Il suono della paura e la bola messicana

Si chiama bola messicana e sembra un normale ciondolo d’argento. Contiene al suo interno un mini-xilofono e portato con laccio lungo sino all’ombelico, permette alla madre di far sentire quel suono al bimbo che aspetta, in modo che quando nasce riconosca quel suono e si tranquillizzi.

I suoni ci aiutano a stare meglio. Non parlo di ciò che avvertiamo e identifichiamo come musica. Penso piuttosto a suoni indefiniti, indeterminati si dice appunto in linguaggio musicale. Nessun organo sensorio riesce a raggiungere veramente il nostro inconscio come l’udito e di conseguenza il potere del suono è immenso – in positivo e in negativo – per come ci fa stare bene e per come ci mette a disagio.

Noi tutti siamo strumenti musicali, siamo una cassa armonica che vibra con tutto ciò che abbiamo attorno. Nostra madre ci contiene al suo interno e dentro di lei siamo in grado di avvertire i suoni esterni. Il Suono è la prima forma di comunicazione che ha a che fare con noi e da musicista vedo la vita come un cammino tra una bola messicana e l’altra, suoni ai quali aggrapparci tra un gradino e l’altro della nostra esistenza.

Il suono è all’origine del Tutto. Le religioni di tutte le latitudini, tutte le cosmogonie hanno a che fare con un suono che identifica la creazione e il culto del proprio Dio.
Il rapporto uomo-natura, uomo-dio poggia saldamente sui suoni e sul loro utilizzo.
Il canto degli animali e degli uomini è unito al suono dei ruscelli, del mare e delle montagne per arrivare dritto agli dèi e gli dèi vanno appunto glorificati coi canti, con le preghiere: con il Suono.

Quando ci innamoriamo le nostre casse armoniche entrano in vibrazione, riconosciamo il suono dell’altro, un suono che ci fa stare bene. C’è chi trova pace tra i suoni di un bosco o nuotando sott’acqua, come c’è chi dice di sentirsi bene solo in mezzo ai suoni della città. A ognuno le sue vibrazioni.
“Come è bello sentire la tua voce” diciamo all’amico che ci telefona dopo tanto tempo. Il suono dona forza e energia al singolo uomo come a un intero esercito, pensate ai canti intonati dalle truppe durante la battaglia, alla haka degli All Blacks, ai canti di una folla manifestante. Le lacrime arrivano perché sento intonare l’inno del mio paese non perché vedo centomila persone cantarlo.
Non so se vi è mai capitato di assistere a un incontro di boxe, ma la cosa più impressionante è il suono del pugno che arriva in faccia, non la visione dell’occhio pesto. In quel momento senti sulla tua pelle il male che deve fare.

Provate ora a pensare a quali suoni vi fanno stare bene e quali vi trasferiscono disagio e angoscia. Diversi sopravvissuti allo tsunami del 2004 in Indonesia parlavano di un terribile boato indefinito che avrebbero per sempre portato in memoria e lo stesso dice chi ha vissuto un forte terremoto.
La paura ha un suo suono e ognuno di noi lo porta con sé esattamente come portiamo nel nostro inconscio la nostra bola messicana.

Se penso ai suoni nei quali siamo oggi immersi, non ho una bella percezione del presente. E – ripeto – non parlo della musica-tappezzeria che ci confeziona l’orizzonte, ma di suoni-parole che ci stanno intossicando.
Tutti i mezzi di comunicazione parlano incessantemente di paura, angoscia del futuro, panico dei mercati. Tutti suoniamo le stesse parole: paura di non poter più pagare il mutuo, di perdere il lavoro o di non trovarlo nemmeno. Paura di una banca italiana o greca, di un istituto che salti e che faccia cadere l’intero castello di carte. Paura dell’ignoto e di ciò che ci aspetta da qui a pochissimo, dopo l’ennesimo giro di giostra elettorale.
Queste diverse paure hanno un suono, prendetevi un attimo per ascoltarlo.
Spread, titoli tossici, derivati, tassazione, disoccupazione, lavoro, mercato…
Il suono di parole che ci vengono ripetute incessantemente da mesi e mesi – spread, titoli tossici, derivati, tassazione, disoccupazione, lavoro, mercato – e che a nostra volta abbiamo iniziato a ripetere incessantemente in ogni ambito.
Da semplici ascoltatori – pubblico – ne siamo diventati gli esecutori: gli interpreti.
Parole, solo parole, suoni indefiniti ai quali affidiamo il nostro presente e futuro.
Un mantra senza fine, da noi stessi alimentato giorno dopo giorno.

Tutto è economia, tutto è mercato. La nostra vita, i nostri figli, i nostri amori dipendono solo da questo e da chi riuscirà a darne una soluzione.
Questi suoni si spostano dai mezzi di informazione al bar sotto casa, a teatro, nelle stazioni, in camera da letto. Da popolo di commissari tecnici ci siamo trasformati in finanzieri e operatori di borsa. Pensionati che scartando la briscola si lamentano dei tassi di interesse, taxisti che ti consigliano su quali titoli di borsa investire.
Lo sentite il suono di questa paura? Ci siamo dentro fino al collo.

Mi chiedo a quale bola messicana dovremmo aggrapparci per farci passare queste paure e arrivo a un’unica soluzione: il Silenzio.
Il silenzio che contiene tutti i suoni e quindi li annulla. Il silenzio come rigeneratore di energia nuova, pulita: il silenzio che ci ripulisce, ci disintossica.
Spread, titoli tossici, derivati, tassazione, disoccupazione, lavoro, mercato…
Smettiamo di pronunciare questi suoni. Iniziamo noi, non aspettiamo che lo facciano altri. Al mantra della paura proviamo a rispondere con il suono del Silenzio.
La spinta esatta e contraria a un suono inquinante e dannoso è un suono ecologico che purifichi l’aria in cui vivere. Il resto, poi, sarà solo Musica, finalmente.

Cesare Picco

Pianista improvvisatore e compositore