equilibrio per poco più di un secondo leggendo ciò che le seguiva distrattamente ti sei sentito diverso. Guardati, solo un contrappunto e tutti i pensieri che ti suggeriva la prima frase, decisamente castrante, ora non si capacitano quasi del piacere e delle possibilità che la attorniano. Questo è solo un esempio, ma è solo per dirti che lo stile è dialettica. E’ dialettica incessante. Se la tecnica è la padronanza del registro linguistico lo stile è la filosofia della sua punteggiatura. E’ la trasmutazione del dialogo in ogni sua declinazione. In ogni frase che genero puoi trovare tu un tuo snodo, un tuo modo di riverberarti. Un tuo distinto linguaggio.

Torniamo a noi. Ho ancora qualche domanda da farti in questo capitolo. In un foglio di fianco ad un bicchiere c’era un appunto scritto a penna: Cari il mio pessimista, il realista e il mio carissimo ottimista, mentre seguivate ad argomentare se il bicchiere fosse mezzo vuoto, metà e metà oppure pieno fino a traboccare ecco, l’ho bevuto. Firmato: l’opportunista. Dopo questa breve storiella vorrei chiederti se secondo te il mondo corre oppure è fermo. Non è una domanda retorica. Hai passato tutta la tua vita educato a questa frase: il mondo è in continuo cambiamento. Eppure se osservi quello che viene definito come contemporaneo è un periodo piuttosto espanso nel tempo, articolato in svariati decenni, fatto di ritorni di mode, di sovrapposizioni di stili, di anche tendenze dittatoriali e talvolta schizofreniche. Ma tutte all’interno di un unico blocco omogeneo fermo in una sorta di cristallizzazione spazio temporale. Se è così allora il contemporaneo puo’ definirsi un gioco finito all’intero del quale si hanno dei caratteri predeterminati, degli stilemi, una teatralità di genere. Non per niente se all’inizio del secolo scorso esistevano negli atelier parigini dai vetri fumè persone chiamati “Createur De Mode” tutto il dopoguerra fino ad oggi è caratterizzato da fashion designer, dei DJ di contenuti creativi al confronto. Il linguaggio di questo lungo periodo che sembra si stia concludendo in questi ultimi anni è stato “il cambiamento apparente”. Per cambiare, e cambiare così vorticosamente in termini produttivi e quantitativi, l’uomo ha accettato di vivere in una impasse, uno stucchevole palliativo, come che vivesse all’interno di una risposta minore del suo significato oggettivo rispetto al corso del tempo.

Per depistare tutto ciò il movimento del gioco ha previsto da una parte schiere di psicologi e psichiatri dall’altra per i meno sensibili lo scambio con la moneta universale del successo.

Questi, i primi, hanno fatto quello che hanno potuto, facendo soffermare la persona su un infinitesimale momento storico della sua vita mentre tutto il resto le scorreva via dalle mani o tenendo in vita le braci di una esistenza, costretta in una miseria svelata, inoculando regolarmente la felicità apparente della sospensione del giudizio con medicinali di vario tipo fino ad arrivare spesso con rammarico a dire “l’operazione è riuscita ma il paziente è morto”.

La ricchezza della capacità vitale e la tensione verso il sublime dall’altra parte è stata scambiata per la moneta del successo. Un successo che non ci chiede di essere legittimato ma in cui desideriamo per primi credere nella trasversale e scadente epopea dei reality show e dei format televisivi, così che l’ansia di morire senza essere riconosciuti o acclamati, di non poter essere abbastanza ricchi o avere un posto tra i prescelti con i privilegi dei vincitori, viene vinta dal famoso di turno che ci rappresenta vicariamente nella frode di un olimpo scenotecnico.

Le persone famose che all’interno di questo gioco cristallizzato dettano lo stile, la moda, la tendenza, sfidando l’anonimato sono l’esca perfetta per rinunciare alla ricerca del proprio stile. Fanno agli occhi di tutti quello che ci si aspetta, quello che la massa anonima vuole fare: sorgere dalle proprie umili origini per primeggiare contro il più forte. Si confrontano con battaglie rappresentate fuori dalla loro portata e vincono grandi vittorie. Vincono sul loro anonimato. E ritornano nella società per conferire parte dei loro poteri acquisiti e ravvivare le braci del sogno e del desiderio. Questa epica, simile alla narrazione del Cristo ed a molte altre, vuole confortare alla visione di una vita che provvede per ognuno la realizzazione di se prima della morte. Lo fa offrendo il riscatto della vittoria. Ma è una trappola, è sempre la stessa medesima vittoria: il successo. La stessa cosa ancora, ancora e ancora. Eppure intraprendere un percorso direzionando la propria volontà del tutto umana nel campo dell’arte con un proprio stile coerente offre le più grandi e svariate delle vittorie che hanno davvero poco a che vedere con quella solitaria dei riflettori televisivi. Questo cammino produce persone integrali, che possono agire senza agire, convincere senza parlare, ordinare alla montagna di gettarsi nel mare, vincere senza lottare, governare i forti con la dolcezza, accettare con gioia le difficoltà e tramutare l’impossibile in possibile. Queste sono le vittorie che una volta iniziate a desiderare rendono tutto il resto inutile e l’anonimato una cosa ininfluente.

Rendersi conto del gioco in cui si abita da così tanti anni è il primo passo per capire cosa ci piace e cosa non ci piace e iniziarne uno proprio per dargli coerenza e argomentarlo in un proprio stile di vita. Lo stile, alla fine dei conti, è sganciarsi dal pantano di un gioco e crearne un altro, proprio ed infinito.

Emanuele Sferruzza Moszkowicz

Mi chiamo Emanuele Sferruzza Moszkowicz, preferisco Em, o Hu-Be. Questo è il mio archivio: www.hu-be.com e questo è un progetto che porto avanti che mi permette di conoscere molte persone: www.scribblitti.com