Ucciso per una foto su Facebook

Mohsin stava tornando a casa dalla moschea dopo la preghiera del lunedì sera nella città di Pune, in India, quand’è stato bloccato da una ventina di persone armate di sbarre e bastoni. L’hanno accusato d’aver postato delle foto su Facebook del re-guerriero del 17esimo secolo, Shivaji, e di Bal Thackaray, leader che, fino alla sua morte nel 2012, aveva guidato il movimento fondamentalista indù Shiv Shena. 

Un’insulto all’induismo, hanno detto. Non pare gli abbiano dato molto tempo per discutere e difendersi. Lo hanno ucciso a bastonate.

La polizia di Pune ha già arrestato 17 persone sospette di aver partecipato all’omicidio, tutti iscritti all’Esercito Nazionale Indù, l’Hindu Rashtra Sena, il cui logo è: “Induizzare la politica, militarizzare l’induismo.”

“Non c’è dubbio che questo sia un crimine di odio religioso,” ha detto alla BBC l’ufficiale di polizia Manoj Patil. Ma la polizia dice anche che Mohsin Sadiq Shaikh non avrebbe avuto alcun collegamento con le immagini postate su Facebook. Si trovava a passare di lì, il ragazzo 28enne che lavorava nel settore dell’Information Technology e la cui barba e abbigliamento rivelavano l’appartenenza alla religione musulmana. Ciò non toglie che sia stato ucciso per una foto postata su Facebook. Non certo “a causa” di Facebook, ovvio, ma a causa di qualcosa di molto più antico di Facebook.

Un anno e mezzo fa avevo scritto qui su il Post un testo dal titolo “In carcere per un ‘mi piace’” che raccontava dell’arresto a Mumbai di due ragazze. La prima era accusata di aver scritto in uno status di FB una frase criticando il fatto che l’intera città di Mumbai fosse stata bloccata per il funerale proprio di Bal Thackeray, il leader del Shiv Shena (senza nemmeno menzionarne il nome nello status). L’altra, invece, aveva osato mettere un “mi piace” sul commento dall’amica. Lo zio di una delle ragazze era stato pestato da una folla violenta. Ci fu una petizione su Internet con molte firme in difesa del diritto a cliccare “mi piace” su quel che…piace. Triste vedere quanto la tolleranza diventi più rara, invece di crescere.

Un’immagine vale mille parole, dice l’adagio, e le icone del guerriero indù e del fondatore del Shiv Shena evidentemente sono state sufficienti a far scattare un commando di squadristi assassini, episodio che evoca le accuse di fascismo mosse agli estremisti dell’RSS, movimento induista a cui appartiene anche il primo ministro Narendra Modi. Il quale ha recentemente dichiarato di essere al lavoro “per tutti gli indiani”. Un segnale di apertura che, a giudicare da questo assassinio, sembra aver ottenuto l’effetto contrario.

Carlo Pizzati

Scrittore, giornalista e docente universitario. Scrive per "Repubblica" e "La Stampa" dall'Asia. Il romanzo più recente è "Una linea lampeggiante all'orizzonte" (Baldini+Castoldi 2022). È stato a lungo inviato da New York, Città del Messico, Buenos Aires, Madrid e Chennai. Già autore di Report con Milena Gabanelli su Rai 3, ha condotto Omnibus su La7. Ha pubblicato dieci opere, tra romanzi, saggi, raccolte di racconti brevi e reportage scritti in italiano e in inglese. carlopizzati.com @carlopizzati - Pagina autore su Facebook - Il saggio più recente è "La Tigre e il Drone" (Marsilio 2020),