Le future reticenze di Google

Se ti impongono di fare una cosa stupida nella convinzione che sia una cosa saggia e dovuta, tu falla, così che ci si accorga della stupidità imposta.
Così devono aver ragionato a Google dopo la Sentenza della Corte di Giustizia sul diritto all’oblio (rectius alla cancellazione), predisponendo il modulo che, a valere per i cittadini della vecchia Europa, dovrebbe consentire di eliminare questo o quel risultato sgradito dal motore di ricerca. Quando in futuro chiederemo di sapere cosa c’è sul web in relazione al nostro dentista, all’avvocato o all’idraulico consigliato, oppure cercheremo di conoscere qualcosa sullo sconosciuto candidato alla circoscrizione della nostra città, probabilmente avremo risposte parziali; se non false, reticenti. Google mentirà, ma legalmente ed incolpevolemente. Per ricerche relative a più noti personaggi l’asticella della rimozione teoricamente sarà posizionata più in alto, ma la misura resta ignota, ed affidata ad insondabili valutazioni (di Google?) con parametri che ovviamente la Corte di Giustizia non si è peritata di indicare.

Sarà interessante scoprire se per queste ricerche nominative taroccate comparirà l’avviso di trasparenza che appare per le reticenze legate alle violazioni del copyright.

il warning che compare nelle pagine di Google con risultati omessi per violazione del copyright

il warning che compare nelle pagine di Google con risultati omessi per violazione del copyright

Non vedo perchè no, salva forse la pubblicazione della richiesta di rimozione che costituirebbe una beffa e ovviamente un trattamento dati non autorizzato. Per correttezza e trasparenza dovremmo poter leggere una cosa tipo:

In risposta a una lamentela ricevuta dal soggetto corrispondente al nominativo da lei inserito nella ricerca, ai sensi della Sentenza della Corte di Giustizia Europea C-131/12 del 12 maggio 2014, abbiamo eliminato n. risultati da questa pagina

Sarà inevitabile chiedersi ed immaginare quali misteriose notizie (certamente infamanti) si è peritato di far cancellare, che so, il nostro avvocato. Se fossi capace creerei una star-up con un motore di ricerca (magari con sede e server fuori dall’Europa) delle pagine non-indicizzate su Google: credo vi sarebbe buon traffico se questa roba andrà avanti.

Ma quella sentenza sbagliata, se non verrà corretta a livello legislativo, sarà temo in futuro foriera di ben altre conseguenze: non mi riferisco a Google, che ha le spalle larghe, ma alla miriade di servizi che già ci sono e a quelli che verranno e che cambieranno (o avrebbero potuto cambiare) in futuro il modo di ricercare notizie in rete.

La Corte di Giustizia Europea per accollare al solo motore di ricerca un dovere di cancellazione indipendentemente dalle responsabilità del sito d’origine, di fatto sostiene che indicizzazione, organizzazione e memorizzazione temporanea di pagine web create e pubblicate da terzi determina una responsabilità in proprio per tutti i dati personali presenti in quei contenuti. Tali trattamenti, tipici dei servizi intermediari della comunicazione, determinano secondo la Corte una responsabilità su dati personali in realtà usati da altri, in pagine comunque presenti sul web. Ora, lasciamo perdere il motore di ricerca, che solo per un accidente della storia qui in Europa chiamiamo Google, ma se il principio fosse corretto, e l’indicizzazione e (ri)diffusione tramite link di contenuti pubblici altrui comportasse davvero una responsabilità autonoma in tema di protezione dei dati personali presenti sulle pagine d’origine, allora il web diventerebbe un territorio minato per qualsiasi servizio che diffonda contenuti di terze parti. Penso oggi agli aggregatori di notizie, agli user generated content ed in generale ai social media, e penso ai servizi di domani in un web che già ci vede tutti potenziali intermediari delle informazioni.
Non è che quel principio può valere esclusivamente per un motore di ricerca di nome Google, e solo perchè è grosso, funziona bene, è diffuso, e fa fare tanti soldi agli americani.
Adesso sembra così, ma domani i Tribunali d’Europa si troveranno temo ad applicare quel principio sbagliato potenzialmente a qualsiasi servizio di indicizzazione, memorizzazione temporanea e linking, e non solo in tema di diritto all’oblio.

Insomma, ad ostacolare la straordinaria diffusione di informazioni e conoscenze consentita da internet non bastava il copyright, che sul linking ha consentito la creazione di violazioni inesistenti, ci voleva pure un’interpretazione ad aziendam di un diritto all’oblio che non è (ancora) neppur codificato in una qualche legge. Sono in po’ preoccupato. E non per Google.

Carlo Blengino

Avvocato penalista, affronta nelle aule giudiziarie il diritto delle nuove tecnologie, le questioni di copyright e di data protection. È fellow del NEXA Center for Internet & Society del Politecnico di Torino. @CBlengio su Twitter