Quanto sono micidiali le armi chimiche?

Se gli accordi tra Stati Uniti e Russia del 14 settembre saranno messi in atto in maniera efficace, il regime siriano si troverà, entro la metà del prossimo anno, completamente privo del suo arsenale di armi chimiche. Si tratta, secondo molti, di un successo della diplomazia internazionale che, senza ricorrere alla guerra, è riuscita a imporre il rispetto di una norma internazionale: il divieto di usare armi chimiche (qui trovate un articolo del Post in proposito).

Secondo molti altri gli accordi hanno ottenuto anche un ulteriore risultato: privare il regime siriano delle sue armi più micidiali, rendere il potere di Assad più traballante, compromettere la sua capacità di opporsi ai ribelli e di uccidere la popolazione civile siriana. Questa opinione è in parte influenzata dall’idea che le armi chimiche siano vietate proprio perché sono particolarmente micidiali ed efficaci nell’uccidere gli esseri umani – insomma, che siano un’arma di distruzione di massa, alla pari con quelle biologiche e nucleari. In realtà le cose non stanno proprio così, anzi.

I problemi delle armi chimiche
Per immaginare l’effetto delle armi chimiche sono state fatte diverse simulazioni e sono stati studiati diversi modelli. Una delle più famose è stata elaborata nel 1993 dall’Office of technological assessment del Congresso degli Stati Uniti. Secondo questa simulazione se una città con una densità tra i 3 mila e i 10 mila abitanti per chilometro quadrato venisse attaccata con una tonnellata di gas nervino (sparso da un aereo a meno di cento metri di altezza), in condizioni climatiche ideali potrebbero esserci fino a 8 mila morti (si tratta di una stima ritenuta oggi un po’ esagerata). Ma basterebbe una brezza leggera e i morti si ridurrebbero a un numero compreso tra 300 e 800.

Sia che siano agenti vescicanti, che si presentano sotto forma di nuvole opache di gas, sia che siano moderni gas nervini, che a temperatura ambiente sono liquidi e vengono rilasciati sotto forma di una specie di pioggia, le armi chimiche hanno tutte in comune un limite fondamentale: la loro efficacia dipende dalle condizioni atmosferiche.

Non c’è soltanto il vento di cui tener conto: è importante considerare anche le precipitazioni, la temperatura e la pressione dell’aria, se ci sono nuvole, se è giorno oppure se è notte (se ne parla a lungo in questo paper di Gert G. Harigel, uno dei numerosi esperti di armi chimiche che ne criticano l’inclusione tra le cosiddette “armi di distruzione di massa). Tutte queste limitazioni sono legate a un’altra fondamentale caratteristica che hanno tutte le armi chimiche: sono volatili e più dense dell’aria nella quale vengono disperse.

Si tratta di caratteristiche fondamentali: se fossero meno dense, tenderebbero a salire verso il cielo, senza produrre grandi danni. Se fossero meno volatili, non si disperderebbero e non causerebbero molti danni. I gas, o le “piogge” di nervino, tendono invece a cadere verso il suolo, ma sono influenzati dal vento che li può disperdere o spostare. Il nervino si adagia ovunque, produce dei vapori più pesanti dell’aria (la produzione di questi vapori dipende a sua volta dalla temperatura, dalla pressione e dall’umidità). I vescicanti, come l’iprite, si accumulano nelle buche, nei dislivelli e filtrano nel sottosuolo.

Questo ci porta a un altro “difetto” delle armi chimiche: si tratta di armi dalle quali è possibile difendersi (se ne parla a lungo in questo documento del MIT di Boston – anche qui si parla di togliere alle armi chimiche la definizione di “armi di distruzione di massa”). Raggiungere luoghi elevati – una collina, il tetto di un palazzo – può essere una precauzione sufficiente per evitare gli effetti dei gas di tipo più vecchio, come l’iprite o il cloro. Restare al coperto durante la pioggia iniziale e quindi raggiungere luoghi elevati dove i vapori non riescono ad arrivare, è una difesa possibile anche contro gli agenti nervini come il sarin – sempre di non essere colti allo scoperto: gli agenti nervini uccidono in pochi secondi (alcuni di questi consigli sono tratti dal sito dell’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche).

