Riparare una finestra rotta

I due decenni che vanno dagli Anni ’70 all’inizio degli Anni ’90 sono stati gli anni più violenti della storia recente degli Stati Uniti e di quasi tutto il resto del mondo sviluppato. Il tasso di omicidi, in costante calo da circa 5 secoli, ebbe un’improvvisa impennata e le grandi metropoli divennero luoghi molto più pericolosi. Una delle soluzioni con cui la polizia cercò di tamponare l’emergenza fu l’applicazione della “Teoria della finestra rotta”, un principio per cui, per evitare il diffondersi di reati più gravi, bisognava perseguire tutte le infrazioni minori. Qualcosa del genere vale anche per il dibattito politico in Italia nel 2013. Il factchecking può essere parte della soluzione.

I reati violenti cominciarono a crescere negli Anni ’60 e continuarono fino ai primi Anni ’90 (se ne parla anche in questo libro). Il picco venne raggiunto durante “l’epidemia del crack”, nel corso degli Anni ’80, quando i tassi di criminalità raggiunsero livelli mai visti da decine di anni. Città come Detroit, Atlanta e New York vennero associate all’insicurezza, agli omicidi e alla violenza. La crisi economica e la contemporanea ascesa del Giappone che minacciava l’egemonia degli Stati Uniti portarono a formulare fosche previsioni per il futuro.

Gli scrittori di fantascienza, come Philip K. Dick e William Gibson, smisero di immaginare un futuro remoto fatto di astronavi luccicanti che navigavano gli spazi interstellari in cerca di nuovi mondi da colonizzare. L’orizzonte temporale si spostò a pochi decenni e le società del futuro divennero luoghi cupi e violenti dominati dalla criminalità organizzata.

Per una serie di motivi questa parabola del crimine ebbe un rapidissimo calo nel corso degli Anni ’90. All’epoca alcuni ritennero che quel calo fosse dovuto a nuove tecniche utilizzate dalla polizia. Una di questa tecniche, di sicuro la più pubblicizata, venne ispirata dalla “Teoria della finestra rotta”, che divenne la bandiera dell’amministrazione di Rudolph Giuliani, sindaco di New York, e del suo dipartimento di polizia.

Ecco come venne riassunta la teoria dai suoi inventori, James Q. Wilson e George L. Kellin, in un articolo del 1982:

Pensate a un palazzo con alcune finestre rotte. Se le finestre non vengono riparate, i vandali avranno la tendenza a romperne qualcun’altra. A un certo punto potrebbero entrarci e, se non è occupata, occuparla o accendere dei fuochi al suo interno. Oppure pensate a un marciapedi. Dell’immondizia comincia ad accumularsi. In breve, molta altra immondizia si accumula. Alla fine la gente comincerà a buttarci i sacchetti dei ristoranti da asporto oppure potrebbe cominciar a scassinare le auto.

L’applicazione di questa teoria portò la polizia di New York a perseguire ogni tipo di infrazione: dal saltare i tornelli della metropolitana fino a imbrattare un muro con dei graffiti. Per quanto oggi l’impatto della teoria della finestra rotta sui tassi di criminalità sia stato considerevolmente rivisto al ribasso, la verità sostanziale della teoria è stata confermata da innumerevoli esperimenti.

Ad esempio, se davanti a un supermercato i carrelli sono in disordine, i passanti butteranno più cartacce per terra che se i carrelli fossero ben allineati in fila. Molti di noi hanno sperimentato qualcosa di simile quando hanno dato un’occhiata alle condizioni della strada prima di decidere se gettare il mozzicone di sigaretta per terra (personalmente, da qualche tempo, mi sono ripromesso di non gettare mai i mozziconi per terra, indipendentemente dalle condizioni della strada e spesso ci riesco).

