L’epica del Boeing 747

È Natale. Qual è il più bel regalo che l’aeronautica civile abbia mai ricevuto? C’è una risposta sicura: il 747 della Boeing, cioè il Jumbo Jet, l’aereo che ha cambiato tutto. Mettetevi comodi, perché è una storia bella lunga ma avvincente.

Il Jumbo Jet ha la mia età. Alla fine, continuo a ripetermi questa cosa. L’aereo più caratteristico, bello, iconico dell’era del jet, del trasporto di massa, è mio coetaneo. Non male. Se non fosse che stiamo parlando del 1969. Sigh…

Il Jumbo Jet, cioè il Boeing 747, ha una storia particolare, ricca, lunga e decisamente strana. Cominciamo dalla definizione sintetica del ruolo di questo aereo: ha cambiato il mondo. È stato il primo velivolo in grado di trasportare grandi quantità di persone in un colpo solo. Parliamo di 500 passeggeri alla volta. Una “great weapon of peace”, come lo definì Juan Trippe, il papà della Pan Am, che giocò un ruolo chiave nella nascita di quest’aereo. Andiamo con ordine.

(Il mondo senza la Pan Am)

Sono gli anni Sessanta, l’America è definitivamente uscita dall’ombra della seconda guerra mondiale è sta finendo la spinta delle commesse nate sulla base dei progetti militari dell’epoca. Anzi, una nuova ondata, richiesta per contrastare la minaccia rossa e per combattere in Corea e Vietnam, sta emergendo. L’industria aeronautica degli States è ancora decisamente frammentata: oltre a Boeing ci sono Lockheed, McDonnell, Martin Marietta, Douglas e varie altre “minori”. Soprattutto, il mito futurista della velocità è nel suo pieno: visti i rapidissimi progressi dei motori a getto, si pensa che entro poco tutti i trasporti aerei di passeggeri utilizzeranno aerei supersonici, cioè capaci di volare più veloci del suono (circa 1100 km/h in quota, ma dipende dalla temperatura) e quindi la scommessa del futuro siano questi straordinari aeroplani.

In Europa sta nascendo un consorzio che ha come obiettivo la creazione di un jet che vada più veloce del suono e che segni la “concordia” tra le nazioni ex-belligeranti: è l’altro percorso per unificare le economie europee, quello che si svolge in parallelo alla nascita delle nostre Comunità (la Comunità europea del carbone e dell’acciaio Ceca, la Comunità europea dell’energia atomica Ceea o Euratom, e poi la Comunità Economica Europa), darà due frutti, il primo dei quali sarà il Concorde (il jet più veloce del suono prodotto dal consorzio Aérospatiale-BAC), e l’altro indiretto cioè la creazione dei presupposti politici, tecnici e industriali per la nascita del consorzio Eads-Airbus.

Negli Usa invece si lavora alacremente al doppio “vaporware” del Lockheed L-2000 e del Boeing 2707. Nessuno dei due velivoli vedrà mai la luce e gli Usa molleranno l’idea di un SuperSonic Transport (SST), mentre i russi faranno un po’ di cinema con il loro Tupolev Tu-144, ma anche quelli senza grande costrutto.

Gli ingegneri della Boeing avevano per la testa anche un altro progetto: un grande aereo passeggeri che seguisse sostanzialmente l’idea di spostare grandi quantità di persone (in pratica il sogno di Juan Trippe che voleva dare alla Pan Am dei clipper sempre più grandi) per quella decina d’anni, massimo venti, ritenuti necessari prima che si affermasse definitivamente il trasporto aereo supersonico. In termini di ciclo di vita di una famiglia di aeroplani, dieci anni sono a malapena il tempo di sviluppo e meno della metà del ciclo di vita operativo di un apparecchio. Il progetto nasceva quindi “fallato”, a scadenza. Era il frutto di lavori di ricerca per concorrere alla realizzazione di aerei militari jet con funzione cargo – moderne fortezze volanti d’altissima quota da impegnarsi in trasporti a distanza intercontinentali – riciclati per il mercato civile, come d’abitudine per gli americani. In quel caso, la gara era per il C-5 Galaxy vinta dalla Lockheed nel 1965.