I militari hanno modi ancora più sicuri per difendersi. Tute per la guerra chimica, del costo di circa 150-200 euro, sono a disposizione di tutti gli eserciti del mondo, così come apparati per proteggere i veicoli. Questo tipo di difese rende immuni a qualunque arma chimica. Non esiste quantità di sarin o cloro che possa penetrare una moderna tuta NBC (Nuclear, bacteriological and Chemical, cioè che protegge da armi chimiche, batteriologiche  e da radiazioni) e da o un veicolo militare protetto.

Le armi chimiche nella storia
Tutti questi difetti sono emersi chiaramente nella storia militare dell’ultimo secolo. I primi gas tossici soffocanti e vescicanti vennero usati nel corso della Prima guerra mondiale. Il gas, utilizzato per la prima volta nel 1915, doveva essere l’arma destinata a spezzare lo stallo della guerra di trincea, ma fallì clamorosamente il suo obbiettivo. Le armi chimiche si rivelarono un’arma incredibilmente poco letale: morirono soltanto il 3 per cento dei soldati che furono colpiti dai gas, a fronte di una media del 30 per cento dei soldati colpiti da altre armi. Si calcola che durante la guerra per uccidere un solo soldato sia stata necessaria un’intera tonnellata di gas.

Quelli della prima guerra mondiale erano gas “primitivi” e non efficaci come gli agenti nervini moderni. Negli ultimi decenni sono stati prodotti gas molto più letali, ma i loro risultati in guerra non sono stati migliori. Durante la guerra tra Iran e Iraq dei 27 mila soldati iraniani esposti ai gas ulceranti e soffocanti ne morirono “soltanto” 265. In tutta la guerra soltanto l’1 per cento dei morti (circa 5 mila, anche se alcune stime parlano di un numero molto maggiore) è stato causato dalle armi chimiche, la stessa percentuale della Prima guerra mondiale.

Tutti questi casi raccontano storie di eserciti che, anche quando non dotati delle migliori tecnologie per difendersi dai gas, erano pur sempre preparati ad affrontare minacce di vario tipo. Per nostra fortuna, nella storia ci sono stati pochi attacchi con gas contro una popolazione civile del tutto impreparata a reagire.

Il più grave di questi attacchi fu quello che subì Halabja, un villaggio curdo nel nord dell’Iraq. Intorno alle 23 del 16 marzo 1988, dopo due giorni di bombardamento con armi convenzionali, l’aviazione iraqena attaccò Halabja con ogni tipo di gas presente negli arsenali di Saddam Hussein. Ci furono 14 sortite aeree, ognuna composta da 7-8 aeroplani che sganciarono bombe contenenti armi chimiche. L’attacco durò cinque ore e i testimoni raccontano che il centro della città era avvolto in una nube di gas alta 40 metri formata da un misto di agenti nervini, gas mostarda, iprite e cloro. Il bilancio dell’attacco e del bombardamento con armi convenzionali che lo precedette fu di almeno 3.500 morti e 7 mila feriti.

Le armi chimiche sono state utilizzate anche in alcuni attacchi terroristici. I più famosi sono quelli compiuti nei primi anni ’90 in Giappone dalla setta Aum Shinrikyo. Un primo attacco con 3 chilogrammi di sarin causò 7 morti. Il secondo, compiuto all’interno della metropolitana di Tokyo, quindi in condizioni ideali per questo tipo di attacchi, causò 12 morti.

L’efficacia delle armi chimiche
Tony Cordesman, un ex membro del dipartimento della Difesa americana che ora lavora al Center for Strategic and International Studies, ha riassunto la questione durante un’intervista alla CNN. «Gli attacchi con armi chimiche non sono necessariamente più orribili che l’utilizzo di armi convenzionali», ha detto Cordesman, «la letalità delle armi chimiche è sempre stata molto maggiore sulla carta che nella realtà».

