Stiamo vincendo la guerra all’ISIS?

Secondo una ricerca pubblicata lo scorso luglio l’ISIS è la cosa di cui gli italiani hanno più paura mentre la crisi economica globale è soltanto al secondo posto. L’ISIS non ha mai compiuto un attacco in Italia quindi è probabile che la ragione di questa paura sia l’attenzione che la stampa italiana dedica all’ISIS: quasi ogni giorno i media raccontano esecuzioni, atti di barbarie e indiscrezioni più o meno fondate sui miliziani dello Stato Islamico.

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Queste informazioni sono spesso ricche di dettagli macabri e particolari truculenti, ma raramente ci aiutano a rispondere ad una semplice domanda: stiamo vincendo la guerra contro l’ISIS? La risposta breve è “sì”. Dall’inizio dell’anno l’ISIS ha perso più del 10 per cento del suo territorio, almeno 10 mila combattenti e l’accesso ai pozzi petroliferi siriani. La risposta lunga prevede di chiarire almeno due termini nella nostra domanda.

Contro “chi” esattamente stiamo vincendo?
Contro l’ISIS, ovviamente, ma che cos’è l’ISIS? O ancora meglio: cosa non è l’ISIS? Non è un sinonimo di fondamentalismo islamico, ad esempio. E non è al Qaida, anche se molte persone pensano che queste parole siano in qualche maniera sinonimi. Questo schemino può aiutarci a capire un po’ meglio di chi stiamo parlando e soprattutto di chi non stiamo parlando.

1. I radicali
Ci sono circa un miliardo e mezzo di musulmani nel mondo e per molti di loro la religione non è un fenomeno più importante di quanto lo è per gli italiani. Per molti altri invece, che chiameremo “radicali”, la religione è un aspetto centrale della vita (radicalismo e fondamentalismo sono due termini che possono essere usati in maniera intercambiabile). Esistono varie gradazioni di radicali è stessa definizione di “radicale” è spesso oggetto di discussioni (chi è contrario all’aborto per motivi religiosi può essere definito “radicale”?). In media possiamo dire che ci sono più musulmani radicali che, ad esempio, cristiani radicali od ebrei radicali, ma per gran parte di loro la religione rimane comunque un fatto privato: vorrebbero vivere in un paese dove le leggi rispecchiano le loro idee religiose, ma la maggior parte di loro non fa nulla per favorirne l’introduzione.

2. I politici
Un sottoinsieme dei “radicali” è costituito da quelle persone che cercano attivamente di trasformare il paese dove vivono: li chiameremo “politici”. Il loro obbiettivo è utilizzare processi politici e democratici per introdurre leggi basate sulla religione islamica. L’AKP turco, la Fratellanza Musulmana in Egitto, Ennhada in Tunisia sono tutti ottimi esempi di movimenti formati da islamisti radicali politici. Alcuni di questi gruppi non sono diversi dalla Democrazia Cristiana dei primi decenni del dopoguerra, un partito molto legato al clero cattolico che era favorevole all’introduzione di una legislazione basata su idee religiose.

3. I fanatici
Una minoranza dei “politici” crede che l’unico modo per vivere in uno stato basato sulla legge islamica sia ricorrere alla violenza armata: li chiameremo “fanatici”. I “fanatici” disprezzano la democrazia e ritengono che partecipare al processo politico sia profondamente anti-islamico. L’ISIS è il principale gruppo dei “fanatici”, ma non è il solo. Al Qaida con le sue varianti regionali è un altro e ci sono decine di altri gruppi indipendenti in tutto il mondo. I “fanatici” sono divisi tra di loro su quasi ogni punto. Alcuni di loro ritengono che sia giusto uccidere altri musulmani per raggiungere i propri scopi (l’ISIS, ad esempio), altri invece pensano che i musulmani debbano unirsi contro i nemici occidentali (al Qaida, soprattutto). Alcuni predicano la guerra santa nei loro paesi per rovesciare regimi corrotti, mentre altri sostengono la “jihad globale” contro Israele e gli Stati Uniti. Altri ancora hanno ideologie simili, ma si combattono tra di loro per questioni di prestigio personale, denaro e potere.

