Un minuto di silenzio per il Jumbo Jet

CieliSe c’è un’icona del trasporto aereo civile, quella è il Jumbo Jet. Già dal nome, “Jumbo”, come l’elefante di P.T. Barnum mostrato sotto i tendoni del circo nel 1882, come tutte le cose, persone o animali fuori misura: vuol dire grande, anzi gigantesco. E il gigantesco Jumbo Jet è a giro per i cieli da più di quarant’anni; ma i suoi giorni sono contati signora mia.

Il Jumbo Jet è in realtà il Boeing 747, un aereo mitico, un po’ anzianotto (la piattaforma ha spiccato il volo per la prima volta nel 1969) ma che ha segnato la storia dell’aviazione. Le sue forme sono “iconiche”, come si dice: il cupolino che sovrasta il ponte principale, la testa rialzata, le gigantesche ali spinte da quattro motori che si flettono all’inverosimile durante il decollo e il volo. Non so se avete mai visto decollare un 747, ma sembra lentissimo mentre sale: in parte è un effetto ottico dovuto alle dimensioni davvero notevoli (rimane uno dei quattro aerei di linea più grandi di sempre assieme all’Airbus A380, all’Antonov An-225 e all’Huges H-4) e in parte per la straordinaria portanza del profilo alare che abbassa sensibilmente la velocità media di decollo.

Se volete farvi un viaggio, una piccola divagazione nella storia del 747, qui sul Post avevo già dedicato ampio spazio al re dei cieli e alla sua epica.

Riprendiamo il dossier in mano per due motivi. Da un lato perché sul versante aerei stanno per arrivare alcune piccole sorprese estive del vostro autore preferito di storie di volo (che poi sarei io, eh, sia ben chiaro). Dall’altro perché la forza cieca e brutale dei dati mostra che la salute di ferro del 747 in realtà non è tale. Anzi, il ragazzo sta parecchio male, è sul orlo dell’estinzione.

È la magia (nera) dei Big Data applicati al settore dell’aviazione: la possibilità da parte di chi ne capisce qualcosa del settore di aggregare i dati provenienti da tutte le compagnie aeree, elaborarli e trarne delle conclusioni nient’affatto scontate. Come dicono gli scienziati del dato: trarne degli “insights”, delle “intuizioni”. Vediamoli, ma dopo aver fatto la pausa del “sapientino”.

Dobbiamo capire quali sono le unità di misura-base per il settore del trasporto aereo civile così poi possiamo andare avanti sereni. Si tratta degli indicatori di “capacità” e di “produzione”. In particolare, l’unità di misura base per la capacità di una compagnia aerea è lo Available Seat Mile (ASM), posto disponibile-miglio. L’unità di misura base per la produzione invece è il Revenue Passenger Mile (RPM), passeggero pagante-miglio.

Ad esempio, se prendiamo un Boeing 747 con 450 posti che vola per una tratta di 500 miglia, abbiamo 225mila ASM. Invece per gli RPM, un passeggero di un aereo che vola per un miglio crea una unità RPM. 100 passeggeri che volano per 500 miglia creano 50mila RPM. La capacità nel giorno medio di una grande compagnia aerea è attorno ai 500 milioni di RPM disponibili ASM (posti, a prescindere che ci siano sedute sopra delle persone).

Terza unità di misura: il fattore di carico (load factor) che è dato dalla produzione fratto la capacità, cioè RPM/ASM. Nell’aereo da 500 posti che vola con 450 passeggeri ha un fattore di carico del 90%. Poi bisogna vedere quanto pagano i singoli passeggeri, ovviamente.

Ecco, finita la parte da sapientino: adesso abbiamo indicazioni di capacità, produzione e fattore di carico degli aerei. (Poi, volendo, per i sapientini hard-core, ci sono altre due metriche: una misura il costo per la compagnia aerea di un sedile disponibile per ogni miglio percorso (C/ASM) e l’altra misura il fatturato per ogni sedile disponibile per ogni miglio percorso (R/ASM), e con questo abbiamo fatto poker per un corso 101 di economia dell’aviazione commerciale).

La parte da sapientino serve perché con il fattore di carico e sopratutto gli ASM e gli RPM possiamo misurare in modo preciso l’efficienza di aerei differenti (cioè di comparare mele e pere) e soprattutto l’effettivo utilizzo dei velivoli. E ci si rende subito conto di una cosa: che il 747 sta neanche troppo lentamente scomparendo dalle scene.

Gli aerei a fusoliera larga, i widebody (categoria che il 747 domina), pesano per circa il 40% del totale degli ASM planetari. Guardando i dati a partire dal 2009 sino a quelli programmati dalle compagnie aeree fino al 2015, si vede che il totale complessivo di ASM del B747 alla fine del periodo 2009-2015 calerà del 14,1% mentre quello dell’Airbus A330 crescerà dell’8,8% e quello del B777 crescerà dell’8,7%. Ancora peggio se si guardano queste percentuali in relazione all’andamento complessivo del settore: l’industria del trasporto aereo commerciale (solo voli di linea) nel 2009 aveva un totale di 281,7 miliardi di ASM, che cresceranno del 20% al 2015, toccando i 336,9 miliardi di ASM. La capacità degli aerei a fusoliera larga crescerà un po’ meno della media, cioè del 18,3%, toccando nel 2015 i 200,6 miliardi di ASM. Questo vuol dire che il regno del B747 si sta contraendo in un mercato che invece è in espansione.