Per far partire il progetto del 747 riciclando così i progetti “perdenti” in ambito militare della Boeing, occorrevano due cose: un numero di ordini preventivi molto elevato per giustificare gli enormi costi di sviluppo in tempo di pace (in tempo di guerra c’è il contributo anticipato dei militari per lo sviluppo degli aerei, che ha sempre consentito agli americani di fare le cose decisamente in grande) e poi un possibile “doppio uso” dell’apparecchio stesso per giustificare almeno venti anni stimati di operatività.

Riguardo al secondo punto, quelli di Boeing erano sicuri di poter fare bene, perché hanno avuto un’idea geniale: progettare un aereo-cargo molto efficiente e travestirlo da aereo passeggeri, in modo che sarebbe stato facile abbandonare il settore del trasporto civile appena fossero arrivati in massa gli aerei supersonici, e darsi al trasporto merci. Per dare il massimo come aereo per il cargo, l’idea era di avere la cabina di pilotaggio rialzata, in maniera tale che l’aereo potesse aprire il “naso” e offrire un ponte unico a partire dal davanti per massimizzare il carico utile e semplificare le operazioni di carico-scarico. Da qui il secondo ponte rialzato, che costituisce l’originale e riconoscibile “gobba” del Jumbo Jet.

L’altra cosa che serviva (e ancora serve) quando si vuol fare un nuovo aereo di tali dimensioni, è un super-ordine di partenza; serve cioè quella sorta di project financing che aiuti a dare il via ai lavori (allestire i capannoni, comprare i macchinari, investire nella produzione, come vedremo non è cosa da poco) e anche in quel caso la Boeing su quell’aereo ci si sarebbe dovuta scommessa l’azienda, per così dire. Ecco poi com’è andata.

Se si va a giro per la rete a cercare qualche documentario che racconti la storia del 747 (e se ne trovano di notevoli anche su YouTube) c’è tutta una fase iniziale che pare difficile da capire. Perlomeno, pareva difficile a me. Si racconta la storia della costruzione dell’impianto in cui vengono fabbricati i Jumbo Jet, o per meglio dire, in cui vengono assemblati. È lo stabilimento di Everett, nello stato di Washington, poco più a nord di Seattle, dove si fa la “body junction”, cioè si “uniscono” i segmenti dell’aereo (ali, wing box, impennaggi di coda, segmenti della fusoliera, cabina), si mettono i motori, si provano tutti i sistemi, si dà una bella verniciata secondo le specifiche del cliente, e si spedisce l’aereo a destinazione. Abbastanza facile, perché a quel punto l’aereo può volare con le sue ali.

Everett ospita la più grande struttura coperta del pianeta Terra. La forma è sostanzialmente quella di tre o quattro capannoni aeronautici o hangar messi uno accanto all’altro. Visto in fotografia non è per niente impressionante. Non capivo quale fosse tutta l’eccitazione. Poi, a primavera del 2008 ho deciso di andare a dare un’occhiata di persona. Quel che non capivo era la scala. Fino alla fine degli anni sessanta i due aerei più grandi in circolazione erano il Boeing 707 e il DC-8 della Douglas (e io non ho avuto l’occasione di volare su nessuno dei due, mannaggia!). La loro costruzione non era niente di particolare, visto con gli occhi di oggi. Ma il Boeing 747 era ed è tutta un’altra cosa.

Tanto per cominciare, per costruirlo la Boeing ha cercato un posto “tranquillo” in una insenatura naturale chiamata Possession Sound, vicina alla foce dello Snohomish River, a una quarantina di chilometri dal confine con il Canada disegnato dal Mar Salish, quella lingua d’acqua che circonda e definisce l’isola di Vancouver. È nel cuore della contea di Snohomish, che è 40 chilometri più a nord di Seattle e fa da termine per la Route 2. Qui è stato spianato un bosco enorme, poi gettato uno strato di cemento per dare fondamenta solide a un terreno altrimenti fangoso e instabile.

Infine, si è costruito sia l’hangar e poi le altre strutture accessorie, fra cui i parcheggi per alcune decine di migliaia di operai, i ristoranti, i caffè, il porticciolo, la stazione ferroviaria per i macchinari e la consegna delle merci. L’unica opera che pre-esisteva era una vecchia base militare in dismissione che aveva però una pista in piena efficienza: Paine Field, oggi chiamato anche Snohomish County Airport.

