I fratelli Coen a Napoli

Nell’incresciosa situazione dei rifiuti napoletani che appaiono e riappaiono, c’è un dato paradossale di cui tenere conto. Nei luoghi dove più frequenti sono stati gli smaltimenti di rifiuti pericolosi, studi dell’OMS hanno misurato sia differenze statisticamente rilevanti nella mortalità da tumore (incidenze tra il 10 e il 15% maggiori), sia una più alta frequenza di mortalità neonatali. Questo dato è un ovvio prodotto dell’inquinamento.

Il paradosso nasce dal confronto con Chernobyl. Lì, sempre studi OMS hanno valutato l’impatto dell’incidente di Chernobyl, nella zona dell’Ucraina interessata, in circa 100 vittime fra pompieri, piloti di elicotteri, tecnici e squadre di soccorso che spensero il reattore. 4000 casi di tumore alla tiroide (di cui alcune decine mortali) causati dal ritardo con cui le autorità sovietiche bloccarono il consumo di latte e ordinarono la somministrazione di iodio (per impedire la fissazione di quello radioattivo emesso dalla centrale). E in futuro, 8900 morti possibili. Ora, nella zona interessata dall’incidente di Chernobyl vivevano 7,4 milioni di persone. Di queste, a settant’anni dal 1986 (anno del disastro), si prevede ne saranno morte per tumore da cause convenzionali 932.000 mila, a cui potrebbero aggiungersi le 8900 causate da Chernobyl. Cioè meno dell’1 per cento, un livello non distinguibile dalle fluttuazioni casuali della mortalità. Anche se gli epidemiologi suggeriscono di non fare paragoni, perché sono diversi sia i metodi di rilevazione, sia i due contesti, resta il fatto che nella zona di Chernobyl non ci sono deviazioni statisticamente rilevanti della mortalità, mentre in certe aree della Campania questa differenza statistica non sono è rilevabile, ma è molto alta.

Visto il paradosso e il perdurare della pericolosa situazione, sarebbe utile ed efficace leggere il libro di Lorenzo Pinna, Autoritratto dell’immondizia (Bollati Boringhieri). Nella parte dedicata a Napoli, Pinna riassume l’ingarbugliata situazione e lo fa usando pochi e chiari punti. Insomma cerca di sostituire all’indignazione patologica l’analisi fisiologica: come si è giunti dove siamo ora?

1. Nel 1997 fu varato un piano per la raccolta dei rifiuti (7500 tonnellate al giorno). Prevedeva la costruzione di 7 impianti per la produzione di CDR (combustibile dai rifiuti, la parte di organico che, diciamo così, brucia bene) e 2 inceneritori. La gara venne vinta dall’Impregilo, nonostante il voto basso espresso dalla Commissione tecnica, 4,2 contro 8,6 dei concorrenti. I due fattori che decretarono la vittoria furono il prezzo più basso per il conferimento dei rifiuti (all’epoca 83 lire al chilo contro 110) e i tempi più brevi per la consegna delle opere (300 giorni contro 395). I contratti vennero firmati da Bassolino che come è noto ha dichiarato poi di non averli mai letti, ma di essersi fidato del suo staff tecnico.

2. Il punto chiave di tutta la vicenda è il contributo CIP6, cioè un sovrapprezzo che il gestore della rete elettrica doveva pagare per ogni kilowattora prodotto dagli inceneritori tramite CDR: 292,4 lire. Un contributo così alto (un incentivo alle rinnovabili) che rendeva conveniente bruciare tutti i rifiuti possibili, nonostante le norme contrattuali lo vietassero. Infatti il vero obiettivo della ditta Impregilo era ottenere il 60% dei ricavi grazie al CIP6. Nel contratto veniva poi affidato alla ditta vincitrice il compito di scegliere il sito dove costruire l’inceneritore. E il Commissario straordinario? In questo caso, non contava nulla.

3. I siti vennero scelti tra Acerra e Santa Maria la Fossa: cioè a pochi chilometri dallediscariche illegali della camorra. Risultato? I cittadini vivevano già una situazione difficile e dunque ricorsero ai Tribunali.

4. I suddetti ricorsi rallentarono la costruzione degli inceneritori. Il danno economico fu grave. Infatti il metodo di finanziamento (contrattualizzato) consisteva in questo: la ditta anticipava i soldi che poi avrebbe recuperato con la gestione degli inceneritori. Al finanziamento partecipavano molte banche, che però visto che le cose andavano per le lunghe e gli interessi salivano chiusero i rubinetti. Conclusione: il commissario straordinario ora cominciò a contare, nel senso che fu costretto ad anticipare 100 miliardi di vecchie lire. Recuperate? No.

5. A questo punto all’Impregilo, per risalire la china, conveniva insistere con il CDR e intascare i contributi CIP6. Però, invece di trattare secondo le norme il CDR (un procedimento lungo e costoso), se ne preparò uno falso, non separato dalla frazione umida: che puzzava e rilasciava percolato. Il Commissario straordinario non si accorse di niente.

6. Intanto, siccome le autorizzazioni per avere gli allacciamenti alla rete elettrica (altrimenti non si poteva vendere l’energia prodotta e intascare il contributo CIP6) procedevano lentamente, ci si ritrovò con 8 milioni di ecoballe inutilizzabili. Dove metterle? La camorra riuscì a inserirsi in questo settore. Il commissario? Non si accorse di niente.

7. Dopo il fallimento dell’Impregilo, Bassolino cercò di trovare nuove discariche. Anche in questo caso la camorra si infiltrò e ricominciò a mescolare rifiuti normali con quelli pericolosi.

Qual’è la triste conclusione? Sembra un film dei fratelli Coen sulla stupidità (a prova di spia). Una cosa stupida tira l’altra e causa danni enormi. La raccolta e il trattamento dei rifiuti non è una questione troppo complicata: anzi, tra le tante, è semplice. Abbiamo infatti molti strumenti per gestire il ciclo dei rifiuti (più difficile è il trattamento delle acque reflue). Quindi non sarà mica che il clima di incompetenza nel nostro paese è così alto e diffuso e organico che ogni cosa umile e semplice e ordinaria si trasforma in una costosa, stupida e assurda e ingestibile gestione eccezionale?

Antonio Pascale

Antonio Pascale fa il giornalista e lo scrittore, vive a Roma. Scrive per il teatro e la radio. Collabora con il Mattino, lo Straniero e Limes. I suoi libri su IBS.