Il turismo è occuparsi del tempo degli altri

Che cos’è, in fondo, il turismo se non occuparsi del tempo degli altri? E che cosa c’è di più politico dell’occuparsi del tempo degli altri?
È dalla strage del 14 luglio a Nizza che queste domande mi sono tornate alla mente. Una volta c’erano le vacanze e il tempo libero. La vacanza era il tempo da svuotare, in cui sgravarsi dai pesi quotidiani, per ciondolare dal letto alla tavola, passando per una sdraio in riva al mare o sotto un albero. C’erano le vacanze-premio, quelle che venivano messe in palio nelle lotterie di paese o con la raccolta punti del supermercato. Tutta roba finita in
cantina, insieme con le biglie di vetro e i braccioli per nuotare.

Ora ci sono i viaggi e le esperienze.
E allora questo tempo si è caricato di attese, riempito di compensazioni e gratificazioni perché lì dentro, in quello spazio e in quel tempo, coltiviamo tanto di quello che non riusciamo a far crescere nella quotidianità governata dall’affanno, dove non riusciamo a creare piccole oasi per la – nostra – straordinarietà.
Il valore che attribuiamo ai viaggi è più elevato, ora è il tempo che organizziamo nei luoghi raggiunti grazie ai risparmi accumulati nel tempo ripetitivo del lavoro quotidiano. Non è più uno status symbol, una misura del benessere economico, è un tempo identitario; una volta lo erano il primo viaggio da ragazzi on the road o i viaggi di nozze, ora possono esserlo tutti, perché è la scelta che sta alla base che racconta chi siamo, soprattutto sui social. Quanto spazio riserviamo all’autobiografia dei nostri viaggi, delle nostre vacanze? Lo facciamo perché questo è il tempo che sentiamo più libero di tutti, perché è il tempo in cui possiamo esercitare una scelta che ci gratifica e ci definisce agli occhi degli altri.

Il terrorismo che colpisce nei luoghi turistici sa che le stragi causano la diminuzione del PIL turistico proprio perché riescono ad influenzare la libertà della scelta, lo sappiamo; sappiamo d’altro canto che non siamo comunque disposti a rinunciare ai nostri viaggi, al nostro tempo della libertà e della scelta. Quello che ancora non sappiamo è se siamo pronti a connotare anche politicamente questa scelta. Lo facciamo già quando decidiamo di mangiare biologico, vegetariano, a chilometri zero o a vestire ecologico; adesso potremmo anche decidere anche di viaggiare “politicamente”. Ora – ovviamente al netto delle raccomandazioni sulla sicurezza diramate dai governi – ci vorrebbe un turismo anti-terroristico, quello disposto a continuare ad apprezzare per il loro valore i luoghi e i paesi colpiti dagli attacchi, senza paura.

Emanuela Marchiafava

Media Analyst e consulente per le imprese, già assessore della Provincia di Pavia, si occupa di turismo, politica e diritti.