Il tutto, si noti bene, in poco più di un anno nel 1966. Stiamo parlando di una superficie di tre chilometri quadrati, utilizzata per la creazione di una struttura principale da 13,5 milioni di metri cubi e di almeno altre due grandi strutture sopra il milione di metri cubi. Oggi in quella stessa area – che ha visto qualche ampliamento, in effetti – ci costruiscono oltre al 747 anche il 767, il 777 (il quale un giorno vi racconterò perché è il mio aereo preferito) nonché il nuovissimo 787.

Girando per quegli spazi, andando a guardare dal pavimento della fabbrica gli spazi dove vengono costruiti gli aerei, sono stato soverchiato da varie sensazioni. La prima e più singolare, è che in effetti l’uomo è uno straordinario animale in grado di adattarsi a qualsiasi cosa. Dopo un po’, anche la cosa più gigantesca e aliena sembra perfettamente normale. Viene da pensare che ci potremmo abituare anche a vivere attorno alle astronavi imperiali degli extraterrestri, casomai un giorno dovessero mai venire a conquistarci.

Ma quanto grande potrà mai essere, questa benedetta fabbrica? La superficie di uno dei segmenti degli hangar dove vengono assemblati i wide-body della Boeing (gli aerei a fusoliera larga, cioè con due corridoi in cabina) è a dir poco gigantesca. Deve consentire la realizzazione della catena di montaggio doppia: l’aereo viene assemblato in testa accanto all’uscita, viene spinto sino al fondo mentre mano a mano si aggiungono nuove parti, viene fatto girare, torna indietro e arriva di nuovo al portone pronto per essere spinto sino all’hangar della verniciatura. Il tutto contando che si muove sulle sue ruote e che quindi ci sono anche le ali di cui tenere conto quando si contano le dimensioni di manovra. Per di più, di queste catene di montaggio fuori scala ce ne sono già quattro (una per modello), mentre il progetto è  di espanderle ulteriormente.

Ho divagato (tanto per cambiare), ma era solo per dire che il 747 viene fatto in un posto gigantesco e straordinario, che all’epoca era stato progettato solo per lui, visto che non venivano prodotti altri wide-body. E la produzione del 747 voleva dire scommettere pesantemente su una macchina straordinaria. La storia è un vero romanzo nel romanzo. Per raccontarlo ci vorrebbe Ken Follett, o qualcuno come lui. Perché si dovette fare qualsiasi cosa: costruire macchine per simulare i movimenti a margine della pista dell’aereo (le procedure di parcheggio e taxi), modelli di varie dimensioni, test di resistenza delle componenti, delle ali, della fusoliera, prima ancora che venisse assemblato il primo modello. C’era lo spettro della certificazione da superare, servivano quattro motori di grande potenza per far sollevare quella bestia enorme, talmente grande che nessuno aveva neanche concepito o immaginato l’eguale. Per fortuna, dietro a tutto questo c’era un uomo fenomenale.

Mi riferisco a Joe Sutter, nato a Seattle, un ingegnere che oggi ha 90 anni e che, dopo aver combattuto in Marina durante la seconda guerra mondiale, ha fatto la sua carriera dentro Boeing. Fu il vecchio e mitologico presidente di Boeing, Malcolm T. Stamper, a capire che quello sarebbe stato l’uomo giusto al posto giusto: l’unico capace di portare a casa un risultato così immenso, difficile e improbabile come il Boeing 747. Nonostante gli ordini giganteschi di Pan Am e di altre 25 compagnie aree, nessuno degli oltre mille giorni di lavorazione per portare a compimento il lavoro si svolse tranquillamente. Tanto che gli operai e macchinisti che si misero all’opera per realizzare i primi prototipi validi per la certificazione vennero chiamati “The Incredibles” per l’incredibile capacità di portare a termine il loro lavoro nei tempi nonostante le avversità e costituiscono anche al giorno d’oggi una delle più straordinarie élite dell’industria. La storia è raccontata, tra gli altri, da Sutter medesimo nella sua biografia:  747: Creating the World’s First Jumbo Jet and Other Adventures from a Life in Aviation.

