Competenze

Per farla breve: l’altro giorno, a casa mia, l’acqua calda comincia a mancare. Uno stillicidio,  se ne va a poco a poco, getto dopo getto, goccia dopo goccia, l’acqua diventa fredda. Questione di pressione, pensi, e dal bagno gelato gridi: chiudete l’acqua in cucinaaa! Che? Ti rispondono dall’oltretomba. L’acquaaaaa, chiudetela, non arriva l’acqua calda in bagno: so’ tutto gelato! A pa’, ma che ti gridi? Qua è tutto chiuso. Infatti, niente da fare. Prova e riprova, apri e chiudi, non dipende dalla pressione. È la caldaia.

Annuncio il problema a un amico che mi dice: mo’ so’ cazzi! In che senso? Nel senso che devi cambiare tutto il blocco, se ne partono tipo 3-400 euro. 3-400 euro? Ma dai! Piuttosto, mi faccio due mesi di sauna dai cinesi sotto casa. So’ cazzi ti dico! Fidati!

Annuncio a Daniela che so’ cazzi e lei mi risponde: 3-400 euro, ma che dici?  Lei va fuori a controllare la caldaia: si accende, funziona, com’è che non esce l’acqua calda? Dai, prendi il cacciavite che apriamo e vediamo. Prendi il cacciavite che apriamo e vediamo?, dico io. Poi c’è un momento di silenzio, sempre da parte mia. Daniela mi dice: che devo farlo io? Tu non lo sai fare?

Ora, narrativamente parlando, il flashback è un meccanismo usurato, a me stanca molto, quando leggo un romanzo, se c’è il flashback, sono subito vittima di un momento di noia abissale. Un po’ come nei film storici, che si identificano per la seguente scena iniziale. Esterno, giorno. Strada, si vedono persone che camminano, poi si spostano tutti: passa una carrozza. Ecco, ci sono centinaia e centinaia di film storici che hanno questo inizio, un meccanismo usurato e ormai, quando vedo la carrozza mi si chiudono gli occhi e non riesco a godermi il film.

Quindi ora, per le successive dieci righe avete tutta la mia comprensione, vi capisco: nel momento in cui Daniela mi ha detto: prendi il cacciavite!, mi sono rivisto ragazzino, quando truccavo i motorini, in un attimo cambiavo pistone e testata. Dopo, non appena ho cominciato a pensare di fare lo scrittore, ho perso la manualità. Non so fare più niente. Mi sono rivisto anche a casa di Carmela anni prima, lei stava aspettando il tecnico della caldaia per la manutenzione, e io le dissi che era necessario svuotare i termosifoni dall’aria. Davvero? Mi chiese lei con uno sguardo pieno di fiducia. Certo. E le svuotai tutti i termosifoni, e lei guardava il suo fidanzato (io) che si muoveva con scioltezza tra apparati meccanici, magari stupidi, a bassa tecnologia, ma indispensabili per le cose quotidiane. Poi mi fece entrare nel suo letto e mi accarezzò: ero il suo uomo pratico ed io mi sentivo una particella solare, luminosa, pronta ad accoglierla. Un senso di pace e di abbandono così… Tempo due ore, Carmela mi telefonò per dirmi: ma che cazzo hai fatto ai termosifoni? Un casino. Il tecnico ha detto: mo’ so’ cazzi! Non si svuotano i termosifoni, ma chi ha avuto questa brillante idea?

Vabbè, ma che svitiamo, dico io, chiamiamo il tecnico. 3-400 euro? Ma che sei scemo? Così Daniela non chiama il tecnico, ma un amico, Bruno. Il quale le dice: è il calcare, ci sono due viti nelle giunture dei tubi del lavandino, svitale, puliscile e vedi che il problema è risolto. Ma che ne sa Bruno?, dico io. È un professore di latino. Crede nell’omeopatia. I tuoi soliti pregiudizi. Si è fatto la casa con le sue mani, mi risponde – e leggo in lei una sensazione di scoramento – perché non sei così? Che ci vuole ad aggiustare la caldaia? Bruno lo sa fare.

Niente, è tardi, rinunciamo. Il giorno dopo mi faccio la doccia e spero che per una sorta di magia omeopatica (piccole dosi di acqua fredda fanno arrivare l’acqua calda), l’acqua calda funzioni. Niente. Fredda.

Esco, incontro un altro amico, gli spiego il problema e mi risponde: e mo’ so’ cazzi, ecc ecc. Torno a casa e trovo Daniela in tuta che cerca di svitare le viti. Non ci riesce. È questione di chiavi, dico io. Ma che chiavi, dice lei? È tutto bloccato. Aspetta, dico io. Metto mano alla cassetta degli attrezzi, cerco di assumere l’abito mentale di un adolescente casertano, quando truccavo i motorini, e maneggiavo viti e chiavi con facilità, e nessuno di noi ragazzi diceva scopare: dicevamo chiavare. Scopare? Scopare che? Io non raccolgo niente! Chiavare, entrare e aprire. Cambio chiave, ci provo. Ma che vuoi aprire, è tutto bloccato. Daniela mi guarda e lo so cosa sta per fare, il problema del matrimonio del resto è questo: sai in anticipo tutto quello che accadrà in futuro. Chiama Bruno.

