La fine del mondo (secondo la scienza)

L’anno che secondo qualcuno doveva finire prima del tempo sta per finire regolarmente. Non risulta che chi aveva contribuito attivamente a diffondere fandonie abbia ammesso di aver sbagliato (Roberto Giacobbo, sto guardando te), ma questo è comprensibile: nelle opere di fantasia tutto è permesso. Solo chi fa previsioni serie può essere smentito dai fatti, e imparare qualcosa dagli errori: ed è per questo che la scienza funziona.

A questo proposito, seriamente: si può prevedere come e quando finirà tutto quanto? Be’, vediamo. Se parliamo del destino della Terra, è più probabile che essa diventi inabitabile gradualmente, piuttosto che con una catastrofe col botto, di quelle che piacciono tanto agli apocalittici. Il Sole sta infatti lentamente consumando l’idrogeno che lo alimenta, e nel frattempo diventa sempre più luminoso, cosa che farà innalzare progressivamente la temperatura del nostro pianeta e porterà con ogni probabilità alla completa ebollizione degli oceani entro un miliardo di anni circa. (Ma se ci mettiamo d’impegno possiamo farcela in meno tempo, basta continuare a pompare gas serra nell’atmosfera.)

Ancora qualche miliardo di anni e anche il Sole si avvierà a chiudere baracca, trasformandosi prima in una gigante rossa (una stellona con un diametro maggiore dell’attuale orbita terrestre), e poi in una nana bianca, che continuerà a dissipare calore come un tizzone rimasto nel caminetto. Cinque o sei miliardi dal momento in cui scrivo queste allegre righe, della Terra sarà rimasto ben poco, ma nel frattempo i nostri eventuali discendenti – inimmaginabilmente diversi da noi, dobbiamo presumere – potrebbero aver studiato modi ingegnosi per rimandare la propria fine. Va’ a sapere. D’altra parte, se avessero detto a uno dei microorganismi sguazzanti nella brodaglia primordiale che dopo tre miliardi e passa di anni un suo lontanissimo erede avrebbe preso un razzo e messo piede sulla Luna, dubito che avrebbe capito.

Ma in fondo, cosa volete che sia il destino del pianeta Terra, o anche del sistema solare? Noi, che siamo gente di vedute cosmiche, vorremmo conoscere il destino dell’intero universo. Questo, ve lo dico subito, è un argomento che gettò nella depressione i primi che se ne occuparono scientificamente: ovvero i fisici che, nel Diciannovesimo secolo, scoprirono la legge dell’aumento dell’entropia. Non la presero benissimo. Fino a quel punto avevano vissuto, come tutti, nell’illusione che il mondo potesse passare attraverso continui cicli di morte e di rinascita. Sapevano che l’energia totale di un sistema chiuso e isolato non si crea e non si distrugge: forse, allora, si poteva sperare di andare avanti in eterno, riciclando quello che si era consumato, rigenerandolo a ogni nuova iterazione, come se il tempo non fosse mai passato. Un pendolo perfetto e ideale può continuare a dondolare per l’eternità.

Invece no. Mentre quei fisici ottocenteschi cercavano di capire come funzionano i motori – meccanismi ciclici per eccellenza – arrivarono alla conclusione che l’energia si conserva, sì, ma allo stesso tempo si trasforma, si degrada, diventa sempre meno utilizzabile per farci delle cose. Qualunque sistema lasciato a se stesso va verso uno stato in cui l’energia non scorre più, non produce lavoro. La conclusione sembra inevitabile nella sua tristezza. Aspettando abbastanza a lungo, tutto ciò che esiste perderà ogni traccia di movimento. Non c’è scampo. Quando anche l’ultima scintilla di energia sarà stata logorata fino a renderla inservibile, tutto piomberà nel buio della fine eterna. La morte termica. Un destino in confronto a cui le apocalissi dei catastrofisti di ogni epoca sembrano simpatiche barzellette.

E però, oggi sappiamo che le cose sono un po’ più complicate di quanto immaginassero Boltzmann & Co. Nel Ventesimo secolo abbiamo scoperto che l’universo si espande, e che potrebbe continuare a farlo per sempre, oppure raggiungere un punto di svolta e ricollassare su se stesso. Al momento la prima possibilità sembra essere quella più probabile. Se è così, l’universo diventerà sempre più vuoto e freddo, le stelle si spegneranno una dopo l’altra (le ultime tra centoventimila miliardi di anni, o giù di lì), e nel lontanissimo futuro si realizzerà qualcosa di simile alla morte termica temuta dai fisici dell’Ottocento. Ma anche da questo stato di totale desolazione, dopo un tempo immensamente lungo, potrebbero casualmente riemergere sacche di ordine transitorio, e persino veri e propri universi. E non è ancora possibile escludere del tutto la possibilità che l’universo non si espanda per sempre, ma possa un giorno iniziare a comprimersi e a riscaldarsi, finendo col ritornare alle condizioni che c’erano al momento del big bang, magari rimbalzando verso un nuovo ciclo di espansione.

Insomma, non sappiamo con certezza come e quando finirà l’universo. Per ora accontentiamoci di aver avuto la fortuna di vivere in un angolo di cosmo che ha conosciuto un periodo relativamente lungo di tranquillità. La Terra sta per iniziare un altro giro intorno al Sole, e noi siamo qui, a fare del nostro meglio per capire le cose e godercela il più a lungo possibile.

Amedeo Balbi

Amedeo Balbi, astrofisico, è ricercatore all'Università di Roma Tor Vergata. Il suo (altro) blog è Keplero. I suoi libri su Amazon. Twitter: @amedeo_balbi