Gli altri produttori di aerei – parte prima

Fokker 70

Fokker 70 di KLM-Cityhopper (immagine: Wikipedia)

Il business delle previsioni non è una cosa facile. Gli analisti, cioè quelle singolari creature che cercano di analizzare un determinato mercato ed estrapolarne tendenze e previsioni, spesso prendono delle grandiose cantonate. In realtà, più che ad azzeccare previsioni il loro lavoro serve ad indicare tendenze. In sostanza, indicare la via.

Così, quando si legge che nel 2030 ci saranno circa 36mila aerei di linea in servizio (attualmente siamo poco sopra i ventimila) e che nei prossimi vent’anni le compagnie aeree acquisteranno circa 31mila velivoli nuovi di pacca, per un valore totale che oscilla tra i tremilasettecento e i quattromilasettecento miliardi di dollari (il valore degli aerei di linea si esprime convenzionalmente sempre in dollari), quello che bisogna fare non è tanto prendere questi numeri come previsioni da azzeccare al mezzo dollaro, quanto considerarle indicazioni di una tendenza. Indicano infatti la direzione e la velocità del vettore, non il punto di arrivo reale. E soprattutto, valgono se non cambiano le circostanze attuali che permettono di fare questa stima: cosa che nella realtà dei fatti invece succede sempre. Il mondo è dinamico, fluido, cangiante, mentre le previsioni sono estrapolazioni a bocce ferme.

Lunga premessa per dire: il mondo dell’aeronautica civile crescerà in maniera spettacolare, ci sono già i nuovi aerei schierati sulla rampa di lancio, con un paio di novità ulteriori che vedremo tra un attimo, e quindi il dubbio è relativo ai produttori. Chi saranno i produttori questi velivoli?

Di solito si pensa a due colossi del settore aerospaziale. Uno americano e uno europeo.

Quello americano si chiama Boeing ed ha letteralmente inglobato tutto quello che poteva inglobare nel mercato statunitense. “Dentro” la Boeing dal 1997 c’è infatti il risultato della fusione di McDonnell e Douglas, avvenuta nel 1967. Le due aziende hanno una storia ben più antica: la Douglas Aircraft Company nasce nel 1921, scrive alcune delle pagine più importanti della storia dell’aviazione civile, e “sente” la concorrenza della McDonnell Aircraft Corporation (che nasce nel 1939) ma non quella della Boeing, nata nel 1916 e quindi sua “incumbent”. L’altro polo aerospaziale americano, con vocazione militare, è quello di Lockheed Martin, nato nel 1995 e “figlio” della fusione di Lockheed Corporation (1912) e Martin Marietta (1965), a sua volta fusione della American-Marietta Corporation e della storica e bellissima Glenn L. Martin Company (1912). Per dire: è la Martin a realizzare nel 1935 il Martin M-130, meglio conosciuto come China Clipper di Pan Am, l’epitome delle Flying Boats, di cui ho già abbondantemente parlato a partire da qui. Senza contare il terzo incomodo: Northrop Grumman, gruppo nato dall’acquisizione nel 1994 della seconda (nata nel 1929) da parte della prima (nata nel 1927) e che si è ulteriormente espanso nei quindici anni successivi con una lista lunghissima di acquisizioni. Il settore Difesa americano avrebbe potuto “asciugarsi” ulteriormente se l’antitrust non avesse bloccato l’ipotesi di fusione tra Northrop Grumman e Lockheed Martin.

ATR 72-600 di Air Nostrum (Iberia)

ATR 72-600 di Air Nostrum (Iberia) (immagine: Wikipedia)

Veniamo all’Europa.

Da noi c’è Airbus, di proprietà di EADS, acronimo che sta per European Aeronautic Defence and Space Company. Dentro EADS (che cambierà nome in Airbus group entro breve) ci sono alcuni dei nomi storici dell’industria aeronautica europea. La francese Aérospatiale-Matra (1999, figlio della fusione di SNIAS-Aérospatiale nata nel 1970 e di Matra Hautes Technologies, parte di Mecanique-Aviation-Traction dagli anni Sessanta), la tedesca Dasa (DaimlerChrysler Aerospace AG, 1989) e la spagnola CASA (Construcciones Aeronáuticas SA, 1923). Tutto questo aggrovigliarsi di aziende non deve la sua evoluzione tanto alle spinte del mercato quanto al bisogno politico del settore difesa e aerospaziale europeo di trovare una propria natura e assetto che tutelasse i posti di lavoro nei diversi paesi ma al tempo stesso smantellasse gli inutili doppioni. L’Italia non ha giocato con gli altri e i nostri “pezzi” di aeronautica rimanenti adesso sono più o meno tutti dentro Finmeccanica oppure fanno parte di una filiera molto ampia il cui obiettivo è non tanto la progettazione e realizzazione di aeroplani, quanto quella di componenti per conto terzi. Siamo diventati insomma prevalentemente terzisti per non correre il rischio di integrarci con il consorzio che stava emergendo in Europa. Airbus/Eads ha preso le mosse dai primi passi in termini di collaborazione europea fatta con alcuni programmi militari e – per quello che ci interessa qui – con il Concorde. Il supersonico europeo è stato costruito da una joint venture che è stata letteralmente una prova generale per gli attori che poi hanno costituito EADS.

