Non pagheremo noi la pallottola 

Non pagheremo noi la pallottola per ammazzare il Pd. Il governo cinese fa pagare ai familiari dei condannati a morte il costo della pallottola utilizzata per l’esecuzione capitale.
Sabato 11 maggio i dirigenti mezzo azzoppati del Partito Democratico potrebbero chiedere all’Assemblea nazionale di votare la chiusura definitiva del partito su se stesso, votando ad esempio un regolamento per il congresso a ottobre che preveda di concedere il diritto di voto per scegliere il nuovo segretario nazionale ai soli iscritti, e magari pure senza primarie. Se così fosse, saremo in tanti a dire di no e io non sottoscriverò per nessuna ragione al mondo questa soluzione, perché equivarrebbe a pagare quella pallottola.

L’assemblea è stata convocata, la nota logistica già inviata e anche le telefonate per avere conferma della nostra partecipazione, ma noi mille membri dell’assemblea ancora non abbiamo ricevuto l’ordine del giorno. Negli anni scorsi ci inviavano con sole 24/48 ore di anticipo i documenti da votare, ora anche l’odg è top secret.

Scrive Davide Faraone: «Per me renziano e per tutti noi eletti con le primarie» non è possibile che gli stessi dirigenti di sempre cerchino «con tecniche di autentico nonnismo, di tornare a galla, azzerando le faticose conquiste di rinnovamento, le primarie, il drastico ricambio… ora pensano al congresso come arma per rimettere in piedi l’Ancien Régime».

Perché sarebbe la morte del pd, quello vero, non tanto quello sfiancato e suonato di oggigiorno, ma di quello a cui ancora non siamo arrivati e per cui molti di noi hanno continuato tenacemente a lavorare da anni. Il pd è diviso in due sì, ma orizzontalmente ormai, tra la dirigenza nazionale e la sua base, che è imbufalita, si reputa tradita dalla gestione del risultato elettorale, dal mancato rinnovo della Presidenza della Repubblica e dai siluramenti di Prodi e Rodotà, per finire con il governo di larghe intese PD – PDL. Un governo che non realizzerà il cambiamento per cui questa base si è spesa a raccogliere il voto dagli elettori e che dovrà comunque darsi e dare delle priorità perché si innestino anche in questa situazione difficile quegli elementi di cambiamento di cui il Paese ha bisogno.

Il PD e il suo governo dalla larghe intese, potranno forse raggiungere questo obiettivo solo ripartendo dal basso, dalle aggregazioni di valori e d’interessi che in questi anni si sono formate sui territori per far fronte in maniera nuova e partecipata al bisogno di cambiamento. Da quella stessa base, talmente incavolata da essersi auto occupata; #occupypd nasce così, dall’occupazione delle federazioni provinciali perpetrata proprio dalle stesse persone che quelle federazioni le tengono in piedi; è successo in cinquanta città, in tutta Italia.

Queste persone, gli auto occupanti, i dirigenti di periferia, i giovani democratici, gli amministratori degli enti locali, si sentono traditi perché, spesso, per loro che sono l’ossatura della base, il partito è ancora e soprattutto un luogo identitario e la loro faccia pubblica. Con fatica si sono mischiati in questi anni, e invece la dirigenza nazionale che ha fatto?, si chiedono. “Loro” hanno mantenuto le distanze e, talvolta, pure le etichette ben distinte, pronti ora a spartirsi il governo agli ex dc e il partito agli ex ds. Questa volta, che minaccia di essere l’ultima, l’esempio dovrebbero proprio prenderlo dalla base, che è pronta a muoversi, ma non per rinchiudere il PD in un domicilio coatto ma per renderlo appieno un partito di strada.

Nessuno vuole più rinnovare la tessera, i segretari dei circoli registrano ogni giorno nuovi rifiuti anche da chi ha una tessera a cui non manca nemmeno un “timbro” annuale.
Invece di pensare all’ipotesi di una reggenza di un partito chiuso per rifondare il partito, l’assemblea dell’11 maggio dovrebbe “semplicemente” pensare ad un rinnovo massiccio della sua classe dirigente che ha sbagliato tattica e strategia. Nei partiti che funzionano, nei paesi democratici, si fa così. Si chiama accountability.

(Pubblicato su imille.org)

 

Emanuela Marchiafava

Media Analyst e consulente per le imprese, già assessore della Provincia di Pavia, si occupa di turismo, politica e diritti.