Il giovedì nero della stampa italiana

Ieri è stato un giorno piuttosto brutto per la grande stampa italiana. Nel giro di 48 ore i principali giornali, cartacei e online, e agenzie hanno raccontato tre diverse bufale, una delle quali – quella di cui si è parlato di più: la finta lettera del professore che diceva di dover bocciare un suo alunno per permettergli di essere assunto – conteneva al suo interno altre tre incoerenze una sopra l’altra. Oggi se ne discute parecchio e si parla anche di com’è la stampa italiana oggi e di come potrebbe diventare.

Il giovedì nero, in realtà, è cominciato mercoledì pomeriggio, quando l’ANSA ha riferito in maniera errata il contenuto dell’ultimo decreto annunciato dal Consiglio dei ministri, il decreto lavoro. Nel decreto era scritto che per accedere ai finanziamenti per l’assunzione di giovani dai 18 ai 29 anni era necessario soddisfare una tra tre condizioni: non aver lavorato in maniera regolare negli ultimi sei mesi, vivere da soli o con persone a carico, non possedere un diploma di scuola professionale o media superiore. L’ANSA ha riportato, e tutti i giornali le sono andati dietro, che invece le condizioni dovevano verificarsi tutte contemporaneamente.

La mattina di giovedì, sempre l’ANSA, ha riportato la notizia che Edward Snowden, la “talpa” che ha rivelato lo scandalo Prism, aveva scritto un tweet chiedendo che gli venisse concesso l’ingresso in Ecuador. Anche lì, tutti i giornali e i telegiornali hanno riportato la notizia. Alcuni, come il TG La7 nell’edizione delle 13 e 30, ma anche molti altri, hanno continuato a diffondere la notizia, anche dopo la smentita ufficiale, sostenendo che c’era “un giallo” in corso.

Infine il caso della lettera. Se vi interessa qui potete leggere la storia per intero. In breve, diversi giornali hanno pubblicato ieri una lettera in cui un professore raccontava che per permettere ad uno dei suoi alunni, “Andrea”, di usufruire delle assunzioni agevolate del decreto lavoro, avrebbe dovuto bocciarlo all’esame di maturità. Ieri pomeriggio un’agenzia pubblicitaria ha rivelato di aver scritto la lettera con lo scopo di aprire un dibattito sul decreto lavoro.

I giornali non si sono sbagliati solo perché hanno preso per vera una lettera falsa, ma anche perché quella lettera era intrinsecamente incoerente per tre motivi. Il primo: i tempi tecnici del fatto raccontato nella lettera non erano realistici. Il secondo: per le regole del decreto non era necessario che il ragazzo venisse bocciato per poter essere assunto – il “professore” dava per vera la versione del decreto errata riportata dall’ANSA di cui abbiamo parlato sopra. Il terzo: anche se la versione errata del decreto fosse stata corretta e se “Andrea” fosse stato bocciato, non avrebbe comunque potuto sfruttare le agevolazioni per essere assunto. Andrea, infatti, avrebbe soddisfatto soltanto due requisti e non il terzo (vivere da solo o con persone a carico). Insomma: il bilancio del giovedì nero della stampa italiana è di tre grosse bufale di cui una ne conteneva altre tre al suo interno.

Oggi Giuseppe Smorto, responsabile di Repubblica.it, ha scritto al sito Valigiablu per spiegare il suo punto di vista sulla faccenda della finta lettera. Smorto sostiene che di bufale ne evitano già molte e che qualcuna sfugga può capitare, soprattutto se vengono prima passate dall’ANSA o sono già state pubblicate su altri giornali. La risposta si estende anche al tema della colonna destra del giornale online – quella piena di donne in costume da bagno o nude, per intendersi – che non sembra entrarci molto, ma invece è centrale.

La risposta di Valigiablu dice quasi tutto. Sì, risponde la redazione, bisogna rimettere in discussione l’affidabilità dell’ANSA che – come abbiamo visto – non ha sbagliato soltanto una volta negli ultimi due giorni. Inseguire il traffico facile con gallerie scollacciate sulla destra e riportando in fretta e furia notizie di ogni genere, aggiornandole rapidamente, può portare – complessivamente – a una perdita di traffico, mano a mano che l’affidabilità del giornale cala e il pubblico sceglie di informarsi da qualche altra parte.