Adesso, per riprendere quanto scrivevo poco sopra, il mercato mondiale degli aerei di grande dimensione (i “large jet”) è saldamente in mano a due aziende, una  negli USA e una in Europa. Le quote erano dell’80/90%, adesso calate al 70%. Il resto sino a questo momento è stato fatto dagli aerei di più piccole dimensioni, prodotti da una serie di aziende e consorzi “secondari” e divenuti sempre più importanti per vari motivi.

Vediamo di orientarci. I “large jet” sono aeromobili di capacità maggiore di cento posti e di raggio di azione superiore ai mille chilometri. I “regional jet” sono velivoli con capacità inferiore ai cento passeggeri e raggio di azione inferiore ai 1200 chilometri. I “turbo prop” con capacità di trasporto e raggio d’azione analogo ai “regional jet” ma con propulsione a turbo elica.

DHC-8-300 di Air Canada Jazz

DHC-8-300 di Air Canada Jazz (immagine: Wikipedia)

Nel settore dei “turbo prop” ha un ruolo-chiave ATR, il consorzio franco-italiano nato nel 1981 e composto dalla francese Aérospatiale (adesso EADS, come abbiamo visto) e da Aeritalia (adesso Alenia Aermacchi, cioè Finmeccanica). Il consorzio è piccolo, utilizza gli stabilimenti di Pomigliano d’Arco per la realizzazione di coda e fusoliera e a Bordeaux dove vengono prodotte le ali da Airbus Francia. Infine, a Tolosa, sempre in casa Airbus, si fanno tutte le certificazioni, gli assemblaggi finali (il body-joint), i voli e la consegna finale. In pratica, una gamba di ATR (che poi è una sigla che vuol dire “Avions des Transport Re- gional”) è di proprietà sempre di Airbus. Ci lavorano meno di seicento operai e finora sono stati prodotti poco più di un migliaio di aeroplani in 325 mesi (circa 27 anni), pari a tre aerei al mese. I modelli in produzione sono l’ATR 42 e l’ATR 72, capaci rispettivamente di 40/52 posti e di 70/78 posti. Il prezzo di listino di un paio d’anni fa era rispettivamente di 12-16 milioni di dollari e di 16-22 milioni di dollari, a seconda delle varianti e degli allestimenti. Sembrerebbe un caso di successo – in effetti lo è, visto che nel mercato ATR sente solo la concorrenza del Bombardier Dash 8 – ma si tratta comunque di numeri piccoli. Il consorzio ha dimensioni capaci di garantire la giusta proiezione internazionale, la crisi del carburante e la nascita di piccoli aeroporti cittadini ha aiutato molto la crescita di questo tipo di aerei decisamente più economici e flessibili come operazioni, anche se si tratta di velivoli rumorosi e con quote operative limitate.

Poi c’è la coppia di produttori storici di “regional jet”, cioè la canadese Bombardier e la brasiliana Embraer. Partiamo dai canadesi: l’azienda è stata creata dal geniale inventore e uomo d’affari canadese Joseph-Armand Bombardier (1907-1964) nel 1942 come L’Auto-Neige Bombardier Limitée. La divisione aerospaziale è nata nel 1986 quando l’azienda ha acquistato Canadair, fondata nel 1944. L’attività produttiva di Bombardier è orientata ai jet regionali e business (aerei privati), RJ e CRJ. La serie di Canadair Regional Jet ha finora prodotto sei serie di aerei, da 50 a 100 posti, con numerose varianti anche per il trasporto privato. Raggruppate, sono i jet regionali CRJ100/200/440 e i jet regionali CRJ700/900/1000.

Oltre alla produzione di aerei jet di medie dimensioni, Bombardier ha acquistato una serie di altre aziende del settore aerospaziale privato canadese: de Havilland Canada, Short Brothers e Learjet. Così Global Express e ai Challenger, Bombardier continua a produrre aerei per il trasporto privato Learjet come società separata, così come continua a produrre i CL-415 SuperScooper, da noi conosciuti come “Canadair” e che sono gli aerei anfibi utilizzati per spegnere gli incendi anche dalla nostra protezione civile.

