Orgoglio Delta: il nuovo T4 a JFK

La cosa bella degli uffici marketing nelle compagnia aeree è che sono ossessionati dai modelli. Li adorano e se li portano dietro ovunque, anche alle inaugurazioni dei nuovi terminal

La cosa bella degli uffici marketing nelle compagnia aeree è che sono ossessionati dai modelli. Li adorano e se li portano dietro ovunque, anche alle inaugurazioni dei nuovi terminal

Alle cinque del mattino, a quasi undicimila metri di quota, quando il comandante del volo 2240 della Delta Air Lines partito la sera prima da San Francisco ci informa che stiamo entrando nella fase di avvicinamento e poi discesa nell’aeroporto JFK di New York, ecco, proprio in quel momento succede una cosa inaspettata. Il comandante fa una pausa di pochi secondi e aggiunge, con voce emozionata: «Signore e signori, stiamo entrando nella storia: siamo il primo volo per il nuovo Terminal 4 di Delta Air Lines».

È il 24 maggio scorso, pochi giorni fa, e sto tornando verso l’Europa dalla californiana Silicon Valley. Ma si è aperta una finestra d’opportunità non male, di quelle da cogliere al balzo. L’inaugurazione del Terminal 4 di JFK. Per questo ho riorganizzato i voli del rientro: anziché di venerdì decido di partire da San Francisco con una sera di anticipo, il giovedì. È un volo “red eye”, “occhi rossi”, un vecchio classico tra San Francisco e Los Angeles verso New York, Boston e Washington. Sono di quei voli che li prendi la sera verso le 21 e 30 sulla costa occidentale, dopo una normale giornata di lavoro, e la tua camera d’albergo diventa la poltrona dell’aereo. Un “must” tra gli yuppie negli anni Ottanta. Ceni disteso nel tuo letto volante, per così dire, sospeso sopra lo Utah e poi dormi in qualche modo per tre o quattro ore cullato dalle correnti d’alta quota mentre traversi il ventre degli States.

La mattina presto – prima delle sei – arrivi a New York e, senza aver perso ore preziose di lavoro delle cinque di volo previste complice il gioco dei fusi orari, sei in tempo per una giornata intera e intensa sull’altra costa. Nel mio caso, sono in tempo per una mezza giornata in aeroporto, visto che il volo successivo per l’Italia è il Delta 160 che parte nel primo pomeriggio e mi fa fare un’altra notte in volo, con arrivo a Malpensa alle sette meno qualche minuto del mattino.

Ma questo gioco a incastri vale la pena: New York è proprio il posto dove voglio essere, perché l’obiettivo è assistere alla cerimonia di inaugurazione del nuovo Terminal 4 di JFK, costruito da Delta assieme alla Port Authority per la bella cifra di 1,4 miliardi di dollari, che fanno parte di un piano investimenti stratosferico: negli ultimi 24 mesi Delta ha costruito un nuovo terminal ad Atlanta, comprato una raffineria, rinnovato flotta e impianti, fatto fusioni e acquisizioni, comprato il 49% di Virgin Atlantic (sì, quelli di sir Richard Branson, il folle e geniale creatore del gruppo Virgin a partire dall’etichetta discografica il cui primo successo è stato Tubular Bells dell’allora esordiente Mike Oldfield) sino a diventare una delle più grandi compagnie aeree al mondo, con 80mila dipendenti e la valutazione di prima compagnia aerea del pianeta per la rivista Fortune.

Giornata uggiosa, capita anche a New York. Quella pioggerella fitta e neanche tanto calda che ti entra nelle ossa e comincia a scavare, piano piano...

Giornata uggiosa, capita anche a New York. Quella pioggerella fitta e neanche tanto calda che ti entra nelle ossa e comincia a scavare, piano piano…

Il nuovo Terminal 4 a JFK si porta dietro una progettualità complessa: un nuovo sistema di trasporto bagagli, una nuova serie di strutture per l’entrata negli States con più spazio per le procedure di immigrazione, e soprattutto i nuovi scintillanti 16 gate internazionali, a cui ne verranno aggiunti altri 11 più avanti con una secondo fase di espansione dal costo più contenuto di 175 milioni di dollari. Per un aeroporto come il “vecchio” JFK, che cresce per progressiva accumulazione e in cui ogni spazio sembra ritagliato sacrificandone altri analoghi, è una specie di rivoluzione.