Ce la fecero. Il Boeing 747 vide la luce in tempo. Il 30 settembre del 1968 ci fu il roll-out, cioè la “uscita” dell’apparecchio prototipo dall’hangar principale “sulle sue ruote”. Poi, il 9 febbraio del 1969 il decollo del prototipo per il primo volo, con Jack Waddell e Brien Wygle ai comandi (e Jess Wallick come ingegnere di volo). Ci furono pochissimi problemi di design, molti più con i motori invece, i JT9D, che non davano adeguata spinta. Ma niente impedì alla Boeing di portare il suo prototipo alla ventottesima edizione del Paris Air Show, a metà del 1969. Costruire l’aereo e contestualmente anche un intero stabilimento per la sua produzione stava mettendo in ginocchio la Boeing, che attingeva pesantemente a prestiti bancari. Eravamo lontani dall’epoca contemporanea dei grandi magheggi bancari, cosicché il ricorso alle banche era tutto sommato una cosa sana e tale risultò alla fine.

Pat Nixon, la moglie del presidente degli Stati Uniti dell’epoca, battezzò il primo velivolo all’aeroporto di Washington: il 747 consegnato alla Pan Am e chiamato Victor Clipper (la cui storia è alquanto interessante). Anziché dello champagne, utilizzò bottiglie con acqua colorata secondo i tre colori della bandiera americana (bianco rosso e blu). Era il 15 gennaio del 1970. Il primo volo ufficiale avvenne una settimana dopo, sulla rotta tra New York e Londra. Inizia in quel momento la grande avventura dell’aereo che ha fatto la differenza.

Prodotto in una prima edizione (747-100) subito superata dalle crescenti esigenze delle compagnie aeree. L’idea del 747 è che possa portare tante persone molto lontane: fu l’aereo che apri l’era del turismo di massa intercontinentale. Dovettero essere riprogettati gli aeroporti per accomodare quelle ali titaniche e far girare quelle fusoliere gigantesche. Le “spalle” posero problemi nelle corsie, perché l’aereo extralarge strabuzzava di fuori e rischiava di toccare gli altri velivoli. E poi, c’era il problema che tutta l’attrezzatura di terra non andava bene. E che il “carico” era devastante: trecento, quattrocento persone alla volta potevano saturare i cancelli di entrata, il sistema di check-in e di imbarco. Doveva essere riprogettato tutto e adattato al nuovo Titano.

Nei libri che ho a casa e in quelli che porto con me nel computer (esistono anche le edizioni digitali e una delle poche cose che invidio a chi comincia oggi la sua vita, è che potrà disporre di più cose ma in spazi molto minori) la storia del 747 ricorre costantemente. Conoscerla, anche solo dandola per implicita nello scrivere e nel leggere, è requisito necessario per capire di cosa si sta parlando. Perché è una cavalcata straordinaria che ho potuto testimoniare in più momenti. Mi sono ovviamente perso tutta la parte d’avvio (i 747-100, le varianti -100B -100SB e -100SR, poi i -200, i -300) ma ho viaggiato abbondantemente sui 747-400. Ne ho ricordi vari.

Il Jumbo Jet è l’aereo che ho usato (con Qantas) per andare in Australia, in Cina (Air China, variante -400Combi) e per certi lunghi viaggi negli Usa e in Asia. Sono stato sopra e sotto, in economica e in business, nel ponte principale e nel piccolo ponte superiore da dove si entra anche nella cabina di pilotaggio. Ho ricordi degli stupendi 747-400 di KLM Asia e di Virgin Atlantic (che peraltro preferiva all’epoca gli Airbus A340-500), ma anche di quelli di Air France, di British Airways, di Delta Air Lines. Ma non sono state le uniche volte che ho visitato quest’aereo.

L’ho visto nella culla: ricordo la cabina che veniva assemblata ad Everett del primo 747-8F destinato a entrare in linea. Ricordo anche di aver visitato nel campo d’aviazione di Châteauroux nella Francia centrale un 747-300 che veniva smantellato, privato di tutte le strutture interne e tagliato quasi a “morsi” con colpi giganteschi per riciclare l’alluminio aeronautico e le altre materie prime di cui è composto uno di questi aerei. E poi ho passeggiato un po’ nel velivolo esposto nel museo di Schiphol (che in realtà è a Lelystad) con la livrea di KLM. Un rapporto intimo, insomma, con questo gigante dell’aria.

