Mario Mauro, Dante e De André

In una conferenza stampa il ministro della Difesa, Mario Mauro, ha erroneamente attribuito – correggendosi poi subito dopo – a Dante Alighieri una citazione di De André, una di quelle cose superficiali – nel senso migliore del termine – che fanno piacere ad Alessandro Baricco, mandano fuori dai gangheri qualche purista e lasciano, a quelli che notano quanto in questo paese il pop sia bizzarro e zeppo di sensi di colpa, un altro po’ di straniamento.

L’errore – indotto dal fatto che De André ha cambiato leggermente un verso dell’Inferno: “più che il dolor poté il digiuno” in un verso di Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers “più che l’onor poté il digiuno” – ha trasformato un oscuro convegno in una notizia da colonnina infame. Viviamo un’epoca di bulimia di citazioni, d’altra parte, a chi non capita di sbagliarne una?

Anche se con ogni probabilità senza quel riferimento sballato la conferenza stampa non sarebbe mai e poi mai diventata notizia, quello di Mauro è stato un errore fortunato perché ha spostato l’attenzione dall’assurdità della citazione. Mauro dice che gli italiani hanno accettato volentieri le spese per gli armamenti perché queste hanno aiutato a rilanciare l’economia (ammesso, poi, che questo sia vero) usando l’immagine di Carlo Martello che, tornato dalla battaglia di Poitiers, va con una prostituta senza pagarla, rinunciando all’onor, per sfogare la sua astinenza – il digiuno. Avere le armi invece di digiunare detto con le stesse parole di andare a prostitute invece di continuare il “digiuno” dal sesso: non ha senso. Dunque chi capisce cosa Mauro sta citando deve fare uno sforzo d’astrazione e prendere le parole non come immagine ma solo letteralmente, e cioè più che l’onore di essere disarmati e pacifici ha potuto la necessità di lavoro e di sfamarsi. Citare rubando solo le parole non dovrebbe servire, ma tant’è, niente di grave.

Non è, invece, possibile che Mauro volesse davvero citare Dante perché la situazione in cui nell’Inferno è usato quel verso renderebbe il paragone ancora più azzardato: è, infatti, il verso con cui il Conte Ugolino, condannato a morire di fame in una torre con figli e nipoti (prendiamo per buona l’interpretazione più comune del pasto di Ugolino), confessa di aver mangiato il loro cadavere per prolungare di qualche ora l’agonia.

Ad aggiungere ulteriore stravaganza alla citazione c’è poi il fatto che il ministro della Difesa ha dichiarato che aderirà al digiuno del Papa per evitare la guerra. Che da una parte mi lascia immaginare come mai nella sua mente vorticassero sinapsi relative a armi, onore, dolore e digiuno, e dall’altra mi fa consigliare ai familiari di tenerlo particolarmente d’occhio in quei giorni.

Arnaldo Greco

(1979) Ho pubblicato un paio di libri per Fandango. E, ogni tanto, scrivo per qualche rivista. Ma vivo e ho due bambini grazie al fatto che il mio nome scorre nei titoli di un programma tv.