Bombarier CS100 e CS300

Bombarier CS100 e CS300 (immagine: Wikipedia)

Nel settore di ATR, cioè dei “turbo prop”, Bombardier produce grazie a de Havilland Canada i Dash 8. Solo dei  DHC-8 ne sono stati prodotti mille e Bombardier pensa di farne almeno altri 200 entro il 2016. Delle quattro serie finora progettate, le serie Q100, Q200, Q300 non vengono più realizzate e rimane la sola Q400 in produzione, che è stata di recente ampliata con i progetti per la variante Q400X, da realizzarsi in collaborazione con Korea Aerospace Industries e Korean Air Lines.

Il gruppo Bombardier ha poi una zampa enorme nel settore trasporti su ferro: nel 1970 ha acquistato Lohner-Rotax per la parte dei motori da gatti delle nevi ma che faceva anche tram, e da allora è entrata di prepotenza prima nel settore dei trasporti cittadini su ferro c’è stato a partire dagli anni Ottanta un rinascimento del settore dei tram in città) e poi più lentamente nel settore ferroviario. In tutto Bombardier ha un giro d’affari di circa 30 miliardi di dollari, mentre la parte “aerospace” dà da lavorare a 33.600 persone.

Embraer 195 di Flybe

Embraer 195 di Flybe (immagine: Wikipedia)

Ma la vera arma segreta di Bombardier è il progetto di espandersi dalla fascia dei jet regionali a quella dei più piccoli tra i “large jet”. La CSeries che ha già fatto il suo volo inaugurale dovrebbe essere commercializzata a partire dal 2014. Si tratta di due varianti, CS100 e CS300, rispettivamente da 110 posti e da 135 posti. Si tratta di aerei che vanno a sovrapporsi ai classici Boeing 737-600/-700 e agli Airbus A318/A319, cioè le configurazioni più “piccole” dei classici aerei per il medio raggio. Ci sono già 177 ordini sul piatto e i fornitori di componenti sono un po’ in tutto il mondo, com’è diventato oramai caratteristico per i grandi progetti aeronautici. Progettare una piattaforma come CSeries richiede quasi un decennio di lavoro e una trentina di miliardi di investimento. Il vantaggio è che adesso, oltre ai soliti noti, giocano anche i cinesi, che stanno diventando sempre più importanti come terzisti e come produttori diretti. Il prezzo di questi velivoli è di circa 60-70 milioni di dollari l’uno, a seconda di varianti e allestimento. Secondo Bombardier hanno costi operativi minori del 20% rispetto alla concorrenza.

A parte i “grandi” Airbus e Boeing, come abbiamo detto, c’è da guardare anche ai canadesi di Bombardier (appena visti) e poi ai brasiliani di Embraer.

Embraer è un’altra azienda che molti considerano “nuova” nel settore ma che tale non è.

È nata nel 1969, oggi ha un giro d’affari di circa sei miliardi di dollari e dà da lavorare a più di 18mila persone. Embraer, che originariamente si chiamava Empresa Brasileira de Aeronáutica, è nata per l’ambizione del governo brasiliano di riuscire a conquistare uno spazio nel settore della produzione di aeroplani, mezzo di trasporto considerato strategico viste anche le distanze enormi di quel paese, e ovviamente anche nella parte di produzione militare. Il Ghibli, cioè l’AMX International AMX, è l’aereo militare più famoso realizzato nel 1984 da Embraer, Aeritalia e Aermacchi, e utilizzato dall’aeronautica militare brasiliana e italiana con 192 esemplari prodotti.

La privatizzazione di Embraer, adesso quotata in Borsa, è arrivata nel 1994, mentre la produzione di aerei di linea regionali continua a crescere tanto che Embraer se la gioca costantemente con Bombardier per il terzo posto come produttore mondiale di velivoli dopo Airbus e Boeing. Anche Embraer sta ben assestata nel settore dei regional jet, con la differenza rispetto ai concorrenti che non ha mai effettuato grandi acquisizioni e questo vuol dire che la sua è una crescita del tutto “organica”. La famiglia di regional jet prodotta da Embraer si chiama ERJ e consta di tre grandi gruppi: ERJ 135, ERJ 140 ed ERJ 145 (35, 45, 50 passeggeri), per un totale di quasi 900 aerei consegnati.