Un effetto secondario del T4 spiacevole per gli amanti del vintage, ma inequivocabilmente opportuno per i motivi che tra un attimo vi spiego, è stato il contestuale abbandono del Terminal 3, quello chiamato Worldport creato dalla Pan Am negli anni Sessanta. Era stato ereditato assieme a una serie di rotte europee e di aerei della più scintillante compagnia aerea che l’America abbia mai avuto quando quest’ultima chiuse rapidamente i battenti nel 1991. A Malpensa e Fiumicino, per dire, il personale Pan Am passò direttamente a quello Delta e dalla mattina alla mattina (il tempo per la partenza dell’ultimo volo Pan Am e l’arrivo del primo volo Delta) si cambiò tutto al volo: divise, stand, cartellonistica, adesivi Delta messi sopra le vecchie insegne come cerotti a coprire un marchio che da quel momento non fu più. Una storia di 22 anni fa che ancora qualche ex dipendente della Pan Am a Milano ricorda. E la ricorda con gratitudine, perché grazie al rapido take over di Delta il suddetto ex dipendente ha potuto continuare a lavorare per quasi un quarto di secolo con lo stemmino di Delta sul revers della giacca e il conto corrente alimentato tutti i mesi e con una certa larghezza.

L’abbandono del T3 è stato inequivocabilmente opportuno perché il vecchio terminal di Pan Am (si vede bene nel primo episodio della serie televisiva Pan Am, quando era nel pieno del suo lustro migliore) oggi sembrava ormai una struttura da aeroporto del terzo mondo: fatiscente, cascante, “fuori norma”, come si direbbe da noi. La cosa sorprendente, ma gli americani sono fatti così, è che la demolizione è cominciata il giorno stesso dell’inaugurazione del nuovo Terminal 4, che in realtà era già attivo da tempo perché “estensione” e ammodernamento della precedente struttura: il T4 ha inaugurato sostanzialmente il concourse B a cui seguirà una breve prolunga da aprire entro il 2015.

Qui una volta era tutta campagna...

Qui una volta era tutta campagna… Invece quello che si intravede sullo sfondo è il defunto Worldport.

Invece, al posto del Worldport ex Pan Am, in un primo tempo ci sarà una grande area parcheggio per aeroplani e poi si vedrà: il costo al metro quadro del tarmac di JFK non è mai stato quantificato, che io sappia, ma l’apron dell’aeroporto deve avere prezzi superiori a quello delle metrature negli appartamenti del centro di Tokyo. Di sicuro è più ventilato, per certo i costi di edificazione sono maggiori.

Torniamo al mio DL 2240 che tocca terra con cronometrica puntualità quando ancora non è spuntato il sole. A quell’ora JFK torna ad essere un aeroporto in riva al mare, gli scarichi degli aerei che affollano lo scalo più trafficato negli Usa ancora non hanno cancellato la brezza che viene dal mare. Nonostante il doppio vetro del piccolo oblò che mi separa dall’estero e l’aria condizionata sparata sulla testa che mi bersaglia, sembra quasi di sentire lo stesso odore a cui sono abituati i gabbiani quando planano sugli acquitrini salmastri del Queens meridionale. Esco dal 757 e, percorsa la jetway, ho la prima sorpresa: mi aspetta una hostess di Delta per accompagnarmi al punto di ritrovo, cioè la nuova sala riservata ai viaggiatori business, in attesa che arrivino gli altri giornalisti americani e del resto del mondo che sono ancora in hotel a dormire, a New York. La cerimonia sarà alle undici di mattina, ho abbondante tempo per riprendermi un attimo. Una straordinaria occasione per vedere il nuovo terminal con gli occhi del passeggero che viaggia in business class o in prima.

Ci vuole poco a immaginarlo: il Boeing 757 dal quale sono appena sceso è un aereo concepito alla fine degli anni Sessanta, assieme al gigantesco Boeing 747, come sostituto del “vecchio” trimotore 727, per i viaggi di medio raggio. Non so se all’epoca erano tutti più magri o più bassi, ma in economy lo spazio dal sedile di fronte è risicato e i braccioli sono un continuo assalto alle anche del povero viaggiatore che come me sia di taglia “lunga”: poco meno di un metro e novanta per molti più chili di quanti per pudore non abbia voglia di rivelare in pubblico.