Quando sono state usate in contesti militari le armi chimiche hanno sempre fallito il loro obbiettivo. Non sono riuscite a sbloccare lo stallo della Prima guerra mondiale e non sono riuscite a fermare le ondate umane dell’esercito iraniano durante la guerra Iran-Iraq. Come molti commentatori hanno fatto notare già all’indomani della firma dell’accordo tra Stati Uniti e Russia, è difficile pensare che in Siria le cose possano andare diversamente e che, per la prima volta, l’uso di armi chimiche riesca a spezzare l’equilibrio tra le due forze in campo. Negli ultimi due anni, l’esercito siriano si è dimostrato più che in grado di tenere a bada i vari gruppi ribelli utilizzando soltanto il suo vasto arsenale convenzionale.

L’unico utilizzo nel quale le armi chimiche si sono rivelate efficaci è stato lo sterminio di civili indifesi. Ma anche qui, le migliaia di morti di Halabja sono state causate dopo un raid aereo durato ore e in cui sono stati impiegati decine di aeroplani. È difficile sostenere che simili massacri di civili non possano essere compiuti con la stessa facilità, impiegando un numero minore di mezzi e senza ricorrere alle armi chimiche. La storia, purtroppo, ce ne ha fornito un lungo elenco.

In Rwanda in soli cento giorni nella primavera del 1994 vennero massacrati circa un milione di Tutsi senza che venisse utilizzata nessuna arma più complicata di una machete. A Srebenica, in circa 48 ore, tra l’11 e il 13 luglio del 1993, vennero uccisi più di 8 mila bosniaci usando solo armi da fuoco. Volendo restare in Siria, nel 1982 in poco più di due settimane si calcola che l’esercito siriano uccise fino a 40 mila abitanti della città di Hama, dopo un’insurrezione promossa dai Fratelli Musulmani.

Questi stessi dubbi erano stati espressi da diversi commentatori molti mesi fa, quando Barack Obama parlò per la prima volta delle armi chimiche come di una linea rossa che non doveva essere oltrepassata. Di sicuro l’accordo tra Stati Uniti e Russia è un successo per la diplomazia. Se gli esperti dei due paesi e della Nazioni Uniti riusciranno a tradurre in pratica gli accordi, individuando i depositi di armi chimiche e distruggendoli, sarà un trionfo ancora più grande. Quello che però queste vittorie non sembrano in grado di garantire è una maggiore sicurezza al popolo siriano.

Ma allora perché le armi chimiche sono vietate?
In parte per tutti i motivi che abbiamo detto: le armi chimiche si sono dimostrate meno efficaci di quanto i loro inventori si attendevano. È più facile resistere alla tentazione di utilizzare in guerra un’arma inutile rispetto a un’arma in grado di cambiare le sorti di un conflitto. Si tratta però di una spiegazione che non convince tutti gli esperti.

Secondo alcuni il motivo principale ha a che fare con il modo particolarmente orribile con cui uccidono le armi chimiche. Altri obbiettano che non c’è molto di peggio nei gas e nei danni a lungo termine che possono infliggere ai sopravvissuti rispetto alle mutilazioni che possono causare schegge ed esplosioni. Uno dei libri che hanno approfondito più il tema si intitola The Chemical Weapons Taboo, di Richard M. Price. Se non volete leggervi tutto il libro, su Google Libri è presente una lunga anteprima in cui Price spiega che non c’è un’unica causa facile da spiegare in poche parole.

Davide De Luca

Giornalista. Ho scritto per l’Arena di Verona e per l’Agence Europe di Bruxelles. Ho collaborato ad alcuni libri d’inchiesta su CL e la finanza cattolica. Mi piacciono i numeri e l’economia e cerco di spiegarli in modo semplice. Su Twitter sono @DM_Deluca