Le condizioni del dibattito pubblico in Italia non sono molto differenti da quelle di New York o Detroit negli anni più cupi dell’epidemia di crack. Precisione e correttezza non sono doti richieste – per non parlare della civiltà del linguaggio e della pura e semplice buona educazione. Ogni strappo della verità negli ultimi anni ha finito con l’incoraggiare lo strappo successivo, fino a che la stessa verità è scomparsa, sostituita dall’opinione.

Oggi esiste un verità di destra e una di sinistra o, quando siamo fortunati, una lettura di destra e una di sinistra. La prima domanda che ci si pone su un giornalista, un opinionista o un esperto di qualche campo è: da che parte sta? Le sue affermazioni vengono quindi incasellate nelle opinioni di una parte o dell’altra e quindi accolte acriticamente oppure acriticamente attaccate.

La colpa è in buona parte di un pubblico e di un elettorato immaturo e partigiano, ma c’è una responsabilità della stampa. Il pubblico voleva sangue, non verità e i giornalisti, invece che cercare di guidarlo e istruirlo, hanno preferito assecondare le sue pulsioni. I fatti e le cifre sono stati piegati dove faceva comodo e il primo errore partigiano che non suscitava una reazione ne chiamava in campo un altro, ancora più grande.

Nell’Italia di oggi dobbiamo ripartire dalle finestre rotte. Chi fa factchecking, nel senso più ampio del termine – da chi tiene un piccolo blog sul Post ai ragazzi di Pagella Politica e Politicometro (che fanno un lavoro meraviglioso), fino alle redazioni dei più grandi talk-show e ai giornalisti in generale – ha il dovere etico di riparare le finestre rotte e di pulire i muri imbrattati dai graffiti.

Oggi anche le virgole e i decimali dopo la virgola sono diventati importanti. L’unico modo per cominciare, lentamente, a migliorare la qualità del dibattito pubblico in questo paese, è sorvegliare anche il più piccolo fatto, la più piccola cifra. Pretendere dagli altri la massima correttezza e, ovviamente, pretenderla anche da noi stessi. Internet ci dà la straordinaria possibilità di sottoporre i nostri articoli a una peer review globale. Chiunque ci legge può commentare, indicare statistiche che abbiamo tralasciato o correggere interpretazioni distorte e noi abbiamo la possibilità di correggerci e rettificare in tempo reale.

L’applicazione pratica della teoria della finestra rotta nelle tecniche di polizia ha avuto probabilmente un impatto limitato nel combattere i tassi di criminalità. Le grandi cause di quei picchi furono demografiche, economiche e sopratutto culturali: quello che la polizia poteva fare era poco, ma questo non toglie che andava fatto.

Lo stesso discorso vale nell’Italia del 2013. Le cause della situazione attuale non possono essere combattute efficacemente da un pugno di giornalisti. Ma questo non toglie che tutto il possibile vada fatto. Come lettori, pretendere di più dai propri politici, dai giornalisti e dagli economisti. Come giornalisti: sorvegliare, controllare, correggersi rapidamente e scusarsi quando si sbaglia.

Non penso che sarà un processo rapido e non sono nemmeno certo che qualcosa del genere sia destinato ad accadere. I politici cercheranno sempre di piegare la realtà dalla loro parte, mentre una parte dei giornalisti daranno sempre al pubblico ciò che vuole invece di ciò di cui ha bisogno. Ma in piccolo, il successo dei siti di factchecking e l’eco che hanno avuto sui media tradizionali sono la spia di un interesse crescente per i dati oggettivi. Là fuori c’è una domanda di opinioni e valutazioni imparziali che aspetta solo di essere soddisfatta. Uno spazio per offrire un’informazione di un altro tipo esiste. Dobbiamo solo riempirlo.

 

Davide De Luca

Giornalista. Ho scritto per l’Arena di Verona e per l’Agence Europe di Bruxelles. Ho collaborato ad alcuni libri d’inchiesta su CL e la finanza cattolica. Mi piacciono i numeri e l’economia e cerco di spiegarli in modo semplice. Su Twitter sono @DM_Deluca