Ci si può fidare dello stato?

La vicenda dei debiti commerciali delle amministrazioni pubbliche è una brutta storia italiana. La stessa “soluzione” infine approntata dal governo Monti ha luci ed ombre, ed è tutto da vedere, come ha scritto Guido Gentili, che al decreto non faccia seguito «una fitta normativa secondaria» – tipica variazione italiana sul tema fatta la legge gabbato lo santo.

Che lo Stato non paghi i propri debiti è particolarmente odioso perché è lo Stato che deve far rispettare i contratti fra privati: salvaguardare “la fiducia”, come si usa dire. Ma che succede se è lo Stato dimostra di non meritarsi la nostra fiducia?

Tre veloci considerazioni.

1. Leggendo la risoluzione votata plebiscitariamente dalla Camera per indurre il governo a prendere di petto la questione, vengono le traveggole. Il Parlamento impegna il governo a presentare un decreto legge, che secondo l’articolo 77 della Costituzione il governo può emanare solo «sotto la sua responsabilità». E il decreto sul quale vuole impegnarlo è, di fatto, un decreto in violazione dell’articolo 81 della Costituzione.I nostri parlamentari, pure in maggioranza convinti che la nostra Costituzione sia la più bella del mondo, si sono almeno posti il problema? L’articolo 81 tutt’ora vigente (non ancora la nuova versione, prodotta nell’ultima legislatura) stabilisce che

«Ogni altra legge che importi nuove o maggiori spese deve indicare i mezzi per farvi fronte».

Al contrario, la risoluzione plebiscitariamente votata dai nostri rappresentanti non sfiora nemmeno la questione. L’esortazione è ad agire, presto e con misure vigorose. Ma circa il reperimento dei mezzi necessari, i nostri parlamentari spronano il governo a «verificare che siano realizzate le condizioni affinché l’Italia, dopo aver ridotto il disavanzo al 3 per cento del PIL nel 2012, possa ottenere, nel corso del 2013, una valutazione positiva nell’ambito della procedura europea sui deficit eccessivi». Che tradotto, significa: per smettere di raccontare frottole ai nostri creditori italiani, chiediamo il permesso di raccontarle alle istituzioni europee. Dal vincolo esterno alla esternalizzazione della bugia.

Questo non significa che sia accettabile uno Stato che non paga i suoi debiti. Ma lo è forse un Parlamento che non si cura della Costituzione stessa? Se le imprese che soffocano perché lo Stato non le paga, soffocano anche per le troppe imposte, è accettabile, in questo momento, non porsi un problema di coperture? Ed è accettabile che i nostri parlamentari ragionino come se gli aggravi di spesa non fossero un problema, in un momento storico nel quale dovremmo avere imparato, sulla nostra pelle, che la spesa a debito di oggi sono le tasse di domani?

2. Corinna De Cesare, sul Corriere della sera di domenica scorsa, ha intervistato Sandro Vivoli, un imprenditore del settore delle forniture ospedaliere. A Roma, spiega Vivoli, «siamo passati da forniture pagate a 300, 350 giorni a periodi in cui l’attesa si allungava a dismisura fino anche a 600 giorni». Essere pagati con un anno di ritardo è quasi una «nuova normalità» auspicabile. Vivoli è «arrivato alla conclusione che più fornivo allo Stato e più mi indebitavo». Il suo caso non è certo unico: le imprese in sofferenza perché la PA non lo paga non si contano più, e le loro storie – a poco a poco – stanno arrivando anche sulle pagine dei giornali. Prima di esultare per il provvedimento del governo, è il caso di chiedersi se questi imprenditori non si siano già chiesti se vale la pena di continuare così – o piuttosto se, per quelli fra loro che non sono stati costretti a chiudere, non è il caso di cambiare produzioni e clienti. Come è possibile avere a che fare con un compratore che non paga, e se ti paga con due anni di ritardo devi pure scappellarti e ringraziare primo ministro, ministro del tesoro e ragioniere generale dello Stato? Se lo Stato fosse un essere umano in carne e ossa, è il genere di consumatore che nessuno si augurerebbe di avere – e sicuramente, nessuno gli venderebbe a credito. Delle due l’una: o i fornitori dello Stato cambiano mestiere, oppure i prezzi che praticano allo Stato dovranno in qualche maniera incorporare questa strepitosa incertezza.

3. Sono in molti i commentatori italiani che si sono scandalizzati, e hanno fatto bene, innanzi a uno Stato che non paga i suoi debiti commerciali. Curiosamente, buona parte di quegli stessi commentatori sostiene anche che allentare le maglie dei vincoli europei servirebbe a spingere l’Italia fuori dalla crisi grazie “alla domanda pubblica”. Ora, domanda pubblica vuol dire beni e servizi acquistati dallo Stato. Che non paga. Unite i puntini.

Alberto Mingardi

Alberto Mingardi (1981) è stato fra i fondatori ed è attualmente direttore dell’Istituto Bruno Leoni, think tank che promuove idee per il libero mercato. È adjunct scholar del Cato Institute di Washington DC. Oggi collabora con The Wall Street Journal Europe e con il supplemento domenicale del Sole 24 Ore. Ha scritto L'intelligenza del denaro. Perché il mercato ha ragione anche quando ha torto (Marsilio, 2013). Twitter: @amingardi.