Non è detto che la strategia di Repubblica porterà necessariamente a una perdita di traffico – o comunque ad un aumento minore rispetto ad altre strategie – l’articolo in cui si parlava della lettera, prima di essere eliminato, aveva più di 10 mila condivisioni su Facebook ed era stato twittato diverse migliaia di volte. Gli articoli che hanno smentito la bufala hanno ottenuto qualche migliaia di condivisioni e qualche centinaio di tweet.

Però esistono davvero due modelli differenti -forse tre – da seguire – almeno nel giornalismo online, dove questa differenza è più esplicita. A un estremo dello spettro ci sono giornali come il Daily Mail Online: zero verifica delle notizie, zero affidabilità e un mucchio di gallerie scollacciate. Dall’altro c’è il New York Times, nessuna galleria birichina – al massimo qualche ammiccamento – e un’elevata affidabilità. La gran parte dei siti dei grandi giornali europei si colloca più vicina al New York Times – non esiste la “colonna destra”, anche se non manca qualche ammiccamento.

Esiste anche l’Huffington Post, che potremmo chiamare una specie di terza via tra i due estremi. Sull’Huffington ci sono notizie serie, a volte anche scoop, accanto alle solite gallerie birichine. Le notizie diffuse sono tante, aggiornate spesso e vengono date con un tono forte, urlato – anche cromaticamente – e questo a volte porta a scivolare su qualche buccia di banana. La gran parte dei siti di giornali italiani – e forse, potremmo dire, della stampa in generale – è più vicina a questo modello che a quello rigoroso del New York Times e degli altri principali quotidiani europei.

Il fatto che il New York Times abbia oramai meno visitatori meno visitatori unici del  Daily Mail Online non è molto incoraggiante per comprendere quale delle due scelte – rigore o gallerie birichine – sia economicamente vantaggiosa, ma probabilmente non è questo il punto.

In Italia la “nicchia di mercato” dei giornali tipo Huffington è satura. Tutti o quasi giocano a mischiare alto e basso, a cavalcare le polemiche e le notizie che sembrano interessanti senza andare troppo per il sottile. La nicchia del rigore e della serietà sembra essere quasi vuota – la domanda di informazione di alta qualità sembra inferiore all’offerta. Questo spazio di mercato non occupato è forse l’unico motivo per cui uno stile più rigoroso e meno indulgente nei confronti dei gusti più bassi (senza connotazioni moralistiche) del pubblico, potrebbe essere economicamente praticabile.

Lo è stato per alcune piccole testate, a maggior ragione lo può essere per quelle più grandi e più blasonate. Ovviamente questo non è l’unico problema del giornalismo italiano. Si potrebbe aprire un capitolo infinito discutendo di linguaggio, autoreferenzialità, mancanza di editori puri, Ordine dei giornalisti, contratti e sindacati. Ma il giovedì nero della stampa ha aperto (anzi: riaperto) un dibattito sul rigore e sulla precisione, che, come abbiamo già scritto tante volte (qui e qui ad esempio), sono alcuni dei problemi più grossi che affliggono la stampa in Italia.

Correzioni
Prima Nicola Bruno (@nicolabruno), con un tweet che purtroppo ci è sfuggito (scusaci Nicola), e poi Pier Luca Santoro (@pedroelrey), che ci ha dedicato un paragrafo in questo suo articolo, ci hanno segnalato un errore nel pezzo. Avevamo scritto che il numero di visitatori del sito del New York Times era superiore rispetto al sito del Daily Mail. Si trattava di dati vecchi: attualmente il Daily Mail ha più visitatori del New York Times. Ci scusiamo per l’imprecisione.

Davide De Luca

Giornalista. Ho scritto per l’Arena di Verona e per l’Agence Europe di Bruxelles. Ho collaborato ad alcuni libri d’inchiesta su CL e la finanza cattolica. Mi piacciono i numeri e l’economia e cerco di spiegarli in modo semplice. Su Twitter sono @DM_Deluca