Doccia scozzese per l’Europa.

L’altro giorno ho avuto il piacere di ascoltare il sociologo ed ex rettore della London School of Economics Anthony Giddens sviluppare alcune analisi sull’Europa che ho trovato utili, in questo momento di euro-scetticismo dilagante. Ne ho scritto qui.

Non avendo potuto esporre tutti gli spunti nello spazio disponibile, vorrei elaborare le ipotesi sulle motivazioni più profonde del nostro sentirci europei.

L’Europa che si divide. Giddens: “Scherziamo? Stiamo parlando di un territorio con 520 milioni di abitanti che, assieme ai circa 300 milioni di americani, ha una popolazione con un’influenza massiccia sul mondo. L’euro è oggi una delle uniche due valute internazionali esistenti. Se l’Europa si dividesse, Stati Uniti e Cina controllerebbero il mondo, e le nazioni europee sarebbero un’accozzaglia confusa e senza potere.”

Quindi un’Europa, come da tradizione, unita dalla paura dei poteri esterni e unicamente dai propri interessi: l’unione fa la forza. Ma ci sarà pur qualcos’altro oltre a questo complesso da roccaforte, no?

In effetti un elemento di novità in questo modo di vedere l’unificazione c’è. E riguarda la Scozia.

Il partito anti-europeo e anti-immigrazione dell’Ukip di Farage è andato molto bene nel Regno Unito, ma è andato male a Londra, area cosmopolita, e piuttosto male, come prevedibile, proprio nella terra dei kilt.

Giddens: “Questa vittoria dell’Ukip nel Regno Unito potrebbe portare altri voti agli indipendentisti perché gli scozzesi, che sono a maggioranza europeisti, avranno un motivo in più per chiedere l’indipendenza: per restare uniti all’Europa. E se nel referendum a settembre la Scozia ci abbandonasse, in ciò che resterebbe del Regno Unito il voto pro-europeo perderebbe dai 2 ai 3 milioni di preferenze. Se si tenesse poi un referendum sull’Europa nel Regno Unito, Farage avrebbe gioco facile nello staccarci dalla Unione europea.”

Se la Scozia diventasse indipendente dal Regno Unito anche al fine di poter restare in Europa, non ne consegue forse che questo potrebbe accadere anche in altri paesi europei?

I nemici principali dell’Unione sono alcuni leader di partiti all’interno delle grandi nazioni europee (Grillo in Italia e Farage in Gran Bretagna, come dimostrato dal loro recente suggello a Bruxelles, ad esempio). Ma nazioni meno “carrozzone” che riescano ad ottenere la loro indipendenza non saranno forse ancor più interessate a consolidare il potere di un’Europa Unita?

Seguendo la logica di Giddens, una Catalogna, Paese Basco, Repubblica Veneta, Sicilia e Sardegna indipendenti non sarebbero forse ben più europeiste di un’Italia con un 20 per cento e forse più di voto anti-euro?

In un futuro non poi così lontano, quindi, si potrebbe riaprire un capitolo per la cosiddetta Europa delle Regioni (cioè nazioni a dimensione più in sintonia con specifici interessi geo-economici).

Alcuni vedono quest’idea come un passo indietro, anche per quel che riguarda l’immigrazione. Sul tema, però, Giddens ricorda dati che è bene tenere a mente: “Io credo ci voglia più migrazione e che dovremmo diventare ancora più cosmopoliti. E parlo di migrazione, attenti, non immigrazione. Perché forse ci si dimentica che ci sono tanti cittadini britannici che lavorano all’estero, quanti stranieri che lavorano nel Regno Unito. In Spagna, ad esempio, vivono 750 mila cittadini britannici, molti dei quali usufruiscono dei benefici del sistema pubblico spagnolo. Ci dovrebbe essere un dibattito pubblico ben più attivo su questi temi. L’ineguaglianza sta crescendo globalmente. Per questo credo che i rifugi fiscali siano una forma di corruzione internazionale organizzata. I soldi nascosti lì appartengono a tutti noi. Ma l’Unione Europea può combattere una battaglia contro i rifugi fiscali, il Regno Unito da solo no.”

Anche qui vale lo stesso ragionamento, solo che lo si può fare all’interno di un’Europa che invece d’essere indebolita da un Farage o da un Grillo anti-europeisti, da un’euro traballante dall’incapacità di avere una forte e unitaria volontà politica alle spalle, lo si può argomentare rafforzando un’Europa con più paesi che emergano al suo interno.

In sintesi, l’Europa non riesce ad essere più unita anche perché troppo forti sono i paesi che la compongono e che non riescono a trovare un punto d’incontro per dare un mandato solido a Bruxelles. All’interno di questi grandi nazioni cresce comprensibilmente lo scontento per la Ue e il sostegno (meno comprensibile) ai partiti che vogliono tornare a una politica economia isolazionista.

Un’Europa composta da nazioni più piccole avrebbe molto più interesse nell’avere una capitale e un Parlamento Europeo più potenti dove formulare una vera politica economica ed estera comune.

La vera federazione europea può nascere più facilmente con paesi più piccoli e indipendenti che rafforzino internamente una politica più attenta alle vere realtà del territorio specifico, delegando la politica internazionale alla capitale europea, eliminando le attuali burocrazie nazionali. Altrimenti sì che si rischia di tornare indietro. La balcanizzazione d’Europa potrebbe arrivare proprio a causa delle grandi nazioni, se continua a crescere la tendenza attuale..

E a questo punto, l’esempio scozzese, se gli indipendentisti vinceranno il referendum a settembre, potrebbe indicare la variabile per una nuova Europa.

Carlo Pizzati

Scrittore, giornalista e docente universitario. Scrive per "Repubblica" e "La Stampa" dall'Asia. Il romanzo più recente è "Una linea lampeggiante all'orizzonte" (Baldini+Castoldi 2022). È stato a lungo inviato da New York, Città del Messico, Buenos Aires, Madrid e Chennai. Già autore di Report con Milena Gabanelli su Rai 3, ha condotto Omnibus su La7. Ha pubblicato dieci opere, tra romanzi, saggi, raccolte di racconti brevi e reportage scritti in italiano e in inglese. carlopizzati.com @carlopizzati - Pagina autore su Facebook - Il saggio più recente è "La Tigre e il Drone" (Marsilio 2020),