Serve un Ralph Nader per Internet?

Il professor Stuart Russell, in un gastro-pub di Notting Hill, qualche mese fa, mi ha detto che per quanto riguarda l’intelligenza artificiale “siamo alla fase del contenimento.” Anche se è quel che immaginavo, questa candida ammissione da parte dello scienziato che ha ispirato il film Transcendence con Johnny Depp, incentrato sul download della coscienza, mi ha spiazzato.

ll download della coscienza è un tema sviluppato sotto il titolo di “Singularity” dal transumanista Ray Kurzweil. Oggi che è direttore dell’ingegneristica di Google, Kurzweil è stato riscoperto e rivalutato. Quando ne descrissi le teorie in “Tecnosciamani” qualche anno fa, era considerato da molti un futurologo un po’ picchiatello. Quello che era un inventore visionario, ora è incaricato di realizzare le sue visioni in una delle multinazionali più potenti del mondo.

A proposito di visionari rivalutati, mi sono riletto un po’ di Marshall McLuhan quest’estate per preparare un corso universitario di teoria della comunicazione che insegnerò a Madras. Con gli studenti indagheremo, tra le altre cose, sulla New Intelligence e su come internet cambia e cambierà la comunicazione. McLuhan (“l’utente è il contenuto”!) aveva già anticipato tutto, nei dettagli, addirittura anni prima che nascesse arpanet, l’antenata militare di internet. Ma McLuhan, in fondo in fondo, sembrava ottimista su un punto: vedeva nello sviluppo tecnologico una possibile chiave di affrancamento e liberazione dai vincoli del lavoro. Questo non s’è ancora avverato, e l’umanità non sembra avviata in quella direzione. Ma potrebbe.

Mi sono letto anche il saggio del 2013 di Roberto Casati  “Contro il colonialismo digitale, istruzioni per continuare a leggere,” che mi pare sia stato frainteso da qualche critico come un allarme luddista. Non è così. Sul tema in questione scrive, tra le altre interessanti cose, che il digitale non è una fase transitoria, è una realtà con la quale dobbiamo fare i conti con lucidità. Che male c’è? Mi è parso che in fin dei conti anche Casati, dal suo osservatorio parigino, stia partecipando a un ragionamento su come contenere un’invenzione fuori controllo. È un razionalissimo e umano richiamo a renderci conto che le innovazioni tecnologiche subiscono uno sviluppo spesso indipendente dalle pianificazioni e proiezioni industriali, ma è anche un invito a cominciare ad avere un rapporto più maturo e misurato con i nostri strumenti. Questa è un fase che si verifica quasi sempre nel rapporto tra uomo e innovazioni tecnologiche.

Dai, che quasi ci siamo e possiamo tutti darci una calmata (a parte l’iPhone6 e l’Apple Watch)!

Ma questa calmata nel rapporto con internet e con gli strumenti che ci consentono di fruirne è giusto che ce la diamo per evitare di esserne inconsapevolmente sopraffatti e quindi diminuire i vantaggi benefici dell’innovazione con i costi di un uso ingordo che rende succubi di qualcosa che non riusciamo più a fermare: come la dipendenza da Internet, intendo dire. Oppure il nostro orgoglio.

Com’è successo qualche anno fa al blogger Lee Siegel che, non riuscendo ad accettare i commenti critici nel suo blog su The New Republic, si è inventato un nick e si è messo a ribattere colpo su colpo con insulti e ingiurie. Se loro sono anonimi, perché non posso esserlo io, s’era detto Siegel. Smascherato rapidamente dagli utenti stessi, fu costretto a dimettersi e ad affrontare lo sputtanamento. Questa è stata la sua fortuna, scrive in “Against the machine,” perché di lì a breve gli  arrivò il contratto per il libro nel quale inizia il suo excursus del nostro rapporto con Internet facendo un paragone interessante: le automobili.

Fino al 1965 le case automobilistiche producevano veicoli senza prendere molto in considerazione i possibili danni a conducenti, passeggeri e passanti. Avevano fior di studi che indicavano pericoli e danni della auto, ma i costi per mettere in sicurezza gli automobilisti erano più alti dei benefici. Ci volle un Ralph Nader (che divenne poi l’eroe e la guida politica dei Verdi americani) a puntare il dito per mostrare le carte e denunciare le granchi marche automobilistiche. La sua battaglia fu vinta solo in parte, ma il punto qui è: siamo sicuri che anche Internet non abbia bisogno di un Ralph Nader che scriva un suo “Pericolosa a qualsiasi velocità”? Un Ralph Nader che costringa forse chi gestisce la rete a dare garanzie di privacy migliori, ad esempio, ma che aiuti gli utenti (che sono il contenuto, appunto) a non lasciarsi trasformare in androidi, come prevede Kurzweil?

Da quel che sembrerebbe, in questa fase di “contenimento” di Internet e dei possibili sviluppi dell’intelligenza artificiale non si tratta di aumentare le regolamentazioni  (tutt’altro!) o di difendere la grande libertà e neutralità della rete (vedi la crociate a favore della “Net Neutrality” cui partecipa anche il brillante erede di Jon Stewart, John Oliver), ma nemmeno di cadere nella “net-delusione” di cui scrive da tempo Evgenij Morozov, smascherando le bufale cyber-utopistiche su Internet che causa le rivoluzioni in Medio-oriente, ma si tratta piuttosto di fare comunicazione, dare informazioni, spingere a pensare e a riflettere per non cadere in un automatismo caratteristico degli ingranaggi automatici o elettronici, non necessariamente dello spirito critico degli umani.

 

Carlo Pizzati

Scrittore, giornalista e docente universitario. Scrive per "Repubblica" e "La Stampa" dall'Asia. Il romanzo più recente è "Una linea lampeggiante all'orizzonte" (Baldini+Castoldi 2022). È stato a lungo inviato da New York, Città del Messico, Buenos Aires, Madrid e Chennai. Già autore di Report con Milena Gabanelli su Rai 3, ha condotto Omnibus su La7. Ha pubblicato dieci opere, tra romanzi, saggi, raccolte di racconti brevi e reportage scritti in italiano e in inglese. carlopizzati.com @carlopizzati - Pagina autore su Facebook - Il saggio più recente è "La Tigre e il Drone" (Marsilio 2020),