Invece, nella business class dei B757 le poltrone sono molto più capienti e avvolgenti. Delta utilizza un cuoio dalle tonalità azzurro cupo che avvolge e rilassa. Mentre il viaggio in economy comincia con una lunga attesa schiacciati addosso al proprio vicino, lo stesso itinerario in business è inaugurato da un aperitivo, che ti distrae intanto che ti serve quell’attimo per sistemare cuscino e coperta (devo dire di buona fattura) che poi faranno da complemento per il letto notturno. Mentre in economy arriva una bibita analcolica (vino, birra e super alcolici nei voli interni si pagano) e uno pugnetto di mini-pretzel contati in bustina, in business è il turno di uno “spuntino serale” composto da insalata mista, panino al tacchino riccamente farcito di salse e accompagnato da due pomodori e cetrioli, più una fetta di torta. Il tutto annaffiato a volontà con quel che si vuole. Anche più volte.

Arriva l’ora della nanna. La classe economica promette come genere di massimo conforto la spalla del proprio vicino. La business class non ha i “flat-bed” dei voli intercontinentali, ma ci si avvicina. La poltrona si sdraia quasi a mo’ di piano inclinato, è larga e lunga a sufficienza per contenermi senza problemi, la cintura di sicurezza si allunga sino a diventare un comodo strumento per restare in contatto con il letto in quota a scanso di turbolenza, il cuscino è morbido e profumato, e basta tirare giù la palpebra dell’oblò per evitare di essere svegliati dai raggi del primo sole in quota per perdere la cognizione del tempo e del viaggio. A me poi basta davvero poco per dormire sodo, e quelle quattro ore le ho cancellate in un attimo.

Per quelli tra il gentile pubblico che non avessero mai veduto un terminal, possono cominciare a lustrarsi gli occhi con questo. Dicono che il clima possa variare da un lato all'altro: qui c'è il sole, laggiù piove...

Per quelli tra il gentile pubblico che non avessero mai veduto un terminal, possono cominciare a lustrarsi gli occhi con questo. Dicono che il clima possa variare da un lato all’altro: qui c’è il sole, laggiù in fondo forse piove…

Vediamo cosa succede quando si arriva nell’aeroporto di scalo, in questo caso il nuovo T4 di JFK, con la prospettiva di 11 ore di layover. Intanto, siccome il terminal di arrivo e quello di partenza sono lo stesso, non c’è da fare nessun tipo di trasferimento: si esce dallo stesso varco da cui solitamente si sale a bordo dell’aereo. La mia scorta mi accompagna attraverso un salone gigantesco, il nuovo concourse B, particolarmente arioso ed efficiente. Non c’è nessuna ricerca estetica particolare: è semplicemente una gigantesca struttura chiusa, con al centro ci sono i consueti “slidewalk” (le moving walkway o tapis roulant, tanto per dirla in altre lingue perché, come per la moquette, in italiano non abbiamo la parola se non “tappeto mobile” o “marciapiede mobile” che per me non sono adeguate) mentre una serie di larghi pilastri distanziati accenna la separazione delle navate laterali dove una serie di negozi si intervallano con i gate e con le piccole aree di attesa costellate delle solite, universali, scomode seggioline da aeroporto davanti a gigantesche finestrone a parete. Dominano il bianco e luce intensa.

Invece, per chi arriva da fuori, tendenzialmente con l’AirTrain, il sistema di trasporto automatico su rotaia dell’aeroporto di New York che si interconnette anche con il treno e la metropolitana di superficie (Jamaica station da una parte e Howard Beach dall’altra), c’è una piccola sorpresa. Il T4 possiede l’unica stazione dell’AirTrain interna al terminal stesso. Le altre stazioni sono in un loop differente rispetto al giro dei terminal, separato dalla strada di scorrimento, cosa che costringe spesso a qualche acrobazia con bagagli al seguito. Il privilegio della stazione “interna” deriva dal fatto che il T4 è stato costruito esattamente sul luogo dove venne realizzato in origine il terminal principale (e unico) del “vecchio” aeroporto di Idlewild, nato negli anni quaranta e che poi nel 1963 venne ridedicato a JFK. Per questo motivo la disposizione degli edifici rispetto alla strada e al loop dell’AirTrain è differente e permette maggiore comodità di spostamenti.

Uno si mette al tavolino e, buono buono, lavora...

Uno si mette al tavolino e, buono buono, lavora… Poi se ne va e si dimentica di prendere l’adattatore per la presa elettrica. Ma vabbé, se sono tonto. Comunque, se qualcuno dei lettori l’avesse trovato, è gentilmente pregato di restituirlo, eh?