Non c’è niente di affascinante a guardare i numeri se non tirare fuori qualche statistica che colpisce, ad esempio che cinque compagnie aeree hanno quasi la metà dei 747 in esercizio (in tutto ne sono stati costruiti 1487), in tutto oggi sono 45 compagnie che caleranno a 30 (un terzo in meno) nel 2015 e Alitalia non ne ha più neanche uno da tempo. Sapere che dal 2009 al 2015 i 382 miliardi di ASM diventeranno 169 miliardi fa impressione, ma miss Marple ha bisogno di altre informazioni per sapere chi è l’assassino del B747.

Si tratta degli aerei a fusoliera larga con due soli motori, cioè di velivolo come il Boeing 787, il Boeing 777 e l’Airbus A330, oltre al “vecchio” (e molto amato) Boeing 767. Perché sono loro gli assassini? Perché hanno capacità inferiori ma non di troppo a fronte della metà dei motori (cioè solo due). Il che si traduce in un consumo che, a parte le varie efficienze dei differenti tipi di ala e propulsore, è comunque inferiore rispetto a quello del B747. Ovvero, per vederla dal punto di vista delle compagnie aeree, che sono quelle che pagano il carburante, il B747 brucia più tonnellate di carburante per ora e per sedia per miglio di qualsiasi altro aereo a fusoliera larga. (E se siete curiosi, la scommessa di Airbus con l’A380 è stata di fare un aereo a quattro motori che avesse sostanzialmente la capacità di due bimotori…).

Da quanto poi la normativa ETOPS (Extended range Twin Operations) ha consentito a partire dalla metà degli anni Ottanta di far seguire le stesse rotte dei velivolo tri- e quadrimotore ai bimotori, in un certo senso è stato l’inizio della fine. La normativa era relativa alle traversate sui territori “ostili”, soprattutto l’Oceano Atlantico, per le rotte che ogni giorno spostano migliaia di persone avanti e indietro fra l’Europa e l’America. A partire dagli anni Settanta il regno incontrastato del B747 che qui ha costruito il turismo di massa. Il problema era legato al funzionamento dell’aereo: cosa succede se si perde potenza in volo? Su quanta autonomia di volo deve poter far di conto un aereo di linea al quale si sia bloccato un propulsore? Non è una distanza lineare, che non avrebbe molto senso perché gli aerei si spostano sulla terra in maniera solo parzialmente differente rispetto alla sforzo che fanno i loro motori e alla velocità dell’aria sulle ali, ma è una misura di tempo.

Su un aereo a quattro motori perdere un motore non è un problema, perché ce ne sono altri tre. Stessa cosa su uno a tre motori, perché ce ne sono altri due. Il problema è se si rimane con solo il 50% della forza di spinta, cioè con un motore su due. Restare con un motore solo prevede che ci debba essere una autonomia di spinta sufficiente a raggiungere la prima pista di atterraggio alternativa prevista nel piano di volo. Nei voli con aerei a due motori l’ETOPS serviva a dare un parametro, fortemente richiesto da compagnie aeree e da produttori perché consentiva di usare aerei bimotore attraverso l’Atlantico. Ecco che la normativa ha portato l’autonomia che era di 60 minuti, a 120 e poi gli attuali 180 minuti – ma sono ammessi anche 240 minuti su casi indicati singolarmente per specifica compagnia e specifiche rotte. Questo annulla il vantaggio “legale” del 747, abbiamo visto che il vantaggio di capacità non è necessariamente un bene e comunque è facilmente comparabile e porta con sé la conseguente valutazione comparativa sul problema del consumo.

Il 747, atto d’amore di ingegneria aeronautica, l’unico velivolo con un’anima (o perlomeno ben riconoscibile anche da lontano per la sua forma particolare ed elegante, che non costringe i poveri spotter a valutazioni da orologiaio sulle appendici aerodinamiche per riconoscere un tipo di aereo dall’altro durante il volo) è quindi in agonia. Sta lentamente andandosene. La stessa Boeing ha detto che per adesso ridurrà il tasso di produzione a 1,5 B747-8 al mese, mentre una nuova generazione di velivoli, a partire dal Boeing 787 e dal nuovo e futuribile Airbus A350 XWB, sta inesorabilmente prendendo il suo posto.

Antonio Dini

Giornalista e saggista, è nato a Firenze e ora vive a Milano. Scrive di tecnologia e ama volare, se deve anche in economica. Ha un blog dal 2002: Il Posto di Antonio