KILL SCREEN Magazine-Cover design

” Hi Emanuele! We’re finishing the upcoming issue but for the next one, we’ll ping you when we know what it looks like.  Sound ok?

Avevo scritto la prima mail a Jamin dieci ore prima. Non sapevo in che costa americana vivesse. Mi aveva risposto con una mail incomprensibile ai miei occhi. Non era amichevole, era come che si capisce che è tutto a posto, sei confermato, dat’s da s©√t màffriend. Di lì a qualche ora mi inviò una nuova mail.

“Maybe we could have you interview a game designer and then do a piece on their nightmares?”

Così durante l’estate iniziai la prima collaborazione con Kill Screen Magazine, un crossover tra un The Believer e un Wired improntato sul mondo dei videogiochi. Se tocchi casualmente quel magazine e hai un digital divide consistente ti sentirai permeato per sempre dalla nostalgica sensazione di essere stato un abitante di Erewhon drogato, rapito e portato nella civiltà l’altro ieri e investito dal pulmino del roadie dei Marduk. Vi fu un consistente scambio di mail con la presidente di That Game Company, Kellee Santiago e poco dopo aver messo insieme il materiale consegnai il lavoro sui suoi sogni.

Quando tre mesi dopo arrivai a NYC era in sospeso con lui un invito da tempo per prendreci una birra e fare due chiacchiere. Le circostanze per le quali mi trovavo lì non erano esattamente quelle che definirei le migliori per abbandonarsi ad una sbronza, così bypassando la cosa, mi chiese se potessi fargli un pezzo a colori. Anzi credo la domanda fosse se avessi mai realizzato qualcosa a colori -che è la tipica domanda che mi viene fatta puntualmente da chiunque da editor come dal benzinaio-. La rivista stava uscendo, il tema era “Back To School”. In quei giorni, settimane, mesi e così via in teoria mi sarei dovuto sposare con la mia ex-ragazza o una roba del genere. Cioè si, mi trovavo lì per rivederla e quello e non ero più lì per quello. Duiuanderstand? No? Evvabbeh. Storiacce incredibili comunque, una cosa tipo lo scrittore fallito di Sideways che cita Bukowsky dicendo “un baffo di merda che galleggia nell’oceano”. La situazione era simile. Per togliere tutta la suspence questa storia ebbe miliardi di lieto fine -tutti non ipotizzabili in quel momento- ad ogni modo.

Comunque arrivato a NYC senza conoscere un cane e con una prospettiva di un survival mode di tre mesi al terzo giorno fui preso in una collettiva alla DD172, la galleria a Manhattan dell’ex produttore di Kanye West, Pharrell e non so chi altro, fui preso dai miei precedenti agenti -per la prima volta avevo degli agenti ed erano gli stessi di Obey, no dico, cara grazia, mi dicevo, wowzer- e insomma mi strafacevo di caffè che non avevo mai bevuto in vita mia capace di darmi sbalzi emozionali e ridarella come che ci fosse una seduta spiritica nel mio corpo che richiamasse Eddie Murphy dalla California, incontravo gente meravigliosamente bella tipo il produttore nudista invasato con la lirica che mi ha ospitato per due settimane, organizzavo una mia personale, insomma non sapevo cosa dirgli e gli dissi che si, che se mi procurava una lavagna gigante il pezzo glie lo avrei fatto a gessetti. A gessetti. Non sapevo esattamente cosa stavo dicendo, era una specie di saudade regressiva, un sehnsucht intimista random dell’ippocampo in cui ricordavo un’altra vita. Una vita in cui disegnavo coi gessetti. Qualcosa gli avrei fatto, mi dissi. Con i gessetti. Si. E i gessetti tanto erano l’unica cosa che potevo permettermi di comprare. Progress is trusting what you do not know. Right (LOL).

– BzZzZZZzZzt. Ora. Mettiamo in pausa. Citatemi un solo editor in chief, direttore, art director che si fidi ciecamente di un artista senza aver mai visto prova documentata del suo operato in uno stile nuovo e mai sperimentato e che soprattutto si fidi di un artista appena lasciato dalla sua donna. L’unico motivo per cui un editor italiano potrebbe farlo è scommettere sulla morte suicida di lì a breve dell’artista in questione, roba tipo Il Corvo per intenderci, roba così, con la prospettiva di una paccata di vendite in più: “compra l’ultima creazione di ESM, addio ESM, ti volevamo ma davvero tantissimo bene, La Redazione” e giù a ridere e a fare la gara di limbo subito dopo. BzZzzZzzt fine messaggio. –

Jamin fece due chiamate e mi inviò downtown un paio di giorni dopo alla Little red School House & Elisabeth Irwin High School. Ruth Jurgensen, la direttrice, mi accompagnò attraverso le aree dell’edificio scolastico più bello che io avessi mai visto fino ad arrivare davanti ad una superficie nera di ardesia abbastanza grande da girare un paio di sequenze di Dogville.

Lì feci questo pezzo, quello che vedete qua sotto, che in teoria doveva essere un interno di copertina. Diventò la copertina e il retro di copertina di Killscreen Magazine, Back To School Issue. Io e Jamin andammo a berci tre birre qualche giorno dopo in una osteria con la segatura a terra alle tre del pomeriggio. Era la fine dell’estate. La personale sarebbe stata una settimana dopo. Ero piuttosto brillo e felice.

Da allora continuo a disegnare a gessetto su dimensioni sempre più sperticate. Guardo i gessetti come il mio paradiso, come che mi tolgano dal tavolo da disegno e i miei lavori ultra precisi e dettagliati e sorrido come un bambino. Vi volevo raccontare questa storia da un po’. Torno a disegnare. Un abbraccio e buon Anno Del Drago.

Post Scrittum Snippet: lei una sera mi scrisse. Si. Davvero. Qualche mese dopo. Al mio risveglio misi in spam il suo contatto.

 

 

Emanuele Sferruzza Moszkowicz

Mi chiamo Emanuele Sferruzza Moszkowicz, preferisco Em, o Hu-Be. Questo è il mio archivio: www.hu-be.com e questo è un progetto che porto avanti che mi permette di conoscere molte persone: www.scribblitti.com