Con la mia buona guida fasciata nella divisa rossa fiammante di Delta attraversiamo la navata centrale per un buon tratto, diretti alla nuova saletta Sky Club, la lounge riservata ai clienti business e ai possessori delle tessere Skyteam livello “Elite” ed “Elite plus”. In una versione per adulti dei check-in su Foursquare o delle figurine Miralanza, attempati manager e stagionate socialite che rincorrono i bei tempi andati della jet-set-society desiderano solo poter collezionare l’entrata in questi ambienti. Le salette delle varie compagnie sono le oasi predilette e i paradisi perduti di miltoniana memoria per le quali si cerca di avere accesso con vari obiettivi: rinfrescarsi, potersi appartare, avere da bere a profusione, connessione internet a go-go, poltrone confortevoli, servizi di concierge su misura. In un decennio di esperienza negli aeroporto di tutto il mondo pensavo di averle viste tutte, compreso l’infinito bancone del sushi gratuito nella saletta Virgin Atlantic ad Heathrow, l’hamman e il centro massaggi, ma qualche sorpresa è arrivata anche da Delta.

Intanto le dimensioni: la sala Sky Club del T4 ha una superficie pari a 6 campi da basket, con 400 tra poltrone e sedie, più di 50 scrivanie per lavorare, una sala relax, sei cabine-doccia, una saletta VIP (solo su prenotazione e a pagamento) e una sorpresa che mi ha spiazzato. All’interno della sala Sky Club, che poi è praticamente grande come un piano di un palazzo di generose dimensioni a partire dall’atrio con i banconi per la registrazione e l’accesso, c’è un corridoio che porta a una porta a vetri oltre la quale… si esce fuori! Delta si è fatta ricavare una terrazza a cielo aperto – si chiama Sky Deck, tanto per cambiare – che ti rimette in contatto con l’aria calda e umida in cui volano i gabbiani del Queens di cui sopra. È sorprendente, spiazzante e quasi miracoloso poter uscire all’aperto all’interno dell’aeroporto. Se ci si pensa un attimo, una delle maggiori spinte a considerare l’aerostazione un “non-luogo” è proprio il suo essere isolato e sigillato dall’ambiente circostante: Qui non respirerai altra aria che quella condizionata filtrata e termoregolata. Qui vedrai tutto ma non potrai raggiungere niente, anche i suoni ti arriveranno ovattati e spenti, molti assenti.

Si mangia gratis, si dorme, si guarda la posta, si beve qualcosa, si gioca a ruzzle. Ci si annoia con stile.

Si mangia gratis, si dorme, si guarda la posta, si beve qualcosa, si gioca a ruzzle. Ci si annoia con stile.

Invece, sul tetto della saletta, in un dehor circondato da vetri che comunque impediscono di scagliare oggetti verso gli aeroplani (non si sa mai), è possibile sedersi come in una qualunque località marina fighetta su alti sgabelli o su poltrone impagliate e sorseggiare qualche drink esotico, mentre un Dc-9 Super 80 con i motori completamente sfiatati ti assorda passandoti sulla testa.

La saletta mi ha colpito e, permettetemi, lo Sky Deck ancora di più. Uno a zero per Delta. Ma c’è di più. Parecchio di più. Perché l’inaugurazione del Terminal 4 non è stata solo questo. Ci sono stati anche i festeggiamenti e alcune visite parecchio interessanti. Ne parliamo tra qualche giorno, visto che intanto io sono ripartito e devo correre nuovamente attraverso gli Stati Uniti.

Ah, una nota finale per il mio buon comandante del volo DL 2240 che aveva sentito l’emozione di essere il primo a sbarcare al nuovo T4. Comandante, non so se sia andata davvero così: c’erano parecchi altri aerei già agganciati ai rispettivi gate. Chi può dirlo? Anche perché, purtroppo per lei, la storia in questi casi tende a ricordare l’ultimo e non il primo. Ne è un buon esempio la pagina di Wikipedia che riporta infatti chi per ultimo ha lasciato il “vecchio” Worldport ex Pan Am:

“On May 23, 2013 at 11:25PM, Delta Flight 268 to Tel Aviv, Israel, was the final departure from the terminal. Flight 268, a Boeing 747-400, departed gate 6 with 345 passengers onboard. The flight was flown by Captain Bret A. Davidson and First Officer Thomas Drillette”.

 

Non ho idea di che cosa sia, ma sono sicuro che anche questo vola... Quindi si trova a suo agio in aeroporto (dall'altro lato del vetro, per mia fortuna).

Non ho idea di che cosa sia, ma sono sicuro che anche questo vola… Quindi si trova a suo agio in aeroporto (dall’altro lato del vetro, per mia fortuna).

Antonio Dini

Giornalista e saggista, è nato a Firenze e ora vive a Milano. Scrive di tecnologia e ama volare, se deve anche in economica. Ha un blog dal 2002: Il Posto di Antonio