La più grande startup nella storia della musica

Siamo nei primissimi anni del 1700. Ferdinando de’ Medici crede in Bartolomeo Cristofori, lo chiude nel suo laboratorio e butta via la chiave. “Sfogati, inventa, crea, fai quello che vuoi Bartolomeo, basta che non fai il bischero – dice il nobile – ed esci solo quando c’hai un’idea ganza”. Gli dà fiducia, crede in lui. E Cristofori se ne esce un bel giorno con uno scatolone di legno e metalli. “Guarda bellino, e come suona?” “Mah – risponde il Cristofori – un po’ piano e un po’ forte…”.

Nasce così il primo modello precursore dell’odierno pianoforte e da questo esatto momento parte una lotta durissima e appassionante tra i successivi inventori e produttori che durerà due secoli.
Questa straordinaria startup di trecento anni fa mise in moto non solo migliaia di artigiani, ma permise a Mozart, Beethoven, Chopin, Liszt e tutti quelli che volete aggiungere di fare ciò che hanno fatto, di consegnare all’umanità il loro talento nella forma che conosciamo. Quando provate gusto ascoltando Adele al pianoforte, pensateci.

La storia del più importante strumento musicale al mondo è quindi nata da un semplice atto di fiducia. Il de’ Medici non pensava certo di arricchirsi, non ne aveva bisogno. Questa è la forma più alta di mecenatismo, quella che ci ha consegnato molti dei capolavori della musica e dell’arte. Il vero mecenate si muove spinto dalla passione, dal desiderio di aiutare chi ritiene degno, senza alcuna idea di ritorno economico. Questa alta forma di mecenatismo è scomparsa dal nostro tessuto sociale, ma non sarebbe male tornarci, ripercorrendo un modello virtuoso del nostro passato.
Manca il lavoro e l’idea di mecenatismo a cui aspiro, può in qualche modo rimettere in circolo ossigeno, perché ha un principio virale che può coinvolgere tutti. Non parlo di soldi del governo, non parlo di assistenza pietistica ai giovani artisti: cambiate approccio. Parlo di quello che un singolo cittadino può fare ritrovando il gusto per l’arte, senza dover essere un nobile milionario come la storia vorrebbe farci credere.

Prima le cose da risolvere. Sono abitudini culturali e quindi non facili da cambiare.
La nostra capacità di distinguere un’opera d’arte da una stronzata: ne siamo ancora capaci? Siamo in grado di riconoscere un Mozart tra cinquanta finti geni pompati dai media? Sapremmo oggi chi chiamare a dipingere la Cappella Sistina?

Se gran parte delle opere commissionate ai grandi del passato sono meravigliose è perché genio è l’artista, ma gran figo è il committente che l’ha chiesto a lui e non ad altri. Sappiamo quindi riconoscere la vera Bellezza?
Se la nostra idea di bello è piccola piccola è solo colpa nostra. Abbiamo abbassato enormemente l’asticella che i nostri predecessori avevano tenuto alta.
Le parole capolavoro genio epico si associano ogni istante a qualunque prodotto, trailer, libro, disco, automobile. Se usano Wagner per confezionare il video di un cuoco che scola una semplice pastasciutta e ci viene venduto come genio e mito della gastronomia, sta a noi non cascarci, a non chiamarlo il Picasso della pajata, perché sempre e solo di pajata si tratta, ok?
Ritorniamo a dare alle parole il loro giusto peso e significato, rimettiamo in ordine la scala di valori e modelli.
Poi, ritornare a comprendere il valore che, anche ciò che non è tangibile, porta in sè. Musica e Poesia non sono tangibili, ma ci portano in paradiso.
Non ha forse questo un grande valore?
Siamo troppo abituati ad associare l’idea di investimento a un prodotto d’arte.

Prendiamo la pittura. Ho due motivi per cui compro un quadro di un giovane sconosciuto. Il primo è che mi piace e stop, lo faccio per mio gusto personale.
Il secondo è che scommetto che tra qualche anno quel quadro valga molto di più. In tutti e due i casi, il quadro lo vedo, lo tocco, lo mostro agli amici facendomi bello, in sostanza non ho minimamente la percezione di aver buttato via i soldi, ma di aver fatto un investimento.
Con la musica, questo approccio non funziona. Ma non ha impedito a chi ci ha preceduto, di commissionare opere per un piacere altro che non fosse quello di toccarle e appenderle al muro.
I grandi capolavori del passato sono nati sotto precise motivazioni di vita quotidiana: un compleanno, un matrimonio, la messa della domenica, il carnevale, arredare un palazzo vuoto. Vi sembrano motivazioni extraterrestri? E noi, forse, non ci troviamo nella vita davanti agli stessi appuntamenti?

Avete mai pensato di commissionare a un giovane compositore uscito dal conservatorio un concerto per il vostro compleanno? Se al vostro matrimonio pagate un quartetto d’archi per eseguire l’Ave Maria, perché non regalate a vostra moglie un brano scritto apposta e a lei dedicato? Perché non produrre le musiche di una giovane rock band anziché comprarvi il quinto Rolex ? (questo è per i più abbienti ex-rockettari, of course). Sono convinto che oggi i nuovi U2 potrebbero nascere in questo modo, non certo aspettando un talent o una casa discografica.

Vedete che sono semplicemente opzioni alle quali non si è portati a pensare, ma una volta che si entra nel gioco, dipende tutto dalla nostra creatività.
Non parliamo poi di quello che potrebbe fare la chiesa cattolica in questo paese. Riportando la vera musica in chiesa darebbe lavoro a migliaia di musicisti.
Bach ha mantenuto la sua famiglia scrivendo messe e cantate per tutta la sua vita e quanta gente andava in chiesa per sentire la sua musica!
Quindi perché non farlo oggi? Perché toglierci il piacere di sapere che può esistere un altro Bach, perché da qualche parte un Caravaggio e un Rossini esisteranno pure, ma se continuiamo in questo modo non ci sarà mai dato saperlo.
Sta a noi, solo a noi comprendere che non si tratta di essere un de’ Medici, ma di tornare alla parola mecenatismo dandole il vero significato:
un singolo uomo che per passione e amore della Bellezza individua un suo simile e gli da fiducia. Il prodotto finale può, se il talento dei partecipanti è vero, regalare qualcosa di speciale a tutta l’umanità.
La motivazione è puro piacere personale, il risultato è dare lavoro a chi non se lo aspetta più nemmeno. Vi sembra poco?

Diamoci tempo, perché tempo ci vuole: ma iniziamo. Si tratta di mettere in circolo un virus. Se pensiamo alla somma di migliaia di singoli atti di vero mecenatismo, il tutto prenderebbe con il giusto tempo la forma di una straordinaria e magica startup: la più grande startup della storia della musica.
Dopo quella del pianoforte, s’intende.

Cesare Picco

Pianista improvvisatore e compositore