Cosa significa “vincere”?
Ricapitoliamo: l’ISIS è uno dei numerosi gruppi di radicali islamici violenti che a loro volta sono un sottoinsieme dell’Islam politico che a sua volta è un sottoinsieme che raggruppa quella parte dei musulmani che hanno convinzioni radicali (radicali > politici > fanatici). Detto in termini ancora più semplici: ISIS non è sinonimo di radicalismo islamico. Esistono milioni di islamici radicali che non hanno nulla a che fare con l’ISIS e migliaia di radicali islamici violenti che combattono l’ISIS.

L’ISIS è un’organizzazione precisa, con una scala gerarchica definita e un territorio circoscritto. Questa organizzazione sta perdendo la sua battaglia per il semplice motivo che si è fatta troppi nemici. Un breve elenco comprende: il governo siriano, il governo iracheno, l’Iran, i ribelli siriani moderati, i ribelli siriani estremisti, al Qaida, i curdi siriani, i curdi iracheni, Hezbollah, gli Stati Uniti, tutti i paesi arabi, tutto l’occidente. Non tutti gli attori si stanno impegnando nella lotta con la stessa energia, ma il semplice volume di forze schierate sta lentamente stritolando le milizie dell’ISIS. Non è detto che la loro sconfitta sarà un processo rapido e indolore, ma nell’attuale situazione l’ISIS non ha alcuna speranza di sopravvivere nel medio termine.

Il problema è che distruggere l’ISIS non significa rimuovere le cause che hanno spinto alcuni musulmani ad imbracciare le armi per creare uno stato basato sulle leggi islamiche – e ancora meno significa eliminare le ragioni che spingono milioni di musulmani a pensare che sia auspicabile vivere in uno stato simile. Possiamo sconfiggere l’ISIS di oggi, ma probabilmente in futuro ci saranno altri gruppi armati che continueranno a fare appello alla stessa ideologia e che magari useranno il nome “ISIS” nel tentativo di raccoglierne l’eredità. In altre parole, sconfiggere il radicalismo islamico violento – sconfiggere i “fanatici” – è tutto un altro discorso.

Tanto per cominciare non sappiamo nemmeno quali siano le causa che spingono decine di migliaia di giovani musulmani a diventare “fanatici”. Una delle teorie più accreditate è quella secondo cui l’estremismo islamico (sia quello politico che quello violento) è nato come rifiuto della modernità in una maniera non molto diversa da come sono nati movimenti radicali cristiani ed ebraici. In Medio Oriente questo rifiuto è diventato spesso violento a causa della cronica instabilità della regione, dei governi inefficienti, autoritari e corrotti e della mancanza di sviluppo economico ed opportunità per le giovani generazioni.

Se questa teoria è corretta, quella contro il radicalismo islamico non è il tipo di battaglia che si vince con aerei e carri armati e nemmeno con operazioni di intelligence. Si può vincere rendendo la regione stabile, favorendo lo sviluppo economico e la democrazia. Purtroppo su questo fronte i progressi fatti negli ultimi anni sono stati dolorosamente pochi.

Questo è l’ottavo “dispaccio” di una serie settimanale con cui cercherò di raccontare le guerre che stanno attraversando il mondo musulmano. Qui ho raccontato il progetto. Qui potete trovare gli altri dispacci.

Davide De Luca

Giornalista. Ho scritto per l’Arena di Verona e per l’Agence Europe di Bruxelles. Ho collaborato ad alcuni libri d’inchiesta su CL e la finanza cattolica. Mi piacciono i numeri e l’economia e cerco di spiegarli in modo semplice. Su Twitter sono @DM_Deluca