Embraer 190

Embraer 190 (immagine: Wikipedia)

La famiglia di jet regionali più grandi è la E-Jets, e comprende gli E-170 (70/80 passeggeri), gli E-175 (80/90 passeggeri), gli E-190 (100-115 passeggeri), gli E-195 (110-120 passeggeri) per un totale di 1750 aerei consegnati e più di 200 in produzione. Sono tutti nuovi, perché prodotti a partire dal 2004, e piuttosto innovativi non tanto per i materiali, quanto per l’alto numero di componenti in comune tra tutte le varianti, cosa che riduce radicalmente il numero di certificazioni che devono essere prese dagli equipaggi.

Il miglior cliente della serie E-Jets è la JetBlue. L’ottima low cost americana ad alta efficienza ne ha presi 100 e ne ha altri 100 in ordine. Anche Embraer ha ovviamente delle metriche che gli consentono di superare gli aerei della concorrenza, e soprattutto riesce in maniera organica ad insidiare la parte bassa del trasporto a medio raggio, tipicamente controllata da Airbus e Bombardier.

AVRO RJ85 di Lufthansa

AVRO RJ85 di Lufthansa (immagine: Wikipedia)

Penultimo pezzetto da vedere in questo capitolo, è British Aerospace meglio conosciuta come BAe. Fondata nel 1977 mettendo insieme alcuni pezzi del settore aerospaziale britannico a seguito di nazionalizzazione (British Aircraft Corporation BAC, Hawker Siddeley Aviation, Hawker Siddeley Dynamics, Scottish Aviation), nel 1999 ha comprato da General Electric la Marconi Electronic Systems, trasformandosi in BAe Systems. È il salotto buono dell’aeronautica britannica, dentro ci sono Vickers-Armstrongs, Supermarine, c’è un pezzo enorme della Difesa del Regno Unito e c’è anche parecchia tradizione di volo civile. La nazionalizzazione è una conseguenza delle due fusioni americane di fine anni Novanta: Lockheed Martin da un lato e l’acquisizione da parte di Boeing di McDonnell Douglas. La pressione era tale che entro tre-quattro anni tutto il settore britannico si era mosso. In Europa continentale tutto questo mise le ali ai piedi di EADS/Airbus, mentre per gli inglesi volle dire stringere attorno a un unico soggetto che avrebbe dialogato intensamente con Airbus (per il quale BAe Systems produce svariate parti).

La produzione di aerei di linea per il corto raggio è la specialità di BAe. Stiamo parlando del BAe 146 che dal 1992 è realizzato in una versione potenziata chiamata Avro RJ. Complessivamente il programma, che è stato finora il maggior successo nel settore civile per la Gran Bretagna, ha prodotto 387 velivoli. La produzione è cessata nel 2001.

Fokker 70 della Vietnam Airlines

Fokker 70 della Vietnam Airlines (immagine: Wikipedia)

Ultimo pezzetto, infine, è quello della defunta Fokker. L’azienda olandese fondata nel 1912 da Anthony Fokker è uscita dal mercato nel 1996, producendo però prima il Fokker 50 (jet regionale da 60 passeggeri prodotto dal 1987 al 1997 in 213 esemplari), il Fokker 100, che quasi affondò l’azienda (1986-1997, 283 esemplari da 110 posti massimo) e il Fokker 70 (1992-1997, 47 esemplari da 85 passeggeri massimo). È una mole di aerei interessante che è tutt’ora in uso perché, nonostante il fallimento della Fokker, vengono sempre mantenuti da una filiera di produttori di parti di ricambio e certificatori di manutenzione. C’è persino un’azienda, la Rekkof (Fokker scritto al contrario) che cerca da anni di acquistare i diritti dei vari brevetti e del resto della proprietà intellettuale per riaprire le linee di produzione del Fokker 100 e del Fokker 70 con nuovi nomi, maggiore capacità, nuove motorizzazioni.

Ecco, questo per adesso è quanto per adesso. Sarebbe una situazione già interessante e “nuova” del mercato, se non fosse che è invecchiata piuttosto rapidamente. Infatti, a questo equilibrio piuttosto stabilizzato dopo l’ondata di consolidamenti (e fallimenti) degli anni Novanta, è seguita una fase di evoluzione piuttosto radicale anche se a lungo la possiamo considerare “carsica”. Hanno cominciato infatti a muoversi ai margini del settore gli interessi di altri produttori inediti e il ritorno di alcuni produttori che da tempo non si muovevano. Perfetto argomento per il prossimo capitolo.

Antonio Dini

Giornalista e saggista, è nato a Firenze e ora vive a Milano. Scrive di tecnologia e ama volare, se deve anche in economica. Ha un blog dal 2002: Il Posto di Antonio