E Bruno arriva. Sguardo superiore e chiave inglese. Un attimo, due colpi e smonta tutto, ah! Evviva, dice Daniela, e mo’ so’ cazzi, penso io, per me. Pulisce le viti, ci soffia, ci risoffia, le monta. Apre l’acqua. Pausa, attesa: fredda. Ah! dice Bruno. Bene, bene, penso io, mo’ so’ cazzi di Bruno. I problemi nella società moderna sono complessi, non bastano due chiavi. L’omeopatia e il latino, sticazzi.

Bruno comincia ad aprire tutti i rubinetti e qui Daniela nota un fenomeno stranissimo. Se apri il miscelatore della doccia, la pressione aumenta in tutta la casa. Sia quella fredda sia quella che dovrebbe uscire calda, sembra venga regolata dal miscelatore del bagno. Ah! E come è possibile? Già, dico io, mistero. Scusa eh, e Bruno fa un disegnino: i tubi partono dalla caldaia, arrivano al primo lavello, quello della cucina, poi vanno al bagno e poi basta, il circuito si chiude. Come è possibile che il miscelatore, cioè l’ultimo rubinetto, regoli la pressione di tutta la casa? Qui non c’entra la caldaia, secondo me, gli operai hanno fatto l’impianto al contrario. Il problema è questo.

L’impianto al contrario? Ora, l’impianto l’ha realizzato una ditta di Caserta, quando ristrutturammo la casa. Bruno dice: probabilmente a Caserta li fanno così gli impianti, al contrario, passano prima per il bagno e poi vanno in cucina. E sottolinea il percorso dei tubi sul disegno, effettivamente, l’acqua gira al contrario. Ma no, dice Daniela, io ho seguito i lavori, non è così. Io invece i lavori non li ho seguiti, perché non riesco a seguire i lavori in casa. Una volta un mio amico che invece segue, eccome, i lavori in casa, mi fece vedere delle foto, tutto contento: le tracce dei tubi, prima che fossero coperte. A che ti servono? Chiesi. Metti, mi rispose, che un giorno si rompe un tubo, come fai a sapere dove stanno? Ricordo che lo guardai malissimo, e anche le ragazze che stavano con noi fecero lo stesso. Che persona noiosa, pensai: fotografare le tracce dei tubi. Mai e poi mai avrei fatto una cosa simile, un poeta come me.

Ma mica sai dove passano i tubi?, mi chiede Bruno. Non li avete fotografati, quando gli operai li hanno posati? Ma che fotografia? Che ne sa lui, interviene Daniela, quello nemmeno c’era. Io tento di dire che fotografare i di tubi, insomma, non è proprio da National Geographic. Non mi ascoltano.

Però il ragionamento di Bruno, fila. Effettivamente, l’impianto sembra fatto al contrario. Si vede che a Caserta li fanno così! Ma che così? dice Daniela. Li fanno bene, invece. Ma noi due (io e Bruno) non l’ascoltiamo, anzi diventiamo pure complici,  e cominciamo un discorso esoterico, i tubi al contrario, il complotto, l’acqua che invece di salire, scende, cose così, e continuiamo: gli idraulici non sono più quelli di una volta, il lavoro non è più un valore, i casertani fanno di queste cose, ho scritto anche un libro, la città distratta, diciamo che un po’ affrontava questo argomento. I tubi? Chiede Bruno. Non proprio… finché Daniela chiama l’operaio casertano, quello che ha montato l’impianto. Cerca di spiegargli il mistero dei tubi al contrario, il miscelatore che manda acqua come se fosse un interruttore generale, dice anche che l’ipotesi è confermata da Bruno, uno che fa il professore di latino ma ha costruito la casa da solo (a me non mi cita nemmeno), e l’operaio, Raffaele, dice soltanto: Daniela, stammi a sentire, svita il tubo della caldaia, apri l’acqua calda. Vedi se esce, vai ti aspetto in linea.

Io faccio per svitare il tubo, Daniela mi sposta e svita lei: non esce nemmeno un goccio d’acqua calda. È lo scambiatore di calore, dice Raffaele, sarà pieno di calcare. Svita e buttalo, poi vai da Tonino sull’Appia e comprane uno nuovo. Non andare da Andrea sulla Gianicolense, perché quello te lo fa pagare il doppio, costa sui 200 euro.  Mandaci tuo marito, se no, quelli vedono una donna e ne approfittano e ti fanno pagare di più. Poi devi comprare un filtro anticalcare, non andare da Pietro… ecc ecc.

Daniela ha gli occhi felici, lucidi. Mi guarda. E vado sull’Appia. Sennò questi vedono le donne e se approfittano….

