Il primo sindaco nero, in Slovenia

Il confine orientale d’Italia è stato a lungo l’avamposto dell’occidente al di là del quale, segnalato dalla bandiera jugoslava con regolamentare stella rossa, si stendeva lo sterminato mondo del socialismo reale. Oggi il confine non esiste più, e al massimo sale agli onori della cronaca quando qualche deficiente pensa di sostituire, sul valico, il tricolore con il sole delle Alpi.
Oltre il confine accadono fatti nuovi e interessanti. Ad esempio, la cittadina slovena di Pirano da qualche giorno detiene un record: è la prima in tutta l’Europa centro-orientale ad aver eletto un sindaco di colore. Di qua dal confine, invece, c’è un capatàz leghista che proclama i marocchini geneticamente predisposti al crimine e vuole classi differenziate per i bambini disabili.

A vent’anni dall’evaporazione della stella rossa confiniamo a oriente con un piccolo Paese giovane e dinamico che ci fa una concorrenza spietata. E non certo perché offre manodopera a buon mercato, né perché in Slovenia la benzina, le sigarette e altri generi di consumo costano meno. Il fatto è che imprenditori e aziende, italiani, sono incentivati a stabilirsi là da una tassazione degli utili di dieci punti più bassa che in Italia, dagli incentivi, dalla burocrazia snella.

Ormai da tempo non si fanno più paragoni con i tassi di crescita di India, Cina e Brasile, e anche quando ci confrontiamo agli altri “grandi” Paesi europei siamo consapevoli di non poter alzare la voce. Ma fino a che punto le energie e la vitalità dell’Italia possono essere mortificate da un sistema politico e burocratico che ci rende letargici e non attrattivi persino rispetto a un Paese dell’ex Jugoslavia di meno di due milioni di abitanti? Com’è possibile che nel giro di pochi anni lo sconosciuto porto sloveno di Capodistria è riuscito a correre testa a testa con quello di Trieste? O che in Europa gli interessi della Slovenia, ad esempio sulle grandi infrastrutture, abbiano più ascolto di quelli italiani?

Non so se stiamo restando indietro anche sul piano dell’integrazione. Ma l’elezione di quel sindaco a Pirano ci getta in faccia una sfida e pone in primo piano quello che a me sembra uno dei nodi da sciogliere, se vogliamo uscire da una stagnazione che somiglia sempre più al declino. Quel nodo è rappresentato dalla necessità di una svolta culturale del nostro Paese. Non basta più mettere mano alle norme e avviare riforme comunque tardive: l’Italia deve darsi nuovi e chiari obiettivi sui quali misurare le sue forze e la sua coesione, e riprendere a correre. L’alternativa è il verbo del capatàz.

Debora Serracchiani

Debora Serracchiani è avvocato, ed è stata eletta al Parlamento europeo per il Partito Democratico. Il suo sito è Debora Serracchiani. (vedi la sua voce su Wikipedia)