Un banale legittimo impedimento

Berlusconi non è il primo né sarà l’ultimo imputato che decide di difendersi “dal” processo piuttosto che difendersi “nel” processo. Non è tattica rara nelle aule penali ed il sistema ha buoni anticorpi. Quasi sempre.
Ricordo un pò di anni fa un truffatore professionale, tipo affascinante, già avanti negli anni, con un curriculum giudiziario ragguardevole, che era alla sua terza bancarotta fraudolenta.
Io assistevo il coimputato, soggetto di più modesta caratura criminale.
Era fissata l’ultima udienza di un faticoso dibattimento, durato come da prassi anni, ed era previsto, prima della sentenza, l’esame dell’imputato. Il nostro voleva finalmente – il “finalmente” è un classico – spiegare al Tribunale le evidenti ragioni della sua (improbabile) innocenza.
Quella mattina il Collega che lo difendeva si presentò con un certificato medico geniale: il cliente era affetto da afasia.
L’afasia non è diagnosticabile con un semplice esame obiettivo. Occorrono accertamenti strumentali complessi e incerti, o la somministrazione di test che richiedono però la piena e “sincera” collaborazione del paziente. Era inutile mandare una visita di verifica.
Il processo fu rinviato, ob torto collo, per due volte, guadagnando un mesetto di tempo. Poi il “legittimo impedimento” si risolse con un clamoroso colpo di scena della Procura.
Il Pubblico Ministero, uno tenace e spesso insofferente alle regole garantiste del processo, si presentò in aula raggiante con un registratore e chiese di poter far ascoltare un’intercettazione telefonica disposta alcuni giorni prima in tutt’altra indagine, da altro pubblico ministero. Tutti intuimmo ciò che stava per accadere, ed il lieve pallore del collega che difendeva l’afasico fu credo di conforto al Tribunale per respingere le sue sacrosante e fiere argomentazioni in diritto per opporsi all’acquisizione della registrazione.
Quella intercettazione non era a termini di codice utilizzabile nel nostro procedimento, ma la curiosità, unita alla speranza di porre fine al processo, fece si che nell’aula risuonasse, lievemente roca ma decisa, la voce dell’afasico, colto casualmente mentre spiegava ad un sodale di pari rango, indagato per usura, proprio la sua geniale trovata per ritardare la condanna. Manco a dirlo, quella volta la sentenza fu per il truffatore particolarmente severa.

Le tattiche dilatorie sono ben note nelle aule penali. “Ogni rinvio è una vittoria” insegnava ai praticanti un vecchio avvocato. Ma non è così semplice. Non basta l’incomodo, il disagio o l’indisposizione fisica (che quella mentale c’è quasi sempre in chi compare alla sbarra): l’impedimento deve essere assoluto e rigorosamente provato.
Non è facile.
Il frequentatore medio delle aule di giustizia penali non ha usualmente due parlamentari come difensori, non ha impegni istituzionali di governo della nazione, e non dispone di un intero parlamento pronto ad attestare che il supposto reato è stato commesso per salvare la nipote di un capo di Stato estero, sollevando un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato avanti alla Corte Costituzionale; né gli imputati normalmente dispongono di un’assemblea legislativa in grado di votare una legge incostituzionale che consenta di auto-attestarsi impedimenti per sei mesi (ricordiamo tutti la legge sul legittimo impedimento prima dichiarata incostituzionale e poi abrogata con referendum?) o una legge che si inventi il “legittimo sospetto” sul giudice, tanto per sollevar questioni dilatorie, finalizzando poi il tutto là dove serve, con una provvidenziale riduzione dei termini di prescrizione.

Normalmente l’imputato italiano medio ricorre al medico.
E’ il metodo più gettonato.
Un certificato non si nega a nessuno. Che poi magari uno qualche acciacco ce lo ha davvero, basta un po’ enfatizzarlo. Mica si mente.
Ma soprattutto, sulla salute non si scherza: la Cassazione ed i giudici son prudenti.
Se c’è un qualche dubbio sul carattere “assoluto” dell’indisposizione attestata, oppure si ha il sospetto (magari infondato, per carità, i giudici son spesso malpensanti) che forse la richiesta è pretestuosa e strumentale, al più viene disposta la visita di controllo. Che sarà mai.
Accade spesso. Nessun avvocato si scandalizza: dipende dal libero apprezzamento del giudicante.

In questo senso, le ultime istanze per legittimo impedimento di Berlusconi parrebbero più normali e consuete, potrei dire più “democratiche”: il classico e sempre valido certificato medico.
Abbiamo fatto un passo avanti verso una normalizzazione dei rapporti, se non tra politica e magistratura, almeno tra imputato e giudici.

Certo restano frange di difensori non togati, ma ovviamente Onorevoli, che non sanno distinguere un ricovero ospedaliero da un soggiorno (parrebbe confortevole) a proprie spese in una struttura di cura e che vedono complotti e disegni sovversivi in una banale visita di controllo che gli avvocati d’aula, loro malgrado, ben conoscono. A parte questo, confido che col tempo, in un modo o nell’altro, i rapporti si normalizzeranno. Sono ottimista.

Carlo Blengino

Avvocato penalista, affronta nelle aule giudiziarie il diritto delle nuove tecnologie, le questioni di copyright e di data protection. È fellow del NEXA Center for Internet & Society del Politecnico di Torino. @CBlengio su Twitter