Bruno ha montato infine il pezzo. Eh, avere indicazioni precise, non perdi tempo a seguire il percorso dei tubi. Così, quando l’acqua calda è tornata, sotto la doccia, ho pensato: noi italiani siamo così, non siamo competenti in niente e abbiamo opinioni su tutto. Franca D’Agostini, nel libro La verità avvelenata, sottolinea che in Italia abbiamo 26 avvocati per ogni giudice, una cifra spropositata, ciò vuol dire un diluvio di opinioni e nessun metodo per verificarle.

I tubi messi al contrario in Italia si diffondono, ho pensato, i ragionamenti esoterici anche, quelli massimalisti e complottisti sono all’ordine del giorno. L’impianto al contrario, non ci posso credere, l’ho pensato anche io e mi sembrava un’ipotesi seria, ma solo perché non ho dimestichezza con le viti. Però anche Bruno ha ragionato in questo senso, tipico dei semiesperti, in Italia ci sono tuttologi che non sanno niente che si appoggiano a semiesperti che sanno le cose a metà. Come sarebbe bello se ci fossero dei Raffaeli che intervenissero nelle eterne discussioni italiane e ci dicessero: svita lì, e vedi che il problema si risolve.  Sarebbe un vantaggio per la democrazia, datemi un giudice capace di validare un’opinione e mettere all’angolo le altre 25. Fate in modo che io possa seguire una traccia metodologica, analitica, che mi porti da A a C passando per B. Fate in modo che le fallacie argomentative siano svelate, così che i tubi non girino al contrario. Sono disposto anche a fotografare le tracce dei tubi prima che vengano coperte. Perché sì. L’ho capito, l’idraulica, in senso lato, è una forma di poesia, raffinata anche.

E di notte, per colpa dell’insonnia, suppongo, mi sono venuti in testa altri pensieri. Uno era: ma questa incompetenza maschile nelle cose pratiche, in senso lato, dico, non solo quelle idrauliche, è o non è la vera ragione della crisi uomo/donna? La delusione di Carmela quando ha scoperto che i termosifoni non dovevano essere svuotati, è stata o non è stata il preludio della nostra separazione? Non posso contare su di te, fino in fondo, avrà pensato, dopo un po’, esaurite le belle parole, che me ne faccio di te? E di contro, la praticità di alcune donne, anche nello svitare viti, di aggiustare caldaie, caricarsi mobili e sistemare mensole, è il preludio a una nuova dinamica antropologica? Se si, noi maschi, a che serviamo? A costruire belle asce bifacciali, a far ruotare la nostra coda di pavone? A inventare belle storie, seducenti, sì certo, la bellezza ha la sua importanza.

Ma mica siamo parte di quel clan composto dai 26 avvocati capaci di dire tutto, difendere e accusare con una stessa arringa, un clan di esteti e retori incapaci di introspezione? Qua prima o poi arriva un giudice donna che ti smonta la caldaia.

C’è anche una canzone della Cinematic orchestra, To build a home, con quella fuga di piano che lascia immaginare loro due che volano, felici, dopo che lui ha costruito una cosa per lei.

Mah? Qua si smontano le caldaie. Tutto cambia. Chiavare, aprire, entrare. Mah? Meglio che ci penso con calma, va’… qua so’ cazzi!

PS off topic.
sabato sera ho visto il simbolo dell’anarchia disegnato sul blindato in fiamme, a piazza San Giovanni. Siccome purtroppo l’anarchia è diventata una di quelle parole usate dai 26 avvocati per difendere posizioni indifendibili – una volta il direttore di una giornale di sinistra difese una posizione oggettivamente di destra e quando glielo fecero notare, lui rispose: ma io sono anarchico – insomma, siccome mi sono formato sui testi degli anarchici inglesi, permettetemi di raccontarvi questo aneddoto su Goodman, un filosofo di matrice anarchica. Doveva tenere una serie di conferenze e aveva scelto come tema: la maestà della legge. Un ragazzino con i capelli crespi e rossi che poco prima aveva intasato i bagni con delle forchette, per testimoniare con atti il suo anarchismo, questo ragazzino interruppe Goodman e gli disse: da un uomo come lei (da un noto anarchico) mi sarei aspettato qualcosa di meglio che un discorso sulla legge. E poi disse anche altre cose, molto antipatiche e Goodman cominciò a piangere. Quando ebbe finito, quando le lacrime si esaurirono disse: “suppongo che siamo arrivati al punto che bisogna proprio essere un anarchico per comprendere la dignità della legge”.

Pps anche il mistero del miscelatore è risolto, solo che non essendo competente, non ho capito bene la spiegazione, l’acqua entrava da una parte e usciva dall’altra, comunque, credetemi, l’ha detto Raffaele di Caserta: non c’entrano i tubi al contrario.

 

Antonio Pascale

Antonio Pascale fa il giornalista e lo scrittore, vive a Roma. Scrive per il teatro e la radio. Collabora con il Mattino, lo Straniero e Limes. I suoi libri su IBS.