Com’è andato Luigi Di Maio a “Che tempo che fa”?

Domenica sera il capo politico del Movimento 5 Stelle Luigi Di Maio è stato ospite da Fabio Fazio, dopo essersi ritirato dalla sfida con Matteo Renzi a Dimartedì. Di Maio è stato da Fazio per poco meno di un’ora, cioè meno di Renzi, e, soprattutto, ha affrontato un’intervista più facile. Sia perché è stata più breve, sia perché Fazio è stato un interlocutore più facile da gestire rispetto ai quattro giornalisti che hanno affrontato Renzi: Giovanni Floris, Alessandro Sallusti, Massimo Franco e Massimo Giannini.

C’è da dire che Fazio si è impegnato molto e in diversi momenti ha cercato di mettere alle strette Di Maio (in un paio di casi rischiando anche di risultare antipatico e aggressivo nel tentativo di mostrarsi con la schiena dritta). Fazio probabilmente ha pagato la sua inesperienza nel campo delle interviste politiche: per quanto sia un grande professionista, non è un volpone rotto ad ogni astuzia come Floris, Sallusti, Franco e Giannini. Di Maio ha fatto comunque dei grossi errori, ha sbagliato dei rigori a porta vuota (su cui torneremo tra poco) ed è sembrato un po’ impreparato su alcuni punti. Complessivamente, però, la mia opinione è che la sua performance è stata migliore di quella di Renzi a Dimartedì.

Dico questo perché mi sembra che Di Maio si sia rivolto con efficacia a un elettorato molto più vasto ed eterogeneo di quello a cui è riuscito a parlare Renzi. Mi spiego. Di Maio ha cercato di essere tranquillizzante sui temi più cari all’elettorato anziano e moderato, come ad esempio l’uscita dall’euro, e nel contempo ha adottato una posa da politico compassato, centrista e affidabile. Fazio lo ha involontariamente aiutato a presentarsi con questa immagine, come quando ha ricordato che nel suo ultimo libro Bruno Vespa lo paragona al giovane Andreotti.

Di Maio gioca molto con questi paragoni. Sa bene che il Movimento 5 Stelle è forte tra i giovani e che quindi l’elettorato che bisogna conquistare è quello dei più anziani. Noi giornalisti dovremmo stare attenti a non cadere in questa trappola, a non assecondare questo suo gioco. La cosa giornalisticamente più interessante, infatti, non è la posa da statista di Di Maio, ma la presenza di evidenti contraddizioni nel suo agire politico. In certi contesti Di Maio si comporta da estremista e tribuno della plebe oppure tollera che nel suo partito ci siano posizioni inaccettabili per i moderati (pensate alle continue strizzate d’occhio del Movimento agli antivaccinisti). Altre volte, Di Maio si presenta in TV per recitare il ruolo di faccia pulita del Movimento. Insomma: io non lo asseconderei, ma cercherei di stuzzicarlo per evidenziare questa contraddizione.

Il suo messaggio, comunque, passa: riesce a sembrare il bravo ragazzo di cui anche la nonna si può fidare. Per quanto sia stato possibile mostrarsi moderato e appetibile per quell’elettorato, lui ci è riuscito. Ed è riuscito anche a fare quel che al Movimento viene meglio: parlare ai giovani, in particolare quelli del Centro e del Sud. Intendiamoci: la sua non è stata una performance spettacolare. Non è un trascinatore, non è un oratore ispirato e come dicevamo i suoi toni sono pacati e moderati. Però è riuscito comunque a mandare alcuni messaggi molto chiari all’elettorato più giovane. Ha ricordato, ad esempio, di essere uno di loro, di appartenere a una generazione che si sente esclusa, diseredata e che non ha ricevuto quello che gli spettava. Si è identificato con loro e ha individuato i loro problemi (una cosa che Renzi ha smesso di fare da tempo). Ha anche offerto una soluzione pratica e concreta a questo problema: il reddito di cittadinanza.

Non serve che ci impicchiamo alla sua definizione, né che andiamo a vedere in quale forma possa o non possa essere realizzato (pensare che gli elettori decidano con le tabelle INPS in mano è davvero velleitario): il messaggio è chiaro. Reddito di cittadinanza significa che il Movimento 5 Stelle intende dare tre, quattrocento, cinquecento euro al mese a chi è povero. Non importa la cifra esatta e non importa individuare esattamente chi potrà e non potrà riceverlo. Chi è in una situazione difficile sente che Di Maio sta parlando con lui e che gli sta offrendo qualcosa di concreto.

A questo proposito vale la pena aprire una parentesi su come il PD e Renzi abbiano affrontato il problema del reddito di cittadinanza, cioè in una maniera che mi sembra del tutto inadeguata. Sostengono che la soluzione non è “l’elemosina” del reddito di cittadinanza, ma la creazione di posti di lavoro. Ma un ragazzo che da tre anni fa lavoretti saltuari, faticando a portare a casa 500 euro al mese, non se ne fa niente della promessa di altro lavoro. Molto più probabilmente preferirà quel politico che gli dice “qualunque cosa accada, ti darò tre o quattrocento euro finché le cose non andranno meglio”. “Creeremo più posti di lavoro”, insomma, non è una proposta concreta: tutti i politici dicono che creeranno più posti di lavoro e non si può pensare che sia sufficiente questo a contrastare il Movimento 5 Stelle.

Arrivati a questo punto è il caso di parlare degli errori e dei limiti di Di Maio – che sono tanti. Di Maio è un politico per certi versi abile e competente, ma per molti altri aspetti è ancora inesperto e immaturo. Facciamo l’esempio di quello che secondo me è un grave errore di grammatica politica commesso ieri. A un certo punto Fazio ha chiesto a Di Maio quale sarebbe il suo primo atto da presidente del Consiglio. I bravi politici hanno sempre una risposta pronta a questa domanda, che di solito contiene una proposta precisa e concreta con cui si rivolgono al loro elettorato più importante. Di Maio invece si è impappinato: ha detto che vuole migliorare il modo in cui vengono fatte le “cose” e introdurre maggiore “giustizia”. Una risposta così vaga e inconcludente che dopo cinque secondi stavo già pensando ad altro e mi sono dovuto concentrare per tornare a seguirlo. La risposta giusta, invece, era il reddito di cittadinanza. Dire chiaramente che avrebbe dato 400 euro a tutti quelli che non arrivano a 1.000 euro al mese.

Ma nonostante questi errori, Di Maio è riuscito a fare un discorso che tocca molti temi e molti elettori in maniera abbastanza efficace. Di Maio è stato ecumenico, ha dato qualcosa un po’ a tutti, pur privilegiando il suo elettorato più fedele. Ha fatto degli errori, è inesperto e ha molti limiti che forse con l’età riuscirà a superare. Ma comunque, secondo me, è stato più efficace di Renzi, che una settimana fa ha parlato a un elettorato molto più ridotto, non è riuscito a comunicare con i giovani e con le vaste sacche di disagio che si trovano nel Mezzogiorno. Per quanto mi riguarda, quindi, questa settimana si conclude con un 1-0 per Luigi Di Maio su Matteo Renzi.

Davide De Luca

Giornalista. Ho scritto per l’Arena di Verona e per l’Agence Europe di Bruxelles. Ho collaborato ad alcuni libri d’inchiesta su CL e la finanza cattolica. Mi piacciono i numeri e l’economia e cerco di spiegarli in modo semplice. Su Twitter sono @DM_Deluca