Quel che il 747 ha fatto di realmente straordinario è stato sopravvivere ai grandi cambiamenti di tecnologia e di paradigma. L’aereo non è mai stato tolto dalla produzione: sono cambiate le sue dimensioni (rendendolo più leggero ed equilibrato nelle proporzioni, dato che si bilancia così il maestoso impennaggio di coda e l’apertura alare con la maggiore robustessa e lunghezza della carlinga), sono cambiati i motori, è radicalmente aumentato il suo raggio d’azione, sono state addirittura create versioni speciali per trasportare pezzi d’aereo o lo Shuttle e addirittura il Presidente degli Stati Uniti. Soprattutto, se ne sono venduti tantissimi: 1420 in poco più di quarant’anni, in media 36 all’anno. Considerando che un 747-400 costa 250 milioni di dollari, che un 747-8 ne costa più di 300, Boeing ci fattura 10 miliardi di dollari all’anno.

In realtà in numeri assoluti Boeing negli ultimi tre anni ha venduto molti meno aerei: 9 in tutto, con una puntata negativa addirittura di zero apparecchi nel 2010, cosa che non si era mai verificata nella storia di questo velivolo. È la crisi? Certo, ma quella del 2007 (ci sono i tempi lunghi degli ordini da ammortizzare, in quel settore dell’economia) e si sommano anche i ritardi della messa in produzione della variante -8 e -8F.

Un aereo relativamente così diffuso e utilizzato da un così elevato numero di persone ha come ovvia conseguenza di avere un numero significativo di incidenti nel suo pedigree. In realtà sono molto pochi gli incidenti se si guarda alle percentuali, a dimostrazione che è un aereo molto sicuro. Però ci sono. Parliamo di 124 incidenti in 42 anni di servizio, con 49 aerei distrutti, 2.852 vittime, e il record nefasto del più luttuoso incidente della storia dell’aeronautica civile (a Tenerife). A parte questo, però, il Jumbo Jet ha anche una impressionante serie di record di servizio: è uno degli aerei che hanno volato più a lungo in voli intercontinentali, è l’aereo dei presidenti degli Stati Uniti, dello Shuttle. La vita operativa di un 747 è di venti anni all’interno dei quali è previsto che compia circa 24.600 cicli (decollo-atterraggio).

Un particolare operativo di questo tipo di aerei è interessante (e si riverbera anche sul più recente A380 di Airbus). Cioè che è uno degli aerei più economici da operare se a pieno carico, ma perde rapidamente la sua efficienza e diventa molto poco economico se non viaggia a pieno carico. Con il 70% dei passeggeri imbarcati un 747 consuma il 95% del carburante: non c’è praticamente margine per una crisi o un crollo del mercato. Eppure, il 747 è sopravvissuto a vari shock petroliferi, alle crisi di mercato, addirittura all’11 settembre, che pareva aver messo definitivamente in ginocchio il modello di crescita costante del traffico aereo. È sopravvissuto soprattutto alla concorrenza di aerei più giovani e prestanti: dalla famiglia degli A330-A340 di Airbus ai “fratelli” B-777 sino al recente A-380.

Il 747 finirà, come tutte le cose. La Boeing ha già un programma di sostituzione in mente. Si tratta dello Yellowstone Project. Dentro ci sono tre velivoli diversi. Il primo ad essere entrato in commercio per gli ingegneri si chiamava Y2 ed è in realtà il 787. Copre le esigenze del mercato comprese tra 220 e 320 posti su tratte a medio e lungo raggio. Sostituirà nel tempo i Boeing 767 e i più piccoli tra i 777 (la variante -200). Il modello Y1, che ancora non sappiamo come si chiamerà, servirà a sostituire quello straordinario best e long seller che la famiglia del Boeing 737, cioè il segmento da 100 fino a 200 passeggeri e arriverà nel 2020.

(I due gemelli: B-737 e A320)

E il 747? Ci penserà il mitologico Y3 a mandarlo in pensione. Mitologico perché ancora non sappiamo né come né quando. Sappiamo solo che coprirà la fascia dei 300 fino a più di 600 passeggeri e che dovrà sostituire (o mettere fuori mercato) parecchia roba. Il 747, ma anche buona parte dei 777, e poi i concorrenti A380 ma anche il futuro A350, e tutta la banda degli A340. Ma questa sarà tutta un’altra storia da raccontare…

Antonio Dini

Giornalista e saggista, è nato a Firenze e ora vive a Milano. Scrive di tecnologia e ama volare, se deve anche in economica. Ha un blog dal 2002: Il Posto di Antonio