Perché Arisa non vincerà X Factor

«Se nella rosa di candidati per un posto di lavoro c’è solo una donna, allora non avrà alcuna possibilità di essere assunta». Quando ho letto quest’articolo di Stefanie K. Johnson e altri sull’Harvard Business Review, mi sono cascate le braccia: nelle grandi imprese americane ci sono più CEO che si chiamano David (4.5%) che donne (4.1%) e, a voler essere pignoli, David non è neppure il nome più diffuso tra i CEO, che invece è John (5.3%). A completare il quadro, i CDA sono composti all’85% da uomini bianchi, che sono pure il 95% dei CEO. Sarebbe come dire che (scegliendo nomi a caso) in Italia ci sono più amministratori delegati che si chiamano Mario che donne, e che se ti chiami Giuditta e ti candidi per un posto in un CDA, quando concorri contro Marco, Alberto e Tommaso non hai alcuna chance di farcela.

Detto in breve, l’articolo dell’Harvard Business Review spiega che quando un solo candidato si differenzia in una selezione rispetto agli altri (tre uomini e una donna, tre bianchi e un non-bianco) scatta nei selezionatori – chiunque essi siano – il pregiudizio psicologico a favore della conservazione dello status-quo, inducendoli inconsciamente a scegliere un candidato simile alla leadership in essere e a non considerare quello che si differenzia, proprio perché il cambiamento è vissuto come una forzatura, una rottura della continuità e non un’evoluzione.

Gli autori dell’articolo riportano i risultati degli esperimenti condotti, grazie ai quali propongono una soluzione: usare il meccanismo del pregiudizio in favore dello status quo, ribaltandolo a favore del cambiamento. Come? Creandone uno nuovo, ossia incidendo sulla composizione della rosa dei candidati. Se si desidera che la diversità sia un criterio fondante la selezione e quindi la composizione del gruppo dirigente, è fondamentale che – indipendentemente dal numero totale dei candidati – la rosa sia composta non da uno solo ma di almeno due donne o due appartenenti alle minoranze (etniche, religiose, ecc.). Questo non garantisce che a vincere siano loro e neanche lo si vuole, sia chiaro, ma impedisce che le loro probabilità siano pari a zero.

I loro esperimenti hanno dimostrato che in un gruppo di tre uomini e una donna, le probabilità che a vincere sia la donna sono pari allo 0%; se sono due si sale al 50%, se sono tre si arriva al 67%.
Le conclusioni erano molto stimolanti e anche un po’ deprimenti, ma per scriverne qui mi serviva un esempio italiano, che fosse ben chiaro a tutti; alla fine, mi sono accorta di averlo davanti agli occhi ogni giovedì sera: X Factor Italia.

Dopo non essermi persa una puntata per anni, dalle selezioni alla gara, è chiara un’anomalia evidente, che è sempre la stessa da anni: la composizione della giuria, tre uomini e una donna.
È sempre stato così, in Italia e all’estero? No. Ho controllato tutte le edizioni italiane, inglesi e americane. Nelle prime edizioni il regolamento prevedeva che i giudici fossero tre, per poi aumentarli a quattro. È bene anche ricordare che sono i giudici a concorrere, gareggiando gli uni contro gli altri, ciascuno con una squadra composta da tre concorrenti. Il pubblico vota le aspiranti popstar, ma è il giudice a vincere.

Nelle dodici edizioni britanniche (2004-2015) nel primo triennio la giuria a tre è composta di due uomini e una donna. Con la regola della giuria a quattro, da lì in poi è sempre stata composta di due uomini e due donne. Idem dicasi per le sole tre edizioni 2011-13 di X Factor Usa: quattro giudici, sempre due uomini e due donne (negli Stati Uniti ha avuto meno successo, The Voice l’ha battuto negli ascolti).

E X Factor Italia? Le prime quattro edizioni sono state prodotte da Rai2: nel 2008 e 2009 su tre giudici due erano donne, nelle due successive erano due su quattro. Quando il format è passato a Sky Uno, la composizione 2+2 è rimasta solo nella loro prima edizione del 2011, poi per cinque edizioni consecutive – compresa quella in onda ora – i giudici sono sempre stati tre uomini e una donna. E a condurre è sempre stato un uomo, Francesco Facchinetti a Rai2 e Alessandro Cattelan a Sky.

E indovinate un po’ quante volte ha vinto un giudice donna? Solo una volta, quanto a X Factor 2011 (edizione Rai2), la giuria era formata da due uomini e due donne. Per la cronaca, a vincere è stata Simona Ventura. Nessuna prima e soprattutto nessuna dopo, da quando la giuria è fissa sulla composizione tre uomini una donna. E fintanto che ci sarà un’unica donna nella giuria, ossia nella rosa dei candidati a vincere, se hanno ragione gli studiosi di diversity management dell’università di Harvard, chiunque lei sia, non ha alcuna probabilità di vincere. È una brutta notizia per Arisa, ma non solo per lei.

Emanuela Marchiafava

Media Analyst e consulente per le imprese, già assessore della Provincia di Pavia, si occupa di